Poi giunse un'altra sorpresa. L'antenna con le dimensioni d'un asteroide non era puntata in direzione di Alpha Centauri, ma verso un altro settore celeste. Si fece strada l'idea che il sistema del Centauro fosse solo l'ultimo scalo del veicolo, non il punto da cui era partito.
Gli astronomi stavano ancora meditando su quei dati quando capitò loro un caso molto fortunato. Una sonda solare in missione di normale amministrazione oltre Marte diventò improvvisamente muta, poi ricominciò a inviare segnali radio dopo un minuto. Esaminando le registrazioni si scoprì che gli strumenti erano rimasti momentaneamente paralizzati da intense radiazioni. La sonda era entrata nel raggio d'azione delle onde della nave aliena; dopodiché fu semplicissimo calcolare la loro esatta provenienza.
In quella direzione non esisteva niente per cinquantadue anni luce, tranne una stella nana rossa, debolissima e presumibilmente antichissima, uno di quei minuscoli soli che avrebbero tranquillamente continuato a brillare miliardi di anni dopo l'estinzione delle più fantastiche stelle giganti della galassia. Nessun radiotelescopio l'aveva mai esaminata a fondo; ora tutti quelli che non scrutavano il visitatore sempre più vicino si puntarono sulla sua sospetta origine.
E lo scoprirono: un segnale chiarissimo, nella banda di un centimetro. I costruttori erano ancora in contatto con la nave che avevano lanciato migliaia di anni prima; ma i messaggi che doveva ricevere "in quel momento " erano vecchi solo di mezzo secolo.
Poi, quando raggiunse l'orbita di Marte, il visitatore diede finalmente segno di essersi accorto della presenza dell'umanità, nel modo più clamoroso e indiscutibile che si potesse immaginare. Cominciò a trasmettere immagini televisive sulla frequenza standard 3075, alternate a videotesti in inglese e cinese fluenti, anche se un po' ampollosi. Era iniziata la prima conversazione cosmica; e l'intervallo fra domanda e risposta non era, come tutti avevano immaginato, di decenni ma solo di minuti.
13
L'ombra dell'alba
Morgan era uscito dall'hotel di Ranapur alle quattro di una notte chiara, senza luna. L'ora non lo rendeva particolarmente felice, ma il professor Sarath, che aveva preso tutti gli accordi, gli aveva promesso che ne valeva la pena. — Non potete capire niente di Sri Kanda — gli aveva detto — se non vedete l'alba dalla sommità della montagna. E Buddy, voglio dire il Maha Thero, non riceve visite a orari diversi. Dice che è un modo meraviglioso per scoraggiare le persone semplicemente curiose. — Per cui Morgan aveva accettato con tutta la buonagrazia possibile.
Per peggiorare ulteriormente le cose, l'autista, un indigeno di Taprobane, si era intestardito a condurre una specie di monologo interminabile, che a quanto sembrava aveva lo scopo di tracciare un profilo completo della personalità del passeggero. L'autista dimostrò una bontà talmente sincera che era impossibile offendersi, ma Morgan avrebbe preferito il silenzio.
E avrebbe anche desiderato, a volte con tutto il cuore, che l'autista facesse più attenzione alle curve a gomito che superavano al volo nella semi-oscurità. Forse era meglio che lui non vedesse tutte le sporgenze e i burroni che la macchina oltrepassava correndo verso l'alto. Quella strada era una gloria del genio militare del diciannovesimo secolo: opera dell'ultima potenza coloniale, era stata costruita durante la campagna contro i fieri montanari dell'interno. Ma non era mai stata predisposta per la guida automatica, e in certi momenti Morgan si chiese se sarebbe sopravvissuto al viaggio.
E poi, d'improvviso, scordò le sue paure e l'irritazione per le ore di sonno perso.
— Eccoci! — annunciò orgogliosamente l'autista, mentre la macchina girava attorno al fianco d'una collina.
