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— Spero di non avervi svegliato — disse Morgan, senza troppa sincerità.

— No. Stiamo per atterrare a Gagarin. Qual è il problema?

— Circa dieci teratonnellate che viaggiano a due chilometri al secondo. La luna interna, Phobos. È un bulldozer cosmico che passerà accanto all'elevatore ogni undici ore. Non ho ancora calcolato le probabilità esatte, ma è inevitabile una collisione ogni pochi giorni.

Dall'altra parte del circuito ci fu silenzio per un lungo momento. Poi il banchiere disse: — Potevo pensarci persino io. Per cui, ovviamente, qualcuno avrà la risposta. Forse dovremo spostare Phobos.

— Impossibile. Ha una massa troppo grande.

— Dovrò chiamare Marte. Al momento c'è un intervallo di dodici minuti. Entro un'ora dovrei avere una risposta.

"Lo spero" si disse Morgan. "E che sia una risposta buona… Naturalmente, se voglio 'davvero' questo lavoro."

24

Il dito di Dio

La "Dendrobium macarthiae" di solito fioriva all'arrivo del monsone di sudovest, ma quell'anno era in anticipo. Johan Rajasinghe, mentre nella serra delle orchidee ammirava i complessi boccioli viola-rosa, ricordò che la stagione scorsa era rimasto intrappolato lì per mezz'ora da una violenta precipitazione, proprio quando esaminava i boccioli.

Guardò ansioso il cielo: no, c'era scarso pericolo di pioggia. Era una bella giornata; banchi alti e sottili di nuvole mitigavano l'irruenza del sole. Però "quella" era strana…

Rajasinghe non aveva mai visto niente del genere. Quasi sulla verticale sopra di lui, le formazioni parallele di nubi erano interrotte da una perturbazione circolare. Sembrava un piccolo ciclone, con un diametro di pochi chilometri, ma gli ricordava qualcosa di completamente diverso: una nodosità che interrompesse la superficie liscia di un'asse di legno. Abbandonò le adorate orchidee e uscì, per osservare meglio il fenomeno. Ora vedeva che la piccola perturbazione si spostava lentamente in cielo; la traccia del suo passaggio era chiaramente indicata dalla distorsione delle nubi.

Non era difficile immaginare che il dito di Dio stesse scendendo dal paradiso, tracciando un solco fra le nuvole. Nemmeno Rajasinghe, che conosceva i principi basilari del controllo meteorologico, aveva idea che fosse possibile una precisione così totale; ma poteva essere un poco orgoglioso del fatto che, circa quarant'anni prima, aveva avuto un ruolo in quelle conquiste.

Non era stato facile persuadere le ultime superpotenze ad abbandonare le loro fortezze orbitali e consegnarle al Comitato Meteorologico Mondiale. Si era trattato (se la metafora non era eccessiva) dell'ultimo, drammaticissimo esempio di spade trasformate in aratri. Ora, i laser che un tempo minacciavano l'umanità dirigevano i loro raggi su parti dell'atmosfera accuratamente scelte, oppure su remote regioni della Terra che ne assorbivano il calore. L'energia che contenevano era irrilevante, a paragone di quella tempesta più piccola; ma è minuscola anche l'energia della pietra che cade e dà origine a una valanga, o del neutrone che avvia una reazione a catena.

A parte quello, Rajasinghe non sapeva niente dei dettagli tecnici, se non che si serviva di una rete di satelliti monitor e di computer che possedevano nel loro cervello elettronico un modello completo dell'atmosfera terrestre, delle terre e dei mari. Si sentiva un po' come un selvaggio pieno di meraviglia di fronte ai miracoli di una tecnologia avanzata: il piccolo ciclone si mosse deciso verso ovest, poi scomparve sotto la fila di palme oltre i bastioni dei Giardini del Piacere.

Poi lui alzò gli occhi verso i tecnici e gli scienziati invisibili che correvano attorno al mondo nei loro paradisi costruiti dall'uomo.

— Molto impressionante — disse. — Ma spero che sappiate "esattamente" cosa state facendo.

