Ma perché abitazioni così primitive per una razza spaziale? I Locriani avevano dimenticato come si facesse a costruire rifugi migliori per sé mentre erano lì? O era solo il loro modo di vivere da indigeni? «Forse vengono qui quando vogliono andare in campeggio a contatto della natura selvaggia… «
«Comincio a risentire dell’aria» pensò Beynes, scuotendo la testa. Provava già un senso di intontimento. D’Lambert lo aveva avvisato. Controllò il cronometro al polso. Ancora un paio d’ore di margine di sicurezza tra il lancio della navetta e l’orario previsto d’arrivo della prima astronave locriana. Comunque, Ahmad aveva comunicato appena qualche minuto prima dal Capital Explorer che i sensori a lungo raggio della nave non avevano individuato nulla ai margini del sistema. Nessuna turbolenza iperspaziale, nessuno scafo locriano o erthuma; non c’era nient’altro nel sistema da quando il satellite locriano era stato silurato. «Dovrei ringraziare il cielo» si disse Beynes. «Anche se questa palla di polvere non ci frutterà un soldo, almeno ce ne andremo di qui senza…»
Il suo comunicatore ronzò. Beynes lo sganciò dalla cintura e lo accostò alla faccia, ma non fece in tempo a parlare perché attraverso l’auricolare gli giunse la voce stridula di Francisco.
— Cos’hai di buono per me, Beynes?
«Magari vorresti qualcosa tipo una vecchia bottiglia di liquore ex-gi, eh?» Beynes sospirò a fondo — almeno per quanto gli consentiva l’atmosfera rarefatta — e quel gesto inconscio bastò ad acuire il capogiro, comunque tenne a freno la lingua. Francisco era sceso sulla superficie di Mecca soltanto per pochi minuti prima di ritirarsi a bordo della navetta. Lo zoticone senza dubbio stava «dirigendo» le operazioni dalla cabina di pilotaggio del mezzo da sbarco, in compagnia di un atroce mal di testa da sbornia, e impaziente di tornare nel proprio alloggio sul Capital Explorer per combattere con un’altra bevuta la sua paura non infondata di ammutinamento. — Ancora nulla, capitano — rispose deciso Beynes. — È una discarica, proprio come sospettava l’ufficiale scientifico. Non penso che…
— Non m’importa cosa pensi — l’interruppe Francisco. — E la città locriana? Niente che valga la pena di prendere, là?
Beynes corrugò la fronte.
— Capitano, non penso… credo che dovremmo lasciar stare l’insediamento locriano. Ci troviamo già in una posizione rischiosa per il semplice fatto di essere atterrati qui. Penetrare nella città potrebbe essere pericoloso, anche se là ci fosse qualcosa di recuperabile. A giudicare dalle apparenze, non penso…
— E io ti ho appena detto che non m’importa un accidente di quel che pensi o credi, Beynes! — urlò Francisco. — La tua opinione non vale niente per me! Non abbiamo attraversato mezzo settore galattico perché ti preoccupassi di qualche tana d’insetto abbandonata. Ora voglio che tu prenda D’Lambert e un paio di uomini e…
Di colpo la voce di Francisco fu interrotta da tre bip acuti. Beynes impiegò un secondo per riconoscere il segnale di un inserimento d’emergenza; mentre il cervello gli si snebbiava, la voce di Ahmad risuonò nel comunicatore. — Squadra di sbarco, parla l’Explorer! — gridò il timoniere.
— Emergenza priorità alfa-tre-due!
Alfa-tre-due era un codice erthuma usato di rado: significava che un’astronave era sotto la minaccia di un attacco nello spazio. Beynes non aspettò che Francisco ricordasse le proprie responsabilità né gli diede il tempo di rispondere in codice. — Ahmad, parla Beynes! Riferire la situazione!
— Uno scafo locriano è appena uscito dall’iperspazio sopra la superficie del pianeta! Stessa orbita, distanza quattrocento chilometri, in avvicinamento! Ripeto, abbiamo uno scafo locriano vicino!
