Harriet aveva messo a punto Falcodifuoco la sera precedente, ma ora ripeté di nuovo la procedura. La familiarità della cosa eliminò poco alla volta il tremito alle dita.
Majnoun alzò gli occhi dalla radiolina, con un lieve cipiglio sul viso. — Harriet, sei sicura di volerlo fare?
Era la domanda giusta. Sapeva cosa rispondere. — Non ne sono mai stata più sicura in tutta la mia vita. Non posso atterrare sulla spiaggia ma posso usare il metodo di Lillà e scendere in mare.
A un suo fischio, le braccia meccaniche della carrozzella la presero gentilmente per la vita e la misero eretta. Cominciò a sistemarsi l’imbracatura.
— Va bene — disse Majnoun. — Ma sei fuori allenamento, così voglio che all’inizio tu ci vada piano. Non fare cose difficili, solo una discesa lenta verso l’acqua.
Harriet annuì, incapace di togliersi il sorriso dalla faccia anche in quel momento solenne. Majnoun ispezionò di nuovo l’apparecchiatura, controllò che la gonfiatura operata da Isobel fosse stata eseguita nel modo giusto, poi rispose al suo sorriso. — Penso che tu sappia bene come ammarare. Dimmi solo cosa vuoi che faccia per te.
— Una volta che sarò in volo, metti i comandi sull’automatico e premi B— 6. Conosce la strada; quando ammarerò, sarà già sulla spiaggia ad aspettarmi. E ora — disse spalancando le ali del suo delta in un glorioso scoppio di fiamme — se vuoi tirar via Wyss’huk dal bracciolo della mia carrozzella e farti indietro…
Wyss’huk aveva già abbandonato il suo posatoio. Harriet attese il vento giusto, rendendosi conto solo in quel momento che era un bel po’ che non sentiva più Wyss’huk imprecare. — Finita la scorta di insulti? — gli chiese.
— Non ho niente da dire a una lumacona strisciante.
Harriet rise. Eccolo, il suo vento: ne sentiva la forza. Fischiò perché le braccia meccaniche la girassero nel modo giusto. Sì! Il vento le gonfiò le ali, la strattonò perché si decidesse a lasciare il suo rifugio.
— Lei resti pure qui a terra, Wyss’huk. Che la passeggiata a piedi la diverta. Ma intanto, guardi questa lumacona che vola!
Fischiò per farsi lasciare dalle braccia meccaniche. Per un lungo momento sembrò che non dovesse succedere nulla, poi si trovò nel vento, a volare.
La sensazione era quella che aveva già avvertito migliaia di volte prima: era quella della libertà. Tutto il peso gravava sull’imbracatura, e lei avvertì che stava scivolando verso il basso. Sistemò meglio la presa delle mani, indirizzò Falcodifuoco, e lui balzò in avanti, quasi che anche lui avesse il capogiro dall’eccitazione.
Volava. Una trentina di metri più tardi, si rese conto che l’urlo trionfante che sentiva veniva proprio da lei e che, se avesse continuato su quel tono, sarebbe rimasta senza voce per una settimana. Ma anche così dovette fare uno sforzo per smettere.
E, quando tacque, poté sentire dall’orlo del dirupo la voce di Majnoun che gridava: — Vai! Vai! Vai! — accompagnandosi col vento.
C’era anche un altro suono, un sibilio, uno sputacchiamento, che si sentiva forse anche meglio delle grida di Majnoun. Harriet planò, con l’orecchio teso al sospiro del vento nelle ali e alle istruzioni che le sibilava Wyss’huk. Riusciva a sentire distintamente ogni parola, anche se ne capiva una su dieci. Wyss’huk non stava più scagliando maledizioni.
Harriet, come in un sogno, solcò l’aria, cercando di scendere. La spiaggia era sempre più vicina. Sul confine della spiaggia, Isobel gridava parole inintelligibili, si agitava, saltava senza posa.
Il sibilo alle sue spalle disse: — Accorcia… scivola verso destra… con cautela, figliola.
Angolò sulla destra, trovò l’ascensionale giusta proprio come Wyss’huk le aveva promesso, e la usò per allungare la sua inclinazione in direzione del mare. Qui trovò il refolo giusto per girare e, come aveva promesso a Majnoun, s’abbassò ancora sulla superficie del mare, alla ricerca di un posto che non fosse troppo lontano dal punto in cui c’era Isobel.
