— E adesso — disse Globo Nero con voce che veniva dalla sua apparecchiatura con toni bassi e minacciosi — mi occuperò di te.
— Occuparti di me, O Graziosa Dea? — disse Daocan con un sorriso forzato. — Ma io non ho fatto nulla…
Globo Nero lo ignorò. Lui-lei si rivolse ai due preti-schiavi. — Toglietegli la catena. Portatelo oltre il più lontano dei fuochi da campo, in un luogo da cui nessuno possa sentire le sue urla, e battetelo senza pietà. Non fate che muoia. Poi, riportatemelo.
— Sì, dea — dissero i preti-schiavi, col volto privo di emozione. Daocan non disse nulla mentre gli toglievano la catena dalla gamba e lo portavano con loro.
Globo Nero si rivolse agli altri preti-schiavi rimasti nel padiglione. — Desidero rimanere solo per un po’ — disse lui-lei. — Questa notte mi aspetto di ricevere notizie dalle altre divinità, e questa non è certo materia per orecchie mortali.
Gli antropoidi s’inchinarono profondamente e s’allontanarono rinculando da Globo Nero.
Passato un po’ di tempo, dopo che Globo Nero era tornato sulla navicella, lui-lei ricevette un messaggio alla radio iperspaziale del mezzo. — Naxiano — disse una voce asprigna — Mi ricevi adesso? Dovrò apparire in catene come un qualunque generale sconfitto?
Globo Nero aggrottò la fronte. Oltre alle battaglie, il suo unico reale divertimento che lui-lei aveva in quel dimenticato mondo di Porea erano i suoi segreti contatti col Crotonita. Lui-lei, in realtà, aveva sempre odiato oltre che diffidato di quella razza dalle ali di pipistrello; anzi, a dirla tutta, lui-lei aveva sempre odiato tutte le altre razze della galassia. Anzi, a lui— lei, in realtà, non piacevano nemmeno gli altri Naxiani.
— Forza, vieni, Katua — disse lui-lei, parlando nel vecchio simultrad erthumiano. — E cerca di non farti vedere. Tutti sono convinti che tu sia Jind, il dio daglawano del mondo sotterraneo. Sarebbe difficile spiegare la tua presenza nel mio tempio segreto.
Katua emise un suono strano; Globo Nero si chiese se per caso non stesse ridendo. — Non sarebbe difficile trovare una storiellina che vada bene per questi antropoidi, Naxiano. Ti preoccupi troppo.
— Tu puoi lasciare questo pianeta quando più ti aggrada, Katua. Io sono un fuggiasco. E poi, mi piace fare la dea della vittoria. E non voglio che succeda qualcosa che mi renda la vita più difficile di quanto già non lo sia.
— Ai tuoi ordini… dea! — E fece sentire di nuovo quello strano, indecifrabile suono.
Globo Nero si rilassò, compiaciuto per gli avvenimenti di quella giornata. L’invasione di Daglawa stava procedendo senza intralci particolari. Malgrado quanto aveva appena detto agli Yempeniti, lui-lei non aveva alcuna intenzione di lasciare in pace gli antropoidi confinanti. Globo Nero si divertiva in sogni a occhi aperti in cui lui-lei guidava una terribile armata in una grande crociata di conquista che, partita da una nazione poco civile, arretrata, avrebbe poco alla volta soggiogato l’intero pianeta di Porea sotto il di lui-di lei comando. Con la sua estesamente superiore conoscenza della scienza e della tattica militare, lui-lei avrebbe potuto, nel giro di pochi anni, diventare il dittatore unico di quel mondo promettente. L’unico che si poteva opporre, come Globo Nero ben sapeva, era il Crotonita, Katua.
Ma era anche sicuro-a che Katua non aveva piani su Porea. C’erano molti altri mondi che si sarebbero potuti meglio adattare alle esigenze di un Crotonita.
Un pungente odore avvertì Globo Nero che qualcuno stava tentando di entrare nella sua navicella. Lui-lei controllò i monitor di sicurezza e vide Katua, praticamente invisibile entro la sua sinistra tuta nera come la notte. Il Naxiano sbloccò il portello e rimase in ascolto dei rumori metallici prodotti dall’altro sulle passerelle di metallo che portavano al di lui-di lei pozzetto di comando.
