Per alcuni secondi i due uomini si fissarono negli occhi, come se i venticinquemila chilometri che li separavano non esistessero. Se si arrivava a una prova di forza in piena regola, la situazione sarebbe precipitata. Bartok aveva il comando di tutte le operazioni relative alla sicurezza, e in teoria poteva imporsi anche al capo ingegnere e direttore del progetto. Ma forse gli sarebbe stato difficile esercitare la propria autorità: sia Morgan che il Ragno si trovavano ben lontani da lui, su Sri Kanda, e questo dava all'ingegnere un vantaggio decisivo.
Bartok si strinse nelle spalle.
— Non avete tutti i torti. Non mi sento troppo felice, ma vi lascio mano libera. Buona fortuna.
— Grazie — rispose tranquillamente Morgan, e l'immagine dell'altro svanì dallo schermo. Poi l'ingegnere si girò verso Kingsley, ancora silenzioso, e disse: — Andiamo.
Solo quando furono usciti dalla sala operativa, mentre risalivano verso la cima, Morgan toccò automaticamente il minuscolo ciondolo nascosto sotto la sua camicia. CORA non gli aveva dato fastidio per mesi, e nemmeno Warren Kingsley sapeva della sua esistenza. Stava giocando con altre vite, oltre che con la propria, solo per obbedire all'orgoglio personale? Se lo avesse saputo Bartok…
Ormai era troppo tardi. A prescindere dai motivi che lo spingevano, era in ballo.
46
Il Ragno
Com'era cambiata la Montagna, pensò Morgan, dalla prima volta che l'aveva vista! La sommità era stata completamente tagliata via, per lasciare posto a un altipiano perfettamente piatto; nel centro si trovava il gigantesco "coperchio" che sigillava la colonna che presto avrebbe ospitato il traffico di molti mondi. Era strano pensare che il maggiore spazioporto del sistema solare si trovasse sepolto nel cuore d'una montagna…
Nessuno avrebbe mai immaginato che un tempo lì sorgeva un antico monastero, su cui si erano concentrate le speranze e i timori di miliardi di persone per almeno tremila anni. L'unica traccia che ne restava era l'ambiguo lascito del Maha Thero, già imballato e in attesa di essere spedito. Ma, fino a quel momento, né le autorità preposte a Yakkagala né il direttore del museo di Ranapur avevano dimostrato troppo entusiasmo nei confronti della campana maledetta di Kalidas. L'ultima volta che aveva suonato, la cima della montagna era stata investita da quella tempesta innocua ma piena di significati; una vera ventata di novità. Adesso l'aria era quasi immobile. Morgan e i suoi assistenti camminavano lentamente verso la capsula immobile chiara sotto le luci di controllo. Qualcuno aveva dipinto, sulla parte inferiore dell'abitacolo, la scritta RAGNO II; e ancora più sotto era tracciata la promessa: VI PORTIAMO LA SALVEZZA. "Speriamo" pensò Morgan…
Ogni volta che veniva lì gli risultava sempre più difficile respirare, e attendeva con ansia il flusso d'ossigeno che presto si sarebbe riversato nei suoi polmoni affaticati. Ma CORA, per suo sollievo e sorpresa, non si era mai fatta sentire quando lui si recava alla cima. La cura prescritta dal dottor Sen sembrava funzionare alla perfezione.
Il Ragno era già a pieno carico, sollevato in alto da un argano in modo da poter sistemare al disotto la batteria in più. I meccanici stavano ancora procedendo agli ultimi ritocchi, disinserivano cavi isolanti. L'intreccio di fili stesi a terra poteva rappresentare un pericolo per chi non fosse abituato a camminare in tuta spaziale.
