«Io volevo rimanere e cominciare la ricerca a terra, ma sarebbe stata una follia farlo da sola. Poi c’erano anche Uldor e un paio di Naxiani che avevano bisogno di cure urgenti che solo io potevo dare come si deve. Così ho chiamato Forholt e… lei è stato così gentile da venire in aiuto.»
Kristan sorrise di nuovo, ma il sorriso era un po’ acido. Aveva giudicato la risposta sarcastica, forse? si chiese la donna. Accidenti! Era come fare il giocoliere con una cassa di fulgorite.
Il sorriso svanì. — Può darsi che Copperhue non sia ricomparso semplicemente perché era morto? — chiese Kristan a bassa voce.
Laurice deglutì. — È quello che dovremo scoprire.
— Ce la faremo?
— Potremo almeno provarci. — Laurice studiò bene le parole prima di parlare: — Immagino che lei la consideri una gran perdita di tempo. Non è che lei sia poco comprensivo, ma perché trascinarla in questa faccenda? Be’, io ho bisogno di un compagno e deve trattarsi di qualcuno che conosca bene questo tipo di regione. Io ho una certa familiarità con le pianure — queste pianure voglio dire — ma non con le colline. Uldor un po’ le conosceva, ed è per questo che guidava la spedizione, ma adesso Uldor è fuori combattimento. Perciò non resta che lei.
— Se la zona le è così sconosciuta, che cosa può sperare di fare?
— Ho alcune idee. Vedrà. Kristan rimase in silenzio per un po’ prima di dire: — Senta, neanch’io sono mai stato da queste parti. I lycosauroidi avrebbero preso anche me alla sprovvista. Non posso garantire che non si verifichi qualcosa del genere.
Maledizione, pensò Laurice. Mi fa infuriare, poi cambia atteggiamento ed è tutto fascino. Vorrei che si decidesse. — Un’altra ragione è di non andare in giro da sola. Uh, dovevo controllare il suo equipaggiamento.
— Credevo che volesse prestare ascolto alla voce dell’esperienza.
L’ho punto di nuovo. Al diavolo. — Questa missione è speciale. A lei non è mai capitato di perdere qualcuno, vero? Non certo coi loro bracciali.
— A lei è mai capitato in altre spedizioni?
Mi sta sottilmente accusando di incompetenza? — Dei nativi, un paio di volte. E non capisco proprio come il suo gruppo pensi di imparare molto sulla vita selvaggia senza ricorrere al vecchio metodo di scarpinare dietro le tracce.
Laurice slacciò la cintura e si infilò sul retro del velivolo. Lo spazio era angusto e l’ispezione fu lenta; non si accorse neppure di pensare ad alta voce all’inizio:
— …gli abiti vanno bene, ma un cambio solo è sufficiente, non staremo via molto… il fucile, certo. Lascerò la pistola, ma terrò il machete. Se quei bestioni sono ancora in zona, preferirei non finire col diventare parte dell’ecologia locale… razioni, sì, non possiamo perdere tempo a sfruttare le risorse naturali… batteria da cucina, no, un peso inutile, mangeremo cibi freddi… la tenda? Mmm, pesa ed è ingombrante, ma si fa prima a montare una tenda che a costruire un riparo. Proveremo a portarla…
Dopo il controllo Laurice ritornò al suo posto. L’aereo si inclinò leggermente verso il basso.
— Piuttosto sbrigativa, eh? — osservò Kristan. — Sia chiaro, in caso abbia qualche dubbio sul suo giudizio, seguiremo il mio.
— Oh? — Sotto il gelo, l’irritazione. Era chiaro che dovesse esserci un capo. Era stata una grave incuria da parte sua non aver chiarito fin dall’inizio chi avrebbe comandato. La fretta e l’ansietà non erano scuse valide. — Mi riservo il diritto di obiettare. Ma non litighiamo adesso. Sono convinta che ascolterà la ragione.
— Lo stesso dicasi per lei!
Il paesaggio su cui scendevano era un susseguirsi di enormi cime e profondità abissali, tutto coperto di foreste eccetto nei punti in cui i pendii avevano subito un processo d’erosione riducendosi a nuda roccia. In fondo ai canyon scorrevano fiumi spumeggianti. Volute di nebbia stagnavano negli avvallamenti e lungo i costoni irregolari di quelle colline che in molti altri posti sarebbero state definite montagne. Sopra di esse andavano alla deriva nubi basse e scure. Da ovest, dove brillavano i lampi, Laurice sentì arrivare il rombo dei tuoni. Il vento sibilava e l’aereo vibrava tutto.