25

Roulette orbitale

— Dovevo immaginarmelo — disse il banchiere, depresso — che la risposta si trovava in una di quelle appendici tecniche che non ho mai guardato. E adesso che voi avete studiato la relazione, mi piacerebbe conoscere la risposta. Da che avete sollevato il problema, mi sono sentito preoccupato.

— È ingegnosamente ovvio — rispose Morgan. — Avrei dovuto pensarci da solo.

"E prima o poi ci avrei pensato" si disse con una certa sicurezza. Con l'occhio della mente vedeva ancora le simulazioni del computer, l'immensa struttura che oscillava come la corda d'un violino cosmico mentre le vibrazioni correvano dalla Terra all'orbita e venivano riflesse indietro. E poi, in sovrimpressione, fece scorrere di nuovo nella memoria, per la centesima volta, il filmato del ponte che danzava. Non gli servivano altre indicazioni.

— Phobos passa accanto alla torre ogni undici ore e dieci minuti, ma per fortuna non si muove esattamente sullo stesso piano, se no avremmo una collisione ogni volta che transita. Non colpisce la torre durante parecchie rivoluzioni, e i periodi critici si possono predire con esattezza, fino al centesimo di secondo, se vogliamo. L'elevatore, come ogni costruzione, non è una struttura completamente rigida. Ha un suo periodo naturale di vibrazioni che si possono calcolare quasi con la stessa accuratezza delle orbite planetarie. Per cui i vostri ingegneri propongono di mettere in sintonia l'elevatore, in modo che le sue oscillazioni naturali, che comunque non è possibile evitare, lo tengano sempre alla larga da Phobos. Ogni volta che il satellite incrocerà la struttura, la torre non ci sarà: si sarà spostata di qualche chilometro rispetto all'area pericolosa.

Ci fu una lunga pausa all'altro capo del circuito.

— Non dovrei dirlo — replicò finalmente il marziano — ma ho l'impressione che i capelli mi si rizzino in testa.

Morgan rise. — Detto in maniera così brutale, sembra un po'… come si chiamava?… la roulette russa. Ma ricordatevi che abbiamo a che fare con movimenti esattamente prevedibili. Sappiamo sempre dove si troverà Phobos e possiamo controllare lo spostamento della torre semplicemente attraverso la pianificazione del traffico.

"Semplicemente" pensò Morgan, non era il termine esatto, ma chiunque poteva comprendere che era possibile. E poi gli venne in mente un'analogia così assurda, da farlo quai scoppiare a ridere. No… non era proprio il caso di raccontarla al banchiere.

Tornò ancora una volta al ponte di Tacoma Narrows, ma questa volta in un mondo di fantasia. Una nave doveva passargli sotto, all'ora esattamente prevista. Sfortunatamente, l'albero di coffa era alto un metro di troppo.

Nessun problema. Poco prima dell'arrivo della nave, bastava far passare di corsa sul ponte due autocarri pesanti, a intervalli accuratamente calcolati per corrispondere alla frequenza di risonanza della struttura. Un'onda dolce sarebbe corsa lungo la carreggiata di pilastro in pilastro, e la cresta dell'onda doveva coincidere con l'arrivo della nave.

E così l'albero di coffa sarebbe tranquillamente passato, con diversi centimetri di margine… Su una scala migliaia di volte più ampia, era così che Phobos non avrebbe incontrato la struttura che da Mons Pavonis si slanciava nello spazio.

— Sono lieto che voi mi rassicuriate — disse il banchiere — ma penso che prima d'imbarcarmi sulla Torre controllerò la posizione di Phobos.

— Allora sarete sorpreso di sapere che qualcuno dei vostri giovanotti (sono senz'altro brillanti, e presumo che siano giovani per la loro terribile audacia tecnica) vuole sfruttare i periodi critici come attrazione turistica. Pensano di poter far pagare biglietti più salati per lo spettacolo di Phobos che passa a portata di mano, alla velocità di un paio di centinaia di chilometri orari. Uno spettacolo fantastico, non credete?

— Personalmente preferisco solo immaginarlo, ma forse hanno ragione. Ad ogni modo sono lieto di sentire che esiste una soluzione. E sono felice di notare che ammirate i nostri talenti. Significa che possiamo attenderci presto la vostra decisione?