Beynes raggelò. Una nave locriana che usciva dall’iperspazio a così breve distanza da un pianeta? Era una manovra quasi suicida, che il comandante di una nave avrebbe rischiato solo se… no! — Segnalare intenzioni amichevoli!
— gridò. — Ahmad, segnalare intenzioni amichevoli!
Una pausa. In sottofondo, Beynes sentì degli allarmi e delle voci confuse che gridavano a bordo del mercantile in orbita. — Nessuna risposta ai segnali amichevoli sui canali standard, Arne! Distanza duecento chilometri, in avvicinamento…!
D’un tratto la voce di Francisco s’inserì nella comunicazione. — Timoniere, preparare le armi e sparare! — urlò. — Ripeto, preparare tutte le armi e sparare!
— No! — gridò Beynes nel comunicatore, guardando istintivamente il cielo azzurro velato di foschia sopra la città. — Annullare l’ultimo ordine, Ahmad! Ripeto, non…!
All’improvviso attraverso l’auricolare si udì uno sqqquuaa-aauunnkkkk!: il rumore inconfondibile di un impulso elettromagnetico provocato da un’esplosione nucleare. Un attimo dopo, una supernova in miniatura brillò all’orizzonte a ovest.
— Ahmad! — gridò Beynes. — Capital Explorer, parla Beynes, per favore rispondete! Ahmad!
Delle scariche atmosferiche avevano sostituito per sempre la voce allarmata di Ahmad. A bocca aperta, trattenendo il fiato, Beynes osservò le sottili strisce bianche che cominciarono a solcare la fascia superiore della stratosfera di Mecca. Attraverso il fragore che gli echeggiava nelle orecchie, sentiva le urla inorridite del resto della squadra di sbarco accanto alla fossa dei rifiuti ex-gi. Anche lui avrebbe voluto urlare, ma non riusciva nemmeno a respirare mentre osservava i rottami della sua nave che si disintegravano negli strati alti dell’atmosfera di Mecca. I Locriani… i Locriani… i Locriani avevano appena…
— Partenza immediata! — sentì sbraitare di colpo da Francisco nel comunicatore.
Partenza immediata…? Malgrado avesse sentito spesso quell’ordine, Beynes non afferrò subito il significato delle parole di Francisco, e anche dopo averlo afferrato ebbe dei dubbi. Tornò ad accostare il comunicatore al volto inebetito. — Capitano, non…
Alle sue spalle ci fu un rombo improvviso, un rumore assordante di reattori a fusione nucleare, più forte del ruggito del sangue nelle sue orecchie. Uno scirocco si alzò attorno a lui, raffiche calde di vento artificiale che sollevarono turbini di polvere… e un terremoto in miniatura gli fece tremare il terreno sotto i piedi. Ancor prima di potersi girare, Beynes riconobbe il rumore dei motori della navetta avviati frettolosamente. La sabbia gli sferzò il viso, costringendolo a inginocchiarsi, mentre stringeva il comunicatore e gridava: — Francisco…!
— Decollo! — gridò il capitano.
— Francisco! — urlò Beynes. Attraverso la tempesta di sabbia, vide la sagoma massiccia della navetta alzarsi lentamente sulle colonne incandescenti di vapore di scarico espulse dai propulsori. Il mezzo da sbarco salì — venti metri, trenta, cinquanta — con il carrello ancora all’esterno; il capitano li stava abbandonando, lasciandoli in quel posto di merda, sottraendosi all’ira dei Locriani…
— Francisco — ringhiò Beynes — pezzo di bastardo…!
Poi il veicolo spaziale sembrò inclinarsi verso destra e beccheggiare, come ubriaco, ricordando i barcollamenti di Francisco stesso nei corridoi del Capital Explorer.. perse quota ma acquistò velocità mentre il capitano si dava da fare coi comandi. Beynes sapeva già quale fosse il problema. Pagine di manuali di istruzioni di volo parvero scorrergli nella mente, avvertimenti per evitare certe situazioni pericolose —…non si decolla così, non hai potenza sufficiente, non puoi… — mentre si gettava a terra.