Jomo si limitò a bofonchiare.
— È costato parecchio ripararla dopo il mio ultimo viaggio, ma hanno pagato tutto i tuoi amici.
Jomo fece una smorfia pensando a tutti i preziosi fondi della Chiesa sprecati per la nave di quell’uomo.
Eksher sogghignò. — Voi predicatori non ve la passate niente male, immagino.
Jomo si strinse nelle spalle.
— Un buon lavoro. Forse dovrei provarci anch’io, eh?
Jomo non lo degnò della benché minima reazione. Eksher gli lanciò un’occhiata.
— Non hai molta stima di me, eh? — chiese l’uomo più anziano, rilassandosi sul seggiolino. Il sedile ronzò sommesso cambiando forma.
— No — rispose Jomo. — Non ho molta stima.
— Forse dovresti essere un po’ più affabile, comunque — suggerì Eksher, allungando le lunghe braccia ossute sopra la testa e facendo schioccare le nocche. — Dovremo sopportarci per un pezzo; c’è ancora un bel tratto da percorrere in accelerazione prima che possiamo saltare nell’iperspazio, e poi dovremo uscire e avvicinarci a Carter-Carter IV, e poi credo che i serpenti ci terranno assieme una volta arrivati, almeno all’inizio. Ci vedremo spesso. Inutile complicare le cose più del necessario.
Jomo fece un’altra smorfia. — Ci proverò.
— Bravo figliolo — annuì Eksher, con un largo sorriso.
Jomo notò, allibito, che i denti di Eksher erano gialli. Non aveva mai visto una cosa del genere in un Erthuma.
— Penso che andrò nella mia cabina — disse, alzandosi.
Eksher gli rivolse un sorrisetto furbesco.
— Sogni d’oro — disse.
Per i primi tre giorni a bordo della Cinema Queen, Tomo parlò il meno possibile a Eksher. A volte si ritrovava a fissare l’altro affascinato, e quando si accorgeva di fissarlo distoglieva subito lo sguardo.
Quando ad accorgersene era Eksher, il mercante scoccava al giovane un sorrisone, scoppiava a ridere di fronte al rossore imbarazzato di Jomo.
Eppure, Jomo non poteva fare a meno di fissarlo.
Arren Eksher era l’Erthuma più alto che Jomo avesse mai visto — almeno duecentodieci centimetri — e anche il più magro. Perfino attraverso la tuta di volo blu, Jomo riusciva a contargli le costole. I gomiti e le ginocchia di Eksher erano protuberanze ossute, e la pelle marrone scuro tesa sul cranio lo faceva sembrare più vecchio di quanto non fosse realmente nel suo ciclo attuale. La testa era calva in modo irregolare: i capelli che gli rimanevano non formavano un semplice cerchio o una curva armoniosa, bensì delle chiazze irregolari sopra le orecchie. Eksher, chissà come, riusciva sempre ad avere quella che sembrava una barba di cinque giorni; Jomo alla fine concluse che probabilmente quella peluria incolta era tutta la barba che cresceva a Eksher, e che il mercante non si prendeva la briga di radersi.
Era pure un tipo antigienico. Aveva l’alito cattivo, e anche con la bocca chiusa emanava un odore molto forte.
Jomo stentava a credere che una creatura intelligente potesse trascurare a tal punto la propria persona.
Forse, pensò il giovane missionario, Eksher non aveva semplicemente un buon motivo per aver cura di sé. Forse, se avesse conosciuto il vero scopo della sua vita…
Durante il pasto successivo, esordì: — Non hai mai pensato al motivo per cui siamo qui?
Eksher alzò lo sguardo dalla ciotola, e un ampio sorriso gli spuntò sul volto, conferendogli decisamente l’aspetto di un teschio.
— Ragazzo — disse — non cercare di raccontarmi le tue tavolette. Ho sentito tutta la storia da quel vostro vescovo, e non la bevo proprio per niente. Risparmiala per i Naxiani di Carter-Carter IV.
Jomo insisté. — Ma sicuramente ti renderai conto che le Sei Razze devono avere uno scopo, devono essere state scelte per qualcosa… altrimenti, con le centinaia di specie intelligenti che esistono, perché solo sei specie disporrebbero del volo interstella?