La flexituta di Morgan era arrivata da Gagarin solo trenta minuti prima, e per un po' lui aveva seriamente preso in considerazione l'idea di partire senza. Il Ragno II era un veicolo molto più sofisticato del semplice prototipo su cui aveva viaggiato Maxine Duval; praticamente era come una minuscola nave spaziale, dotata d'un suo sistema di sopravvivenza. Se tutto procedeva bene, Morgan sarebbe riuscito ad agganciarsi col portello alla base della Torre, progettato anni addietro proprio a quello scopo. Ma la tuta non era solo una garanzia di sicurezza in caso di problemi d'ancoraggio; gli permetteva anche una libertà d'azione enormemente maggiore. Quasi aderente, la flexituta assomigliava pochissimo alle goffe tute dei primi astronauti; e, anche pressurizzata, non avrebbe affatto limitato i suoi movimenti. Una volta aveva assistito a una dimostrazione di acrobazie in flexituta, organizzata dalla ditta che le produceva e culminata in un duello e in un balletto aerei. Il balletto era un po' ridicolo, ma dava pienamente ragione ai vanti di chi l'aveva progettata.
Morgan salì i pochi scalini, si fermò un attimo sulla sottile piattaforma metallica della capsula, poi entrò con cautela. Sedette, allacciò la cintura di sicurezza, e restò piacevolmente sorpreso del molto spazio disponibile. Il Ragno II era indubbiamente un veicolo per un solo uomo, ma non dava il senso di claustrofobia che lui temeva, nemmeno con tutto il carico extra che conteneva.
I due cilindri d'ossigeno erano stati riposti sotto il sedile, e le maschere anti-CO2 si trovavano in una scatola dietro la scaletta che conduceva al portello superiore. Era sorprendente che quelle poche cose potessero significare la vita per così tante persone.
Morgan s'era portato un oggetto personale, un ricordo di quel giorno a Yakkagala, tanto tempo prima, quando in un certo senso era cominciato tutto. La filiera occupava pochissimo spazio, e pesava solo un chilo. Col passare degli anni, per lui era diventata una specie di talismano: era ancora uno dei metodi migliori per illustrare le proprietà dell'iperfilamento, e ogni volta che se la dimenticava finiva con lo scoprire che gli sarebbe servita. E in quell'occasione, fra tutte le occasioni possibili, poteva dimostrarsi utile.
Allacciò il cordone ombelicale, a sganciamento rapido, della tuta e controllò il flusso dell'aria sia all'esterno che all'interno. Fuori, i cavi di alimentazione erano stati scollegati. Il Ragno era abbandonato a se stesso.
È raro che in momenti del genere si riesca a pronunciare discorsi brillanti; e, dopo tutto, quella era un'operazione semplicissima. Morgan sorrise piuttosto affettatamente a Kingsley e disse: — Tieni d'occhio i magazzini, Warren, finché non torno. — Poi notò la piccola, solitaria figura persa nella folla che circondava la capsula. "Mio Dio" pensò "mi ero quasi scordato del ragazzo…" — Dev — disse — scusa se non ho potuto occuparmi di te. Ti ripagherò di tutto quando torno indietro.
"E sarà proprio così" si disse. Appena finita la Torre, avrebbe trovato il tempo per tutto, anche per i rapporti umani che aveva tanto trascurato. Valeva la pena di tenere d'occhio Dev: un ragazzo che sapeva quando non essere d'impiccio era eccezionalmente promettente.
Il portello curvo della capsula, che nella metà superiore era di plastica trasparente, si chiuse piano. Morgan schiacciò il pulsante di CONTROLLO, e ad una ad una apparvero sullo schermo le cifre vitali relative al Ragno. Erano tutte verdi; non era necessario studiarle. Se un qualsiasi fattore fosse andato oltre il valore nominale, la cifra avrebbe lampeggiato in rosso due volte al secondo. Comunque, usando la cautela a lui consueta, Morgan osservò che l'ossigeno era al 102 per cento, la batteria principale al 101 per cento di carica, la batteria secondaria al 105 per cento…
La voce calma, tranquilla del controllore di volo (lo stesso esperto imbattibile che aveva presieduto a tutte le operazioni sin dal primo tentativo fallito di qualche anno prima) gli risuonò all'orecchio. — Tutti i sistemi nominali. Comando vostro.
— Comando mio. Aspetto il prossimo minuto.
Era difficile immaginare qualcosa di più diverso dal lancio di un missile primitivo: allora c'era un elaborato conto alla rovescia, un calcolo preciso dei secondi, rumori e agitazione. Morgan si limitò ad aspettare che gli ultimi due digitali del cronometro si azzerassero, poi diede il minimo di spinta.