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— Non oggi?

La bellicosità era stata rimpiazzata da una tranquilla ansietà che Harriet riusciva a vedere anche attraverso le ostruzioni create dalla maschera respiratoria e dalla mancanza di toni nella versione nevelse di Wyss’huk.

— Oggi no — intervenne Harriet, prima che Majnoun potesse rispondere. — L’oscurità s’avvicina, e io voglio attraversare il bosco prima che faccia buio. E poi, la sua maschera respiratoria ha bisogno di essere rinnovata. Tutta questa eccitazione l’ha sottoposta a un superlavoro più di quanto lei avesse pianificato e…

Wyss’huk le strizzò l’occhio, poi fece una specie di controllo, toccando l’equipaggiamento con le sole dita. I suoi occhi si spalancarono. — Hai ragione, Ha’rit — disse in nevelse. — Dobbiamo tornare alla svelta all’ambasciata.

Dedicò un’ultima, rabbiosa occhiata al cielo, poi aggiunse: — Che domani sia una giornata felice per il Suscitatore di Venti.

— Mi hai rubato le parole di bocca — disse Majnoun.

In un coro di saluti, Harriet partì diretta alla città, questa volta con Wyss’huk seduto sulla sella da amazzone. Stava avvertendo la stanchezza di quella giornata, e sapeva che anche Wyss’huk l’avvertiva, soprattutto per lo sforzo di volare in quel modo inusuale.

Era troppo felicemente stanca per fare qualche tentativo di conversazione. Anche Wyss’huk rimase silenzioso per tutto il tragitto. Lei gli gettò un paio d’occhiate, ma non riuscì a capire nulla dalla sua espressione. Che dipendesse dalla luce calante o dalla sua ignoranza, era una cosa che non sapeva dire.

A pochi metri dal Campo di St. Elsie, Sua Altezza balzò fuori da un folto d’erba e miagolò il suo saluto. Harriet rallentò la marcia e gli rispose nello stesso tono. Un attimo dopo Sua Altezza era seduto sul grembo di Harriet, soffiando con furia.

— Sì — disse Harriet. — Ho volato.

Ma non si trattava di Harriet, né del profumo dell’aria o dell’odore del mare quello che interessava Sua Altezza. Allungò il collo e soffiò con forza in direzione di Wyss’huk, con le labbra aperte nel tipico sogghigno gattesco.

Wyss’huk lo guardò a sua volta, affascinato.

Dopo un poco Sua Altezza disse a Wyss’huk dove poteva andare, dove doveva sedersi, e perché valeva meno di un topo in decomposizione. In gattese, Harriet gli disse che, se non chiudeva quella boccaccia, l’avrebbe infilato nel riciclatore di rifiuti della prima casa che avrebbero incontrato. Sua Altezza girò un orecchio nella sua direzione, stabilì che mentiva, e disse a Wyss’huk qual era l’orifizio in cui doveva mettere cosa.

Wyss’huk rispose: — Che la putredine abbia inizio dalla tua zampa sinistra e che si smangi il tuo corpo un centimetro alla volta. Che le tue orecchie e la coda siano le ultime a soccombere e che possano caderti dalle ossa col putrido puzzo di un’ameba in dissoluzione. E che tutti i tuoi parenti siano presenti, per apprezzare la cosa fino all’ultimo.

Harriet lo guardò ammirata. Sua Altezza ronfò e poi, delicatamente, trasmigrò dal grembo di lei a quello di Wyss’huk. — Questa me la devo ricordare — disse Harriet. — È proprio buona! — Sua Altezza si sfregò con delicatezza contro la spalla del Crotonita.

Wyss’huk si limitò a gratificarlo di un’occhiata. In quella luce fioca, i suoi occhi erano di un dorato sinistro. Sua Altezza lo fissò, ma continuò a fare le fusa.

— Non m’è mai capitato di vedere occhi color del cielo — disse Wyss’huk al gatto, parlando in nevelse. — Perché il Propagatore di Venti deve favorire in tal modo una creatura strisciante?

— Wyss’huk, deve capire che questo è un animale da compagnia. Io non so se da voi si usa fare come da noi; questa è una specie nonsenziente che teniamo con noi. A proposito, gli piace essere grattato dietro le orecchie.

— Non è senziente? Ne siamo sicuri? Dice parolacce come un qualsiasi senziente.

