— E vabbene.
— Sylvaine? Prendi quella sedia scassata, quella senza sedile.
Credo che l’ambasciatore starà meglio appollaiato che seduto.
Ancora nessun segno di Wanwadee Li. Harriet non era affatto sorpresa: Wanwadee Li si spostava al ritmo di Wanwadee Li, che era in ritardo di tre quarti d’ora su quello degli altri. Lei si spinse fino a! tavolo più vicino mentre indicava a Sylvaine quale sedia intendeva.
Fiero, l’ambasciatore avviluppò gli aguzzi artigli sulla traversa superiore della sedia rotta e vi si appollaiò. Aveva visto giusto: lì era all’altezza giusta per il tavolo.
Premuroso come non mai, Sylvaine portò la glavsa in una pipetta di terracotta; maschera respiratoria o no, l’ambasciatore poteva succhiare la sua bevanda. Sylvaine le posò davanti la birra e fece cenno che non voleva essere pagato. — Metterò tutto sul conto di Wanwadee — disse. — Direi che questa può essere considerata una faccenda governativa.
Poi si ritirò dietro il bancone, lasciando l’ambasciatore tutto per Harriet. Be’, avrebbe dovuto portare innanzi un’educata conversazione fino a quando non sarebbe arrivato Wanwadee Li a rendere più formale il tutto.
— E così — disse mentre alzava il boccale per brindare al nuovo arrivato su RosePasse — lei ha un nome o sua madre era troppo atterrita dal suo sguardo per rivendicarla come suo?
Si chiamava Wyss’huk — un soffio e un singhiozzo strangolato — e lei e Wanwadee in qualche modo portarono lui e i suoi bagagli nell’ambasciata Pssstwhit, che altro non era se non un cubo in ceramica vuoto che Wanwadee aveva impiegato un intero pomeriggio a formare.
— Quello che mi ha ostacolato è che doveva essere a tenuta stagna. L’ho fatto bello grosso, più che altro per una questione di prestigio, ma se lo vuole del tipo ricercato dovrà sbattere fuori tutte le sue proprietà — disse Wanwadee. — Questo è l’unico modello che sono riuscito a scovare in biblioteca e che abbia una sia pur remota somiglianza con l’architettura di Pastwit. — Le fece cenno di entrare nella sua casa di legno. — Avrei dovuto chiederti se avevi qualcosa da proporre.
— Ti avrei dato le dritte sbagliate, Wanwadee. Non mi avevi detto che è senza ali.
Wanwadee lanciò uno sguardo involontario alle gambe di Harriet poi, visibilmente imbarazzato, guardò altrove. — Bevi qualcosa? — E prima che lei potesse rispondere era già partito verso il luogo in cui teneva la sua riserva.
Harriet sospirò. — Oggi mi sembri più stupido del solito — gli disse, smorzando il tono con un sorriso. — Lo sappiamo entrambi che le mie gambe non funzionano. Che tu le guardi oppure no, non cambia un accidente. È come dispiacersi di dire «Quanto tempo che non ci vediamo» a un cieco.
— Scusami. — Tornò con un bicchiere per ognuno di loro e con un atteggiamento più normale. — È stata una giornata molto lunga, non ne capisco una cicca di quanto sta accadendo, tu hai ragione: io sono uno stupido. — Ingollò la sua razione e se ne servì una seconda. — Per la maggior parte del tempo non me ne frega niente di essere El presidente ma succede perché, la maggior parte del tempo, essere El presidente non significa un cavolo. Oggi sono un po’ fuori fase.
Si tirò vicino una sedia e si sedette pesantemente. — Ho sentito tutte le autorità possibili per avere informazioni, e tutto quanto ne ho ricevuto in risposta, in almeno trecento modi diversi, è stato: «Scopri quello che vogliono!». Mi manderanno anche qualche «esperto», ma solo il Signore sa in cosa sono «esperti».
— E così non sai come e perché ha perso le ali?
— Già — disse lui, stringendosi nelle spalle. Le righe dipinte sulla fronte gli trasformavano il viso in una maschera irosa. — Quello che posso dirti… ma tu non ci crederai, come non ci credo io. Be’, io non ho niente da ridire per quello che dice, perché sono sicuro al cento per mille che, in quelle circostanze, nessuno sarebbe carino e gentile. — Dietro la maschera, i suoi occhi erano freddi. — Farai meglio a bere quello che hai in mano. Sono certo che ne avrai bisogno.