— Questo lo dici tu. Per me non è affatto così, ragazzo — ribatté brusco Eksher. — Può darsi benissimo che sia solo un’altra coincidenza in un universo pieno di coincidenze.
— Ma…
Eksher lo interruppe. — Senti, Jomo, sei libero di rifilare quel che vuoi ai Naxiani, ma non cercare di rifilarlo a me. La tua merce non m’interessa.
— Non sto cercando di rifilarti nulla — protestò Jomo.
— Non essere sciocco — replicò Eksher. — Ci stai provando, eccome. Ora, piantala.
— Ma è la verità, è il destino degli Erthumoi…
— Ascolta, ragazzo, io non ho cercato di venderti la mia merce, vero?
Quindi fammi un favore e lascia perdere anche tu!
— Tu vendi solo spettacoli di qualità scadente. Io sto cercando di offrirti la verità!
Eksher rinunciò a discutere oltre; prese la ciotola, si girò e andò nella propria cabina, mentre Jomo continuava a mangiare in solitudine nella sala comune.
Erano rientrati nello spazio normale da poco più di sei ore quando la nave annunciò: — Ho un messaggio proveniente a quanto pare dalle autorità planetarie di Carter-Carter IV. Così si sostiene nel messaggio. Però non ho modo di verificare l’autenticità di tale fonte non trattandosi di un governo erthuma.
I due uomini stavano oziando nella sala comune, silenziosi. Eksher stava facendo qualcosa col proprio personal computer; Jomo pensava e basta. Ora, alzarono entrambi lo sguardo.
— Va bene, va bene — disse Eksher, posando il computer sulle ginocchia. — Passamelo sullo schermo.
La nave obbedì; sulla paratia di sinistra apparve l’immagine ingrandita di un Naxiano.
Fino a quel momento, Jomo non sapeva dove fosse esattamente lo schermo della cabina principale. Ora fissò affascinato l’alieno.
La creatura era simile a un serpente, ma Jomo non riusciva ad avere un’idea precisa delle sue dimensioni dall’immagine sullo schermo. Sapeva che i Naxiani adulti in genere erano lunghi dai due ai quattro metri, ma era impossibile valutare la lunghezza di quel Naxiano. Lo sfondo, composto interamente di macchinari incomprensibili dai colori vivaci, non forniva alcun indizio utile.
Anche il Naxiano aveva una coloritura vistosa; la faccia era nera con striature dorate, il corpo sinuoso era perlopiù rosso cupo, con strisce diagonali gialle sui fianchi. Le appendici di manipolazione non erano visibili.
— Sono Ovoide Infrarosso — esordì (Jomo non sapeva quale fosse il suo quasi-sesso in quel momento, così pensando a un «Naxiano» lo considerò un maschio). — Sono l’Ispettore delle Navi in Arrivo dello Scopo Comune di Carter-Carter IV. Per negoziare oltre, devo accertare l’identità della vostra nave e di tutti i suoi occupanti.
— Queenie — domandò Eksher alla nave — parla turco o stai usando il simultrad?
— Il Naxiano sta parlando nell’idioma naxiano locale. Io sto fornendo l’emissione del simultrad della nave, invece della parte audio della trasmissione originale. Preferisci l’originale?
— No, va bene così — rispose Eksher. — Mi stavo solo chiedendo perché questo serpente è tanto prolisso. Digli chi siamo.
— Signorsì.
Un attimo dopo l’immagine serpentina parlò ancora, e questa volta Jomo notò che le parole provenienti dallo schermo non erano in sincronia coi movimenti della bocca stretta.
— Benvenuti allo Scopo Comune, Jomo Li-Sanch e Arren Eksher. Arren Eksher, apprendiamo che lo scopo della tua venuta è lo scambio di merci. Questo è del tutto accettabile se le merci stesse sono accettabili nell’ambito dello Scopo Comune, e le merci devono essere ispezionate per appurarne l’accettabilità. Verrò a bordo della vostra nave per l’appuramento. Se l’appuramento avrà esito favorevole, sarai libero di fare ciò che vuoi su Carter-Carter IV.
La traduzione, notò Jomo, durò più del discorso originale del Naxiano, la differenza era di almeno due o tre secondi; il simultrad stava usando parole più lunghe per ottenere la massima precisione possibile.