— Naxiano, sei veramente un avversario potente — disse la creatura alata. La sua voce era distorta prima dal suo microfono incorporato nella tuta, e poi dal simultrad.
— Mettiti a tuo agio, Crotonita — disse Globo Nero, ben consapevole che comunque non c’era nulla che s’adattasse alla forma e alla statura di Katua.
Era impossibile vedere la faccia di Katua dietro il casco che portava, ma anche Globo Nero condivideva con l’altro l’invidiabile abilità di stimare lo stato mentale ed emotivo di tutte le creature senzienti. E lui-lei adesso sapeva che il Crotonita era in uno stato di grande piacere, era quasi esuberante, malgrado le terribili perdite subite dal suo esercito.
— Non ho permesso che i miei guerrieri inseguissero i tuoi — disse Globo Nero. — Sto sperimentando la galanteria e la misericordia.
Katua annuì. — Ci ho provato anch’io una volta. Immagino che i miei te ne siano grati. I miei soldati si stanno raggruppando e medicando le ferite. Più tardi m’incontrerò coi miei generali e discuterò con loro i piani per domani.
Globo Nero era perplesso. — Domani? — disse lui-lei. — Ma le tue forze devono essere completamente distrutte. Mi aspettavo che tu venissi qui a discutere le condizioni della resa delle tue città.
Il Crotonita fece sentire di nuovo quel suono-risata. — Sì — disse — ci sarà una nuova battaglia domani. Ho due armi segrete che, ne sono sicuro, volgeranno le cose a favore di Daglawa.
— Ma noi siamo molto più numerosi…
— Questo è vero. Ma, Naxiano, le nostre rispettive razze hanno messo in disparte la guerra per così tanti secoli che molte delle più importanti lezioni sono andate perse. Una cosa, per esempio: non sempre l’esercito più numeroso vince.
Globo Nero si stava irritando di nuovo. — Sì, questo lo capisco. Quindi tu pensi di avere delle armi segrete che ti ripagheranno delle perdite disastrose subite oggi.
— Sì.
— E allora perché non le hai usate oggi prevenendo in tal modo la distrazione de! tuo esercito?
Katua non rispose, ma minuscoli cambiamenti nel modo in cui teneva la testa e il corpo gli-le dissero che il Crotonita non aveva usato quelle armi di proposito. Si era divertito a guardare il macello della sua armata così come aveva fatto lui.
— Sono solo degli scava-fango — disse il Crotonita, ben conscio dell’abilità empatica del Naxiano.
— Io sono il dio dei Daglawani, ma loro non significano nulla per me, così come gli Yempeniti non significano niente per te. Sono solo selvaggi che strisciano nel fango, e la loro vita è un affronto per la mia sensibilità. L’unica cosa che posso dire di loro è che il modo in cui muoiono è, talvolta, divertente.
Rimasero a fissarsi per un lungo periodo, poi Globo Nero sibilò e fece un tentativo per onorare il ristabilimento dell’etichetta interspecie. — Purtroppo non ho cibo appropriato da offrirti — disse lui-lei.
— Ne ho portato con me — disse Katua. Globo Nero sapeva che i Crotoniti preferivano cibarsi solo di altre creature volanti, e di solito solo quelle che avevano catturato loro stessi. Si chiese che genere di creatura avesse preso l’altro; lui-lei non aveva visto molte specie alate nel cielo che sovrastava la desolata pianura del Daglawa occidentale.
Globo Nero si preparò il proprio cibo, che lui-lei prese dalla dispensa della navetta. Il Naxiano era pignolo con la di lui-di lei dieta, e non mangiava nulla di quanto cresceva su Porea. Quando la navetta avrebbe esaurito le scorte, sarebbe andato a rifornirsi nel più vicino mondo della confederazione naxiana. Se poi sarebbe tornato-a su Porea oppure si sarebbe diretto-a su un altro mondo extrafederazioni, tutto ciò sarebbe dipeso dal capriccio del momento.
Quando entrambi ebbero terminato i rispettivi pasti, rimasero seduti a guardarsi in silenzio. Parlò per primo il Crotonita. — Bene, Naxiano — disse — abbiamo pagato il dovuto rispetto alle leggi sociali che governano le nostre specie nella galassia. Adesso devo andare; nessuno di noi può continuare a lungo a fingere che stiamo godendo l’uno della compagnia dell’altro.