Выбрать главу

La collera di Kristan si quietò di colpo. Per un istante apparve stranamente vulnerabile. — Lo stesso vale per lei, signora. Vorrei proprio poterla persuadere.

— E io lei. Siamo entrambi onesti e questo è già qualcosa. Be’, non siamo ancora a un punto di crisi, si ricordi. Avremo tutto il tempo di pensare, studiare e discutere. Nulla è stato ancora deciso definitivamente né lo sarà nei prossimi anni, e niente di irrevocabile succederà ancora per vari anni dopo d’allora. Forse, quando avremo appreso di più, questi suoi quadri si dissolveranno come incubi.

La tristezza lo sopraffece. — O i suoi come sogni a occhi aperti. Questi progetti per modificare la luce del sole, può giurare che funzioneranno? Noi non siamo dei; roviniamo molte più cose di quelle che creiamo. Consideri la pura massa di materia organica morta quando la vita nativa si estinguerà… con che precisione ha costruito il modello di quel processo? Come potrà influenzare l’agricoltura? Quanto può essere sicura di qualcosa?

Non sono per nulla sicura, pensò Laurice, ma si astenne dal confessarlo. Solo che… ma forse non posso dirglielo. Posso farlo, Copperhue?

— Non litighiamo. — Laurice sospirò. — Dividiamoci solo il calore.

— D’accordo. — Ma la sua voce era fredda e Kristan poi rimase in silenzio, immobile accanto alla forma serpentina tra di loro. Passò un’ora.

E alla fine: — Credo di essermi ripreso. — Dal tono di Copperhue sembrava proprio vero. — Grazie per la vostra gentilezza, onorevoli creature.

— Splendido — rispose Laurice senza particolare calore. — Uh, dottor Arinberg, il nostro paziente è guarito. Immagino però che avrà notato come sia ferito e contuso da spine e sassi. E sia troppo debole e malconcio per tornare indietro. Non potremmo prelevarlo per via aerea?

— Ci stavo appunto pensando. — Kristan rimaneva lontano e impersonale. — Posso andare a prendere l’aereo. Non so però se sia possibile atterrare senza pericolo nelle vicinanze. Se necessario posso immobilizzarmi in aria e calare un cavo con un cappio, ma sarebbe rischioso. Lasciatemi guardare in giro.

Laurice si chiese quanto avesse agito in senso di sfida quando Kristan lasciò la copertura dei sacchi per rivestirsi. Poi, mentre si rivestiva anche lei, l’uomo prese a scendere per il pendio.

A mano a mano che l’aria si era scaldata era sorto il vento. Adesso rumoreggiava, scuoteva i rami, sollevava turbinii di polvere. Sì, pensò Laurice, ha ragione. Issare un corpo con un cavo mentre il velivolo sta sospeso in aria in mezzo a turbini come questi è rischioso. Ma se atterra e poi il terreno gli frana sotto il peso…

L’alta sagoma del pilota si era spostata a destra e sinistra, fermandosi per esaminare le formazioni rocciose e infilare il tallone dello scarpone nella ghiaia, finché raggiunse il cornicione al di sopra del canyon. Laurice lo vide gettare un’occhiata al suo bracciale e quasi gli lesse nella mente. Grazie alla guida del radiofaro avrebbe potuto sfruttare quella striscia di roccia per il ritorno invece di scarpinare nella foresta. Il sorriso che le stirò le labbra era alquanto triste. Non voleva averlo come nemico.

Improvvisamente la roccia cedette sotto i piedi di Kristan. L’uomo mulinò le braccia in aria, poi precipitò in basso fuori della vista.

Laurice gettò un grido e si mise a correre. — Attenta, aspetta, sii prudente — le sibilò Copperhue alle spalle. Alt! si impose lei mentre il cuore le batteva all’impazzata. Non c’è ragione di precipitare in due. Se la roccia ha tradito uno come lui, immaginarsi con me.

Rallentò allora l’andatura, lasciandosi scivolare lungo la discesa intanto che cercava le impronte di Kristan e seguì il percorso giusto finché arrivò sull’orlo dello strapiombo. Qui si acquattò sui calcagni, esaminò la roccia per capire bene dove questa aveva ceduto, dove avrebbe potuto ancora cedere e dove appariva ragionevolmente salda. Le fratture nel terreno indicavano che in quei punti c’erano infiltrazioni d’acqua, che di tanto in tanto congelava e si espandeva, ma bisognava stare attenti anche ai blocchi friabili di ossido di ferro…

A bocconi come un Naxiano, Laurice sporse la testa oltre il bordo del dirupo e sforzò la vista. Il pendio era coperto di detriti fin sul fondo, nascosto da una nebbiolina fitta. Kristan era scivolato per quattro metri ed era andato ad arrestarsi su un tratto di terreno scuro. Non si muoveva; il suo viso, rivolto verso l’alto, era una maschera di sangue. Il filo rosso vivo che gli ruscellava lungo la coscia destra indicava però che il cuore batteva ancora.

