Malgara scoprì i denti in quel sorriso crudele che il Mahanayake avrebbe imparato a conoscere fin troppo bene, negli anni che gli restavano.
— Reverendo padre — disse il Principe, in un tono di voce che grondava veleno — era il primogenito di Paravana il Grande, sedeva sul trono di Taprobane, e il male che ha fatto muore con lui. Quando il suo corpo sarà bruciato provvedete a depositarne i resti in un reliquiario, prima che osiate rimettere piede a Sri Kanda.
Il Mahanayake Thero s'inchinò, appena percettibilmente. — Sarà fatto secondo la vostra volontà.
— E c'è un'altra cosa — disse Malgara, rivolgendosi ora ai suoi aiutanti di campo. — La fama delle fontane di Kalidas ci ha raggiunti fino in Indostan. Vorremmo vederle almeno una volta, prima di marciare su Ranapur…
Dal centro dei Giardini del Piacere, che in vita gli avevano dato tanta gioia, il fumo della pira funeraria di Kalidas si alzava nel cielo senza nubi, disturbando gli uccelli da preda giunti dalle regioni più lontane. Amaramente soddisfatto, anche se a volte turbato da ricordi improvvisi, Malgara osservava il simbolo del suo trionfo che saliva verso l'alto, ad annunciare alla terra intera che il nuovo regno era iniziato.
Come per continuare l'antica rivalità, l'acqua delle fontane insidiava il fuoco, schizzando in alto prima di ricadere sulla superficie del lago che rifletteva la scena. Ma poi, molto prima che le fiamme avessero terminato il loro lavoro, i serbatoi presero a svuotarsi e i getti d'acqua si esaurirono rovinosamente. Prima che si alzassero di nuovo nei giardini di Kalidas, la Roma imperiale sarebbe scomparsa, i soldati dell'Islam si sarebbero spinti oltre l'Africa, Copernico avrebbe tolto la terra dal centro dell'universo, la Dichiarazione d'Indipendenza sarebbe stata firmata, e gli uomini avrebbero camminato sulla Luna…
Malgara aspettò che la pira si spegnesse in un ultimo, breve guizzo di luce. Mentre le ultime spire di fumo si alzavano contro la mole incombente di Yakkagala, levò gli occhi verso il palazzo sulla sommità della montagna e lo scrutò a lungo, soppesandolo in silenzio.
— Nessun uomo deve sfidare gli dèi — disse alla fine. — Che sia distrutto.
9
Il filamento
— Mi avete quasi fatto venire l'infarto — disse Rajasinghe in tono d'accusa, versando il caffè del mattino. — Sul momento ho pensato che aveste un congegno antigravità, ma anch'io so che è impossibile. Come avete fatto?
— Chiedo scusa — rispose Morgan con un sorriso. — Se avessi saputo che mi stavate osservando vi avrei avvertito, anche se è successo tutto senza premeditazione. Volevo solo farmi una passeggiata sulla Montagna, ma poi quel sedile di pietra mi ha lasciato perplesso. Mi sono chiesto perché si trovi proprio sull'orlo dell'abisso e ho cominciato l'esplorazione.
— Nessun mistero. Un tempo lì esisteva una piattaforma, probabilmente di legno, che si protendeva in fuori, e una scalinata che dalla cima portava agli affreschi. Si vedono ancora le scanalature nei punti in cui era inserita nella roccia.
— È quello che ho scoperto — disse Morgan, piuttosto deluso. — Dovevo immaginare che qualcuno se ne fosse già accorto.
Duecentocinquanta anni fa, pensò Rajasinghe. Quell'inglese pazzo e vivacissimo, Arnold Lethbridge, il primo direttore degli scavi archeologici di Taprobane. Si fece calare giù per la parete, esattamente come Morgan. Be', non "esattamente"…
Adesso Morgan aveva tirato fuori la scatoletta di metallo che gli aveva permesso di compiere il miracolo. La superficie esterna presentava solo qualche bottone e un piccolo quadro di lettura. Aveva tutta l'aria di essere un semplice strumento di comunicazione.
— Ecco qui — disse Morgan, con orgoglio. — Dal momento che mi avete visto camminare in verticale per un centinaio di metri, dovete avere un'idea piuttosto esatta di come funziona.
— Il buonsenso mi ha suggerito una risposta, ma nemmeno il mio eccellente cannocchiale l'ha confermata. Avrei giurato che non c'era niente a sostenervi.