Sri Kanda era completamente invisibile, in un'oscurità che non lasciava ancora intuire l'alba ormai vicina. La sua presenza era rivelata da un sottile nastro di luce che correva avanti e indietro, a zig-zag, sotto le stelle, sospeso in cielo come per magia. Morgan sapeva che quelle che vedeva erano solo lampade, sistemate lì duecento anni prima per guidare i pellegrini che salivano la più lunga scalinata del mondo; ma erano talmente in contrasto con la logica e con la gravità che gli parvero quasi un'anticipazione del suo sogno. Secoli prima della sua nascita, ispirati da filosofi che poteva appena immaginare, altri uomini avevano iniziato il lavoro che lui sperava di terminare. In senso molto letterale, avevano costruito i primi, rozzi scalini della strada che portava alle stelle.
Adesso Morgan non era più insonnolito. Scrutò la fila di luci che si facevano più vicine, che si trasformavano in una colonna di perle innumerevoli, brillanti. Anche la montagna cominciava a diventare visibile, era un triangolo nero che eclissava metà del cielo. Nella sua presenza silenziosa, enorme, c'era qualcosa di sinistro. A Morgan non era difficile immaginare che fosse la residenza di dèi che conoscevano la sua missione, e che raccoglievano le forze contro di lui.
Quei pensieri infausti gli uscirono di mente quando arrivarono alla stazione di partenza della funivia e Morgan, sorpreso (erano appena la cinque del mattino), scoprì che almeno un centinaio di persone si trovavano già nella minuscola sala d'attesa. Ordinò un delizioso caffè caldo per sé e per l'autista loquace che, per fortuna, gli lasciò capire di non voler affatto salire in alto. — Ci sono stato almeno venti volte — gli disse con una noia forse eccessiva. — Mi metterò a dormire in macchina finché non tornate giù.
Morgan acquistò il biglietto, fece rapidi calcoli, e stimò che sarebbe partito con la terza o quarta infornata di passeggeri. Era felice di aver seguito il consiglio di Sarath, infilandosi in tasca un termomantello: faceva già freddo a un'altezza di due soli chilometri. In cima, tre chilometri più su, probabilmente si congelava.
Mentre avanzava lungo la fila di turisti, tutti piuttosto tranquilli e addormentati, Morgan notò, divertito, di essere l'unico a non avere una cinepresa. Dove saranno i veri pellegrini?, si chiese. Poi ricordò: non li avrebbe trovati lì. Non esistevano scorciatoie per il paradiso, o per il Nirvana, o per quello che cercavano i fedeli. I meriti si conquistavano grazie ai propri sforzi, non con l'aiuto delle macchine. Una dottrina interessante, piena di verità; ma esistevano anche momenti in cui solo le macchine potevano servire.
Finalmente riuscì a sedere sulla funivia, che partì fra un notevole scricchiolio di cavi. Morgan si sentì di nuovo trascinato da quello strano senso d'eccitazione. L'elevatore che lui aveva in mente avrebbe trasportato più di mille volte il carico di quell'impianto primitivo, che probabilmente risaliva al ventesimo secolo. Eppure, tutto considerato, i princìpi basilari erano praticamente gli stessi.
All'esterno della funivia traballante si stendeva l'oscurità più totale, tranne quando diventava visibile una parte della scalinata illuminata. Che era completamente deserta, come se gli innumerevoli milioni di persone che l'avevano risalita durante gli ultimi tremila anni non avessero lasciato eredi. Ma poi Morgan capì che quelli che salivano a piedi dovevano già essere molto più in alto, pronti all'appuntamento con l'alba. Dovevano aver superato i primi contrafforti della montagna già da ore.
A quattro chilometri d'altezza i passeggeri dovettero scendere e percorrere il breve tratto che li divideva dalla stazione successiva, ma quel cambio di mezzi fece perdere poco tempo. Morgan era adesso felicissimo del mantello, e si avvolse stretto attorno al corpo il tessuto metallizzato. Il terreno era gelato, e l'atmosfera rarefatta gli rendeva più difficile del solito la respirazione. Non fu sorpreso di vedere file di bombole d'ossigeno nella piccola stazione, con le istruzioni per l'uso bene in vista.