Era evidente che la punta acuminata di un sasso aveva tranciato un grosso vaso sanguigno. Ora Kristan si stava dissanguando. Se non fosse stato soccorso in fretta sarebbe morto. Per sempre. Non era possibile resuscitarlo una volta che le cellule cerebrali che lo rendevano umano si fossero alterate in modo irreparabile.

Si sentì uno stridore di sassi sotto un forte peso che vi strisciava sopra. Copperhue l’aveva raggiunta. — Non ti saresti dovuto muovere — gli disse automaticamente.

— Si può sempre attingere alle ultime risorse quando è necessario — rispose il Naxiano. — Credo di poterti aiutare a recuperare il tuo compagno.

Ha detto «compagno» dopo aver ascoltato Kristan. Fu un pensiero rapido e fuggente. Laurice soppesò le probabilità. Il Naxiano aveva forse sopravvalutato la propria forza? In tal caso se lei fosse stata prudente non le sarebbe successo niente, ma Kristan sarebbe certo morto. Intrappolata sul fianco di una collina irraggiungibile, poteva inviare un messaggio radio alla base attraverso l’aereo e sarebbe arrivata una squadra di soccorso. Sempre che i suoi sforzi non provocassero una valanga. In tal caso sarebbe finita maciullata, sepolta dai detriti al di là di ogni possibilità di recupero.

Non c’era tempo per preoccuparsi. Guardandosi attorno, Laurice vide il cespuglio adocchiato da Copperhue. Questo sorgeva a pochi centimetri dal bordo, ma un esame mostrò che le radici, piuttosto grosse, finivano in profondità, mentre in superficie il cespuglio appariva contorto come un bonsai strapazzato da decenni o addirittura secoli di vento. Probabilmente era in grado di sopportare qualche centinaio di chili di peso.

Tornare indietro per prendere corde o cinghie avrebbe richiesto troppo tempo. Laurice tagliò un bastoncino e se lo mise tra i denti. Poi si tolse la camicetta, la tagliò in due, annodò le due metà in fondo e la manica attorno al collo di Copperhue. L’altra manica se l’avvolse attorno alla mano per rendere più sicura la presa. Copperhue a sua volta attorcigliò la coda attorno al tronchetto inferiore del cespuglio. Laurice si sedette per terra e si sporse all’indietro nel vuoto.

Una serie di spuntoncini di roccia acuminata le tagliuzzarono i pantaloni e gli stivaletti. Il Naxiano si tese all’indietro, frenandole la discesa mentre la calava lentamente fino a quando si trovò teso per tutta la sua lunghezza. Il pietrisco doveva risultare molto dolorosa contro la sua pelle, ma non gli sfuggì un lamento.

In fondo alla fune, Laurice si trovò fianco a fianco di Kristan. Non osò inginocchiarsi, ma appoggiandosi cautamente sui palmi e i gomiti riuscì a rizzarsi quel tanto da poter intervenire sul pilota. Sguainò il pugnale. Era il miglior strumento che mente umana avesse mai concepito, pensò, non per la prima volta. Lacerò la gamba dei pantaloni, espose la ferita, tagliò una striscia di stoffa, fece un tornichetto con il bastoncino e lo strinse. Il micidiale flusso di sangue cessò.

Kristan aveva il viso imperlato di sudore sotto il sangue, la pelle era appiccicosa e la respirazione difficoltosa. Sì, si trovava in stato di shock. Occorreva sollevarlo subito. Gli fece scivolare l’imbragatura di fortuna sotto la schiena, fermandola alle ascelle, e la bloccò. — Va bene, Copperhue, puoi tirare!

Ma ce l’avrebbe fatta? Se non ci fosse riuscito, avrebbe richiesto aiuto per radio e intanto avrebbe cercato di mantenere Kristan in vita. Ma era impossibile dire se avrebbe resistito per tutto quel tempo. Come era impossibile dire se il peso del pilota, mentre veniva sollevato, non avrebbe provocato una valanga di pietre per lei fatale.