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Globo Nero sibilò. — E allora vai, Katua, e fa’ del tuo meglio per radunare le tue sparse truppe. Comunque ti avverto: i miei seguaci odiano Jind più di quanto non ne abbiano paura e, se domani ti mostrerai, potrai scoprire da te quanto sono affilate le lance dei miei guerrieri. Che morte indecorosa per un rappresentante delle Sei Razze.

Katua rise. — Domani pensa alla tua, di pelle — rispose. Globo Nero non si alzò mentre l’altro si dirigeva verso il portello esterno.

Quando cadde la notte e le prime stelle apparvero nel cielo, i preti— schiavi di Globo Nero tornarono con Daocan, il suo cucciolo. Era stato picchiato con cura e con grande attenzione secondo gli ordini ricevuti; i preti-schiavi lo riportarono nel padiglione di lui-lei e lo incatenatone di nuovo al piolo.

Globo Nero tenne d’occhio l’operazione attraverso un monitor, e si chiese se lui-lei avrebbe dovuto ordinare cibo e acqua per il cucciolo. Ma poi lui-lei decise di no. Sarebbe stato come dimostrare una debolezza, mentre lui-lei voleva dimostrare che, benché Yersoth fosse una dea giusta, lui-lei era anche molto rigida perché ci se ne potesse approfittare. Il rinfrescante cinismo di Daocan aveva inciso un po’ troppo, e Globo Nero non voleva assolutamente che qualcuno degli altri antropoidi pensasse che certe libertà erano permesse.

La notte stava rinfrescando, e Globo Nero osservava Daocan che soffriva miserevolmente per la fame, la sete e le percosse. Gli occhi gialli del Naxiano fissavano il monitor senza un battito di ciglia, mentre l’oscurità calante rendeva le forme dell’antropoide sempre più indistinguibili. Allora Globo Nero s’immerse nelle profondità della di lui— di lei cuccetta dove, contorcendosi sinuosamente e delicatamente, s’abbandonò al sonno.

Il mattino seguente, quando lui-lei uscì dalla navetta per incontrare la luce rossa e polverosa di Ksul, ad attenderlo-a c’erano, come al solito, il generale e Daocan.

— Ho parlato con Jind — disse Globo Nero — e lui non s’è né scusato né ha chiesto la pace. Era mia intenzione lasciare che i Daglawani tornassero sani e salvi alle loro case, ma hanno respinto le mie profferte e deriso la mia potenza. Sono molto triste, ma ora altro non ci rimane se non sterminare le loro forze fino all’ultimo uomo. Dobbiamo assicurarci che la pace di Yempena non venga mai più minacciata da quei rinnegati.

Il generale Xinseus aveva un aspetto truce. — Anch’io sono-molto triste, O Possente Dea. Un tempo non molto lontano i Daglawani erano nostri fratelli. Le nostre nazioni possono guadagnare molto più da pacifici commerci che da un’incursione armata.

Globo Nero lo fissò. — Già, pacifici commerci — disse lui-lei distrattamente. Lui-lei aveva lo sguardo fisso oltre l’orizzonte, dov’era apparsa una lunga fila di fanti daglawani. — Osserva, generale Xinseus — disse lui-lei.

Lui si voltò e fissò a sua volta i lanceri nemici. — Hanno cambiato tattica — osservò. — Ogni compagnia non si butta più all’impazzata nella mischia, ma stanno marciando in ordine, disciplinatamente, come tu ci hai insegnato. Chi può aver indotto questo cambiamento nei loro schemi tattici?

— Jind — disse Globo Nero — mi ha fatto sapere di avere due armi segrete da usare contro di noi.

Xinseus lanciò un’occhiata al proprio accampamento, dove i suoi subordinati stavano radunando gli uomini per affrontare i Daglawani. — Se questa è la sua idea di un’arma segreta — osservò — i nostri arcieri gli faranno ben presto cambiare idea.

— Guarda laggiù, O Potente Yersoth! — gridò Daocan. Il suo magro corpo era interamente coperto di ferite e di terribili scorticature. Sembrava troppo debole per potersi reggere, e così se ne stava inginocchiato accanto alla dea.

— Che cosa c’è? — chiese il Naxiano.

— La loro cavalleria — disse Daocan.

— Non è niente — disse Xinseus. — La nostra cavalleria è cinque volte più potente della loro. Li scacceremo dal campo di battaglia come abbiamo fatto ieri.