Su una costa orizzontale a metà di una collina, i boschi circondavano una radura in cui ribolliva una sorgente. Era il campo di Uldor. Laurice fu costretta ad ammirare l’abilità con cui atterrò Kristan. Sotto di loro non cresceva nulla, tranne pochi cespugli sparsi, per nulla simili alle erbe che si erano evolute su Venafer, ma l’aria turbinava violentemente in quello spazio ristretto, mentre tutt’attorno i grossi alberi erano coperti di spine e quelli più piccoli flagellavano l’aria come fruste. Quando Laurice uscì dall’abitacolo il vento che la investì per poco non le fece perdere i sensi. L’odore che trasportava le ricordò un profumo di muschio, aceto e chiodi di garofano e di altre cose di cui ignorava i nomi. E in mezzo a tutto questo si udiva un forte odore d’ozono.
Kristan la seguì e si guardò attorno sbalordito. Ignorò le provviste e le attrezzature sparse per terra, tralasciate nel corso di una rapida evacuazione. Ciò che richiamò la sua attenzione fu il campo stesso, fatto di teepee di canne e un rozzo camino di sassi per cuocere alla griglia. — Niente tende? — chiese.
— Le avevo detto che una parte importante del nostro progetto consisteva nello scoprire che cosa si può fare sfruttando le risorse locali — ribatté la donna. — Questo campo l’ho progettato io ed è perfettamente adeguato. Adesso carichiamo i bagagli e chiudiamo il velivolo. Non appena avrò trovato la pista ci metteremo in marcia.
— Ha portato un chemisensore?
— Vorrei averne uno, ma non avevamo nulla che fosse adatto a questo tipo di lavoro e dubito che ne abbiano anche a Forholt. Però ho portato i miei occhi e le mie conoscenze.
Kristan fece una smorfia, ma si trattenne. Laurice andava avanti e indietro scrutando per terra. A un certo punto si mise a carponi per esaminare foglie, rametti e terreno. Completamente assorbita da quel lavoro si dimenticò del tempo e del compagno.
Finalmente emerse dal suo trance e lo vide che esaminava un sasso che teneva in mano. — Ha trovato qualcosa? — le chiese Kristan quando la donna fu vicina. Dal suo tono era evidente che non lo credeva e che quella lunga attesa l’aveva esasperato.
Laurice fece un cenno d’assenso. — Ci ho messo un po’, perché quei ricercatori dilettanti hanno rovinato molte tracce, ma ho capito che cosa dev’essere successo e da che parte si è diretto. Carichiamoci i bagagli e mettiamoci in marcia.
— Davvero? Temo che prima dovrà convincermi. Questa è una zona pericolosa, è un po’ troppo rischioso per noi avventurarci così alla cieca.
— Davvero? E lei si aspetta che possa insegnarle sui due piedi ciò che io ci ho messo anni a imparare?
— No, se in effetti si tratta di un’arte e non di una sensazione. Ma lei mi mostrerà che cosa intende fare o torneremo indietro.
— Tornare indietro? Ma senta un po’… — Laurice soffocò la bile. Che proseguisse o no, quel figlio di Venafer aveva il potere di rovinarle tutto. — E va bene. Faccia attenzione. Le spiegherò i rudimenti dell’arte di seguire le tracce.
Lo condusse in un punto scelto, si acquattò per terra e gli indicò il terreno. — Le tracce durano spesso a lungo. Anni addirittura in certe condizioni. O ere geologiche, se per caso si fossilizzano. In generale però si corrompono rapidamente, a una velocità che dipende anche dal tipo di terreno, dalla profondità dell’impressione eccetera eccetera. Così, prima di lasciare la base, mi sono presa la briga di procurarmi le registrazioni meteorologiche del satellite negli ultimi giorni. Osservi. Il vento ha sparpagliato foglie, polvere e altri detriti, ma ho scoperto una pista, una depressione ondulata e poco profonda, la distingue? Non sono in grado di identificare molti animali venaferiani in base alle impronte, non ancora, ma non mi sbaglio con quelle di un naxiano. E ora queste bucherellature… sono state fatte dalla pioggia, una pioggerella leggera, non troppo violenta, e l’ultima volta che ha piovuto è stato quattro giorni fa. Perciò questa pista è vecchia e non ci serve. Solo che in questo punto e in un momento susseguente, come può rilevare dalla nitidezza di queste impronte, l’ha attraversata un quadrupede in corsa. La disposizione delle impronte indica l’andatura. Si tratta chiaramente di una grossa bestia, un lycosauroide. Le impronte degli artigli sono leggere, ma se si mette a carponi e le osserva di striscio le può identificare. Vedrà che puntano in discesa. Perciò quella è la direzione che ha preso il branco durante la fuga, come è ovvio dal cespuglio calpestato e dalle macchioline di sangue disseccato più avanti. Ma le ho illustrato come funziona il principio. Trovare dove è andato Copperhue è stato un processo di eliminazione.