Harriet prima inarcò un sopracciglio, poi alzò il bicchiere. Ne bevve un sorso, tanto per accontentarlo, poi gli disse: — Forza, racconta.
— Whooshuk è stato scelto quale ambasciatore, e per questo gli hanno amputato le ali.
— Cosa?
— Sembra che i Crotoniti pensino che i loro ambasciatori siano in grado di capire meglio noi che strisciamo a livello terra se sono costretti a farlo essi stessi.
Harriet trasse un lungo respiro poi abbassò lo sguardo al bicchiere che aveva in mano. — Avevi ragione — disse. — Odio quello che hai detto. — Mandò giù tutto con un sorso solo.
Harriet mise i comandi sull’automatico e lasciò che la carrozzella trovasse da sé la strada di casa. Aveva molte cose a cui pensare, cose su cui non aveva riflettuto da tempo. Eccoti la ricompensa per essere stato scelto come ambasciatore: ti seghiamo via le ali. Ma che tipo di mentalità poteva concepire una cosa simile? Lei sapeva bene cosa voleva dire essere privati delle ali. Wyss’huk avrebbe trascorso il resto della sua esistenza con lo sguardo rivolto al cielo, proprio come stava facendo lei in quel momento.
Il segnale acustico che l’avvertiva che era arrivata pose momentaneamente fine ai suoi pensieri e le fece riportare lo sguardo sulla terra. Tolse il comando automatico e diresse la carrozzella verso la tettoia del deposito. Prima le cose importanti: doveva controllare le condizioni in cui si trovava il suo equipaggiamento per…
Erano tre anni che non lo degnava di uno sguardo, ma sapeva esattamente dove Majnoun l’aveva messo. Le pinze della carrozzella le deposero delicatamente il pacco in grembo. Le sue mani esitarono sull’imballaggio accurato. Sarebbe stato in perfette condizioni; Majnoun era stato molto accorto nel riporlo.
Aveva sempre sostenuto che, un giorno, l’avrebbe usato ancora. Ovviamente era successo prima che apprendessero che le tecniche rigenerative non funzionavano con lei. Ma lei sospettava lo stesso che l’aveva riposto con tutto l’amore che era in lui.
Quel pensiero la fece sorridere, mentre le sue mani si muovevano da sole per svolgere l’involucro. Ne balzò fuori un arancione vivace che s’offrì al suo sguardo, l’uccello più pacchiano di RosePasse. Che peccato che non avesse ingentilito il cielo con la sua presenza in tutti quegli anni.
Bene Falcodifuoco, pensò, è giunto il momento di riconquistare il cielo.
Lo riavvolse con cura. Come un sole che tramonta, si disse, ma che domani sarà di nuovo fra noi. Un sorriso di soddisfazione le attraversò il viso mentre affidava l’involucro alle pinze.
Stava ancora sorridendo quando entrò in casa, e anche quando Majnoun rispose alla sua chiamata. — Ho bisogno di un favore — gli disse.
— Dimmi.
— Ho bisogno che mi prepari una bardatura per il volo a vela che si adatti a un Crotonita. Non è solo più piccolo di un uomo, ma anche il rapporto torso-gambe è molto diverso. Le braccia sono molto più tozze. Ogni mano ha solo due dita, ma non penso che questo costituisca un problema. A giudicare dai pettorali e dal modo in cui trasportava le sue ceste, deve avere una forza notevole nella parte superiore del corpo.
— Deve avercela per forza, per usare quelle ali che si ritrova. — Majnoun distolse lo sguardo per fissare con perplessità qualcosa che stava oltre la portata dello schermo. — Le sue ali sono un grosso problema, Harriet.
Harriet sentì che il sorriso le si spegneva sul viso. Scrollò la testa. No — gli disse. — Questo di cui parlo non ha le ali.
— Oh! — Era sbalordito. — Oh! Allora dobbiamo…
— Allora dobbiamo dargli le mie.
Con sorpresa, il mattino dopo Harriet non ebbe alcuna difficoltà a persuadere Wyss’huk a uscire dall’ambasciata. Il suo carattere non era migliorato, ma su tutto prevaleva la curiosità per il mondo in cui era stato inviato. Almeno un po’.