Mentre si metteva parallela al dirupo, vide Majnoun che si stava dirigendo alla sua volta. La sua carrozzella stava scendendo verso la spiaggia. Wyss’huk stava seduto al posto del conducente ma non stava guidando: la guardava e le sibilava le sue istruzioni.
Le ricordavano i versi che sua madre le aveva insegnato a fare strusciando le dita su un palloncino. Ah, si disse, mentre trovava un altro refolo d’aria che la portava ancor più vicino a Isobel, Wyss’huk mi parla come a un bambino che sta facendo il suo primo volo!
Non poteva farsi guidare da lui nel suo atterraggio, perché troppa era la concentrazione che doveva usare. Perdi aria, rallenta, perdi aria… si trovava a meno di un metro dalla superficie dell’acqua e… ora!
Lasciò l’imbracatura e si lasciò cadere a piedi in avanti: l’acqua si richiuse sopra il suo capo. Per un lungo attimo, si sentì affondare. Ma la sua gioia non si spense. Fu esaltata persino dal freddo pungente dell’acqua. Poi alzò le braccia e si lasciò portare fino alla luce.
Riaffiorò e subito scrollò la testa per liberare la vista e lanciare un altro involontario strillo di gioia. La prima cosa che vide fu il cielo, immenso e invitante.
La seconda fu Isobel, che stava nuotando furiosamente alla sua volta, poi vide Majnoun toccare terra, liberarsi dal suo equipaggiamento e correre verso il bagnasciuga. Poi scoprì la gloria arancione di Falcodifuoco che fluttuava lieve sulle onde, a pochi metri da lei. Harriet cominciò a nuotare in quella direzione per assicurarsi che non avesse subito danni. Majnoun aveva ragione, abbisognavano di una qualche pastoia per diminuire i rischi di danni alle ali.
— Direi che va benone — disse Isobel da dietro la sua spalla. — Però faremmo meglio a dargli un’occhiata sulla spiaggia. Lasciamo prima che si asciughi.
Isobel prese la punta di Falcodifuoco e la assicurò al gonfiabile. Poi allungò le mani verso Harriet. — Qual è il modo migliore per aiutarti?
— Io nuoto con le braccia, tu prendimi le gambe e spingile dietro di me.
Isobel era al suo secondo bagno per quel giorno, e stavano entrambe ridendo così tanto che non riuscivano ad avanzare di un centimetro verso la spiaggia dove le aspettava Majnoun, immerso fino alla vita, per aiutare Harriet.
Quando la rimise sulla carrozzella lei stava ancora ridendo. Le mise Falcodifuoco, ancora sgocciolante, sulle ginocchia. — Nessun danno — la rassicurò-però…
— Ci inventeremo qualcosa — convenne Harriet aggiungendo un cenno verso Wyss’huk, che si era di nuovo installato al posto al suo fianco.
Il vocabolario di Harriet era sufficiente perché potesse porgli una domanda in crotonita: — Che ne dici, figliolo? Vuoi permettere a Majnoun di insegnarti a volare, oppure vuoi trascinarti sul terreno per il resto della tua esistenza?
I suoi occhi arancione incontrarono quelli di lei, e brillavano tanto quanto Falcodifuoco. — Che un umano insegni a volare a un Crotonita… — Sputacchiò quelle parole, ma lei capì che non erano lo sprezzante rifiuto che poteva apparire; erano un sì, pieno e deciso.
Guardò Majnoun e sorrise. — Ecco fatto. Aiuta questo lumacone a volare. — Poi, rivolta a Wyss’huk, aggiunse: — Oggi è una bellissima giornata per volare.
— Sì — rispose lui.
Malgrado tutte le imprecazioni di Wyss’huk, Majnoun lo fece partire dal basso, come tutti, per poi salire piano piano. Fu su una lunga, bassa inclinazione che il Crotonita apprese a volare con le mani anziché con le sue ali mancanti, fu sempre lì che Majnoun risistemò entrambe le ali e l’imbracatura perché s’adattassero meglio al fisico dell’alieno.
Ma il Crotonita conosceva bene il vento e, una volta che ebbe appreso i principi da cui dipendeva il controllo delle ali artificiali, divenne il più bravo fra tutti gli allievi cresciuti da Majnoun.
— Se il tempo tiene anche domani, Wyss’huk, credo che sarai in grado di volare da lassù fino a Fallaway Point.