— Non era questa la dimostrazione che avevo in mente, ma deve aver fatto effetto. E adesso passiamo ai soliti trucchetti. Infilate il dito in quest'anello, per favore.
Rajasinghe esitò. Morgan teneva il piccolo anello di metallo, grande circa il doppio di una vera matrimoniale, come se fosse percorso dalla corrente elettrica.
— Riceverò una scossa? — chiese.
— Non una scossa, ma forse una sorpresa. Provate ad allontanarlo da me.
Rajasinghe afferrò l'anello con cautela, e poi quasi lo lasciò cadere. Perché sembrava vivo; si tendeva verso Morgan, o per meglio dire verso la scatola che l'ingegnere stringeva in mano. Poi dalla scatola uscì un ronzio smorzato, e Rajasinghe sentì che il suo dito veniva spinto in avanti da una forza misteriosa. Magnetismo?, si chiese. Ovviamente no; nessun magnete poteva agire a quel modo. La sua prima teoria, per quanto improbabile, era esatta; non esistevano proprio altre spiegazioni. Fra loro due si stava svolgendo un tiro alla fune in piena regola, "ma con una corda invisibile".
Per quanto si sforzasse, Rajasinghe non vedeva traccia di fili o altro che collegassero l'anello a cui aveva agganciato il dito alla scatola che Morgan stava manovrando come un pescatore alle prese col mulinello. Tese l'altra mano per esplorare lo spazio intermedio che sembrava vuoto, ma l'ingegnere l'allontanò bruscamente.
— Scusate — disse. — Ci provano tutti, quando capiscono cosa succede. Potreste ferirvi molto seriamente.
— Allora avete un filo invisibile. Bello… Ma a che serve, a parte per questi giochi?
Morgan gli rivolse un sorriso enorme. — Non posso biasimarvi per essere saltato a questa conclusione. È la reazione più normale. Ma siete in errore. Se non vedete il filo è perché ha un diametro di soli pochi micron. È molto più sottile di una ragnatela.
Per una volta, pensò Rajasinghe, quella frase logora era più che giustificata. — È… incredibile. Che cos'è?
— Il risultato di circa duecento anni di ricerche sui materiali a stato solido. Se vogliamo essere più precisi, si tratta di un cristallo di diamante continuo pseudo-mono-dimensionale, però non è carbonio puro. Ci sono diversi oligoelementi in quantità accuratamente controllata. Può essere prodotto in serie solo sulle stazioni orbitanti, dove la gravità non interferisce col processo di crescita.
— Affascinante — mormorò Rajasinghe, quasi fra sé. Diede qualche colpetto all'anello attorno al suo dito, per assicurarsi che la tensione fosse ancora presente, che non si trattasse di un'allucinazione. — Capisco che potrebbe avere un'infinità di applicazioni pratiche. Sarebbe uno strumento splendido per tagliare il formaggio…
Morgan rise. — Con questo si può abbattere da soli un albero, in un paio di minuti. Ma non è facile maneggiarlo, ed è pericoloso. Abbiamo dovuto costruire apparecchi speciali per arrotolarlo e srotolarlo. Li chiamiamo "filiere". Questa va a batteria ed è stata costruita per le dimostrazioni. Il motore può sollevare fino a duecento chili, e io ne scopro sempre nuovi usi. La modesta esibizione di oggi non era la prima, fra l'altro.
Quasi riluttante, Rajasinghe tolse il dito dall'anello. L'anello cominciò a cadere, poi si mise a penzolare avanti e indietro come sospeso nel vuoto. Morgan schiacciò un bottone, e con un ronzio delicato il filo rientrò nella filiera.
— Non sarete venuto fin qui, dottor Morgan, solo per impressionarmi con quest'ultima meraviglia della scienza… Per quanto io sia impressionato. Voglio sapere cosa c'entro io in questa faccenda.
— C'entrate moltissimo, signor ambasciatore — rispose l'ingegnere, fattosi improvvisamente serio e formale come Rajasinghe. — Avete perfettamente ragione a pensare che questo materiale possa avere molte appplicazioni pratiche, alcune delle quali stiamo appena cominciando a intravedere. E una di queste applicazioni, nel bene o nel male, farà della vostra pacifica isoletta il centro del mondo. No, non solo del mondo. Dell'intero sistema solare. Grazie a questo filamento, Taprobane sarà il punto di partenza verso tutti i pianeti. E un giorno, forse, verso le stelle.