— Ma guardate! — insistette Daocan. — Cavalcano i loro dahl usando strane selle. Guardate come stanno ritti e come maneggiano le loro mazze!

— Come possono stare così ritti! — disse Xinseus con espressione turbata.

— Staffe — mormorò Globo Nero. — Quel maledetto pipistrello ha dato loro le staffe. Dove mai ha imparato cos’erano? I Crotoniti volano, non cavalcano né hanno bestie da soma.

— Staffe? Che cosa sono, O Dea? — chiese il generale.

Gli occhi di Globo Nero diventarono due fessure irose. — Le ho viste usare su altri mondi — rispose lui-lei. La voce di lui-lei era venata d’ira, che traspariva malgrado il simultrad. — Però, solo gli Erthumoi e i Locriani cavalcano sul dorso delle loro stupide bestie, e qui non ci sono né Erthumoi né Locriani. Se ci fossero, lo saprei.

— Lui-lei ebbe una contrazione, più uno spasmo dovuto all’ira che ad altro. — Con le staffe, i cavalieri daglawani potranno colpire con forza maggiore con le mazze e le lance, senza correre il rischio di cadere di sella. La nostra cavalleria va bene solo per inseguire i fanti in fuga. Adesso la loro cavalleria è molto più potente della nostra; i nostri cavalieri non potranno opporlesi senza cadere a terra. Adesso, la nostra superiorità numerica non significa più nulla. E quella loro disciplina appena acquisita…

— Non ti devi preoccupare, Potente Yersoth — disse Xinseus.

— Noi oggi conquisteremo il campo di battaglia, come abbiamo fatto ieri, malgrado il loro nuovo equipaggiamento. Dopo tutto, come potrebbero sconfiggere la dea della vittoria? — E partì di slancio verso il suo nahl.

— Ah ah! — rise Daocan. Globo Nero si voltò lentamente verso di lui. — Hai bisogno di un’altra lezione per imparare il rispetto, cucciolo?

— Forse sei tu che hai bisogno di una lezione — rispose Daocan.

Gli occhi gialli del Naxiano rimasero fissi. — Cosa vorresti dire, carino?

— Questa notte, mentre tremavo per il freddo, il Crotonita è venuto da me.

Globo Nero comprese al volo sentimenti e atteggiamento dell’antropoide, e sentì un principio di paura insinuarsi in lui-lei. Daocan aveva un’aria trionfante. — Vuoi dire che hai parlato con Jind, dio del mondo sotterraneo?

Daocan sorrise ironicamente.

— Non c’è nessun dio sotterraneo. È un Crotonita. Mi ha spiegato cosa vuol dire. E mi ha anche parlato dei Naxiani. E degli Erthumoi.

Globo Nero rimase in silenzio per parecchi secondi. — Perché ti avrebbe detto tutte queste cose?

— gli chiese alla fine lui-lei. Daocan si voltò a guardare il campo di battaglia. — Abbiamo fatto un patto.

— E tu cosa gli hai dato?

— Le staffe — rispose calmo Daocan. — Grazie per avermene rivelato il nome. Non sapevo proprio come chiamarle.

— E tu, cucciolo mio, dove avresti appreso dell’esistenza delle staffe? — Le parole del Naxiano erano pericolosamente calme.

— Un’idea, un’ispirazione — disse Daocan fieramente. — Mentre guardavo i combattimenti, ieri, ho pensato che la cavalleria sarebbe potuta essere più efficiente se i cavalieri avessero potuto fare forza su qualcosa quando colpivano. Poiché non è possibile per loro mettere piede a terra, allora ho pensato a qualcos’altro che Non c’era tempo per farle come le avevo concepite io, sicché oggi la cavalleria daglawana usa corde intrecciate legate alle selle. Ma ben presto i loro artigiani e i sellai apporteranno le proprie modifiche alla mia invenzione.

— La tua invenzione! — Globo Nero era furioso. Era chiaro che aveva terribilmente sottostimato l’intelligenza primitiva di Daocan, e la sua ardente voglia di vendetta. — Quindi, è questa la seconda arma segreta del Crotonita — disse lui-lei.

— No — rispose l’antropoide — quella è la prima. A marciare in ranghi l’ha appreso dagli Yempeniti. C’è ancora una seconda arma della quale tu nulla sai.