Harriet rise. — Questo è vero.

Ma se consideriamo tutte le risse in cui si lascia coinvolgere, se fosse senziente sarebbe un idiota.

— Come gli umani e i Crotoniti — fece notare Wyss’huk. Stava, molto delicatamente, grattando dietro le orecchie di Sua Altezza con le dita ad artiglio.

— Molto vero — convenne Harriet. Frenò davanti all’ambasciata Pssstwhit e batté con la mano sul grembo per farvi tornare Sua Altezza.

Né Sua Altezza né Wyss’huk vi fecero caso. Dopo un poco Wyss’huk parlò di nuovo, ma così piano che le sue parole si confusero con le fusa del siamese. — Tu parli un po’ della mia lingua, ma capisci molto più di quanto dici. Capisci la parola pippest?

— No, mi rincresce.

— Tradotta letteralmente in nevelse significa all’incirca «cambiatore». Indica una persona che opera un cambiamento profondo nella vita di un’altra, soprattutto un cambiamento per il meglio. Tu sei il mio pippest.

Harriet inarcò le sopracciglia.

— E lei lo è per me. Non avrei mai ripreso a volare se non fosse stato per lei. Lei me l’ha reso possibile, ha agito sulla mia testardaggine per rendermi capace di farlo.

Rimasero in silenzio per un poco. Le fusa di Sua Altezza s’ingigantirono quando l’artiglio di Wyss’huk trovò un punto particolarmente sensibile. Poi disse: — Non avrei mai creduto possibile che un Erthuma e un Crotonita divenissero pippest l’uno per l’altro.

— Non vedo perché no, Wyss’huk. Credo che abbiamo fatto una buona cosa, e adesso dobbiamo proseguire.

Lui emise un suono ticchettante, che lei aveva sempre associato al piacere per un Crotonita. — Sei consapevole che le parole «perché no?» sono intraducibili in crotonita? Voi Erthumoi lasciate aperte delle possibilità, cosa che noi non facciamo. Sto solo adesso cominciando a comprenderne il significato. Con un’alzata di spalle, giusto?

— Esatto. Con un’alzata di spalle, ma anche con un sorriso.

— Allora chissà, potremmo persino diventare amici. — La sua alzata di spalle era esagerata e, per via del becco, il sorriso era improponibile, ma Harriet sapeva che quello era il significato. — Anche se l’amicizia fra un Crotonita e una Erthuma è impensabile, perché no?

— Davvero, perché no — convenne Harriet. — E, se incontreremo qualche problema, metteremo le ali alle nostre parole.

In quel momento capì che quel suono significava davvero piacere. — «Mettere le ali»! Sì! Non avevo mai riflettuto sui significati di queste parole. — Per dimostrare che anche a lui la cosa garbava, Sua Altezza colpì Wyss’huk con una testata al petto.

— Mi piacerebbe — disse Wyss’huk — darti qualcosa in cambio di quello che mi hai dato tu.

— Gliel’ho già detto, Wyss’huk. Anche lei è stato pippest per me. Ma se davvero ne sente la necessità, allora potrebbe soddisfare la mia curiosità.

— Quale curiosità hai? A meno che non sia un soggetto tabù… ma anche in questo caso potrei provare a rispondere.

— Perché mai Pssstwhit apre un’ambasciata in un posto di poco conto come RosePasse? Mi è assolutamente incomprensibile, anche se ci ho pensato a lungo fin da quando ne ho avuto notizia. — Lo fissò negli occhi. — Se si tratta di un qualche segreto di stato, annullo la domanda. Non voglio causarle guai con la sua gente.

C’era sorpresa in quei luminosi occhi arancione. — Oh, ma… ma allora non sai nulla delle nostre fazioni. Vedi, se Pssstwhit non avesse mandato un ambasciatore, l’avrebbe potuto fare Stiss. E Stiss avrebbe potuto dichiarare che parlava per Pssstwhit. E Pssstwhit questo non può permetterlo. Ha senso tutto ciò per te?

Be’, un po’ ce l’aveva. Si mise a ridacchiare. — Sì. Temo proprio di sì. Per lo meno, ricorda molto le cose che fanno anche gli Erthumoi. Lei è qui per «stabilire una presenza». Lo stesso fa Sua Altezza quando si sdraia al centro del mio letto per dire che quel territorio è suo, non mio.