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E finalmente, mentre affrontavano l'ultima parte della salita, giunsero i primi segni dell'avvicinarsi del giorno. Le stelle a est risplendevano ancora in tutta la loro gloria, e Venere era la più brillante di tutte; ma all'approssimarsi dell'alba nuvole sottili, alte, cominciarono a splendere debolmente. Morgan osservò ansioso l'orologio e si chiese se sarebbe arrivato in tempo. Notò, con sollievo, che allo spuntare del giorno mancavano ancora trenta minuti.

D'improvviso uno dei passeggeri indicò l'immensa scalinata, di cui adesso poteva intravedere di tanto in tanto, sotto la funivia, qualche tratto che s'arrampicava a zig-zag lungo la montagna sempre più ripida. La scalinata non era più deserta: a una lentezza come di sogno, dozzine di uomini e donne salivano faticosamente lungo gli scalini interminabili. Ogni minuto il loro numero aumentava. Morgan si chiese da quante ore stessero salendo. Certo da tutta la notte, e forse da molto prima: parecchi dei pellegrini erano anziani, e in un giorno solo non ce l'avrebbero fatta. Lo sorprendeva scoprire quanta gente credesse ancora.

Un attimo dopo vide il primo monaco: una figura alta, in una tunica color zafferano, che si muoveva quasi con la stessa regolarità di un metronomo, senza guardare né a destra né a sinistra e ignorando completamente la funivia sospesa sopra il suo cranio rasato. Sembrava capace di ignorare anche gli elementi, perché il braccio e la spalla destra erano esposti, nudi, al vento gelido.

La funivia rallentò nei pressi della stazione d'arrivo, si fermò qualche minuto, scaricò i numerosi passeggeri, e s'incamminò verso la lunga discesa. Morgan si unì alla folla di due o trecento persone radunate in un piccolo anfiteatro, scavato nella parete ovest della montagna. Tenevano tutti lo sguardo puntato nel buio, anche se non c'era altro da vedere che le scie di luce che scendevano giù lungo l'abisso. Alcuni pellegrini in ritardo compivano l'ultimo sforzo sulla fine della scalinata, cercando di sconfiggere la fatica con la fede.

Morgan controllò di nuovo l'orologio: ancora dieci minuti. Non si era mai trovato fra così tanta gente silenziosa. Ormai, i turisti con le cineprese e i pellegrini più devoti erano uniti dalla stessa speranza. Il tempo era perfetto; presto avrebbero saputo se quel viaggio si era compiuto invano.

Dal tempio, ancora invisibile nelle tenebre a un centinaio di metri sopra di loro, venne un delicato tintinnio di campane; e contemporaneamente si spensero tutte le luci su quell'incredibile scalinata. Adesso, rivolti verso il sorgere del sole, potevano vedere i primi, deboli bagliori del giorno riflessi dalle nubi molto più in basso; ma la mole immensa della montagna frenava ancora l'alba.

Secondo per secondo la luce aumentava su tutti i lati di Sri Kanda, mentre il sole respingeva le ultime difese della notte. Poi, dalla folla in paziente attesa, uscì un mormorio basso di sorpresa.

Un attimo prima non c'era niente. Poi, d'improvviso, "era lì", si stendeva per metà della superficie di Taprobane: un triangolo perfettamente simmetrico, netto, di blu intensissimo. La montagna non aveva dimenticato i suoi adoratori; la sua ombra famosa si stagliava contro le nubi, un simbolo che ogni pellegrino poteva interpretare come desiderava.

In tanta perfezione di linee sembrava quasi solida, pareva una piramide capovolta, non un semplice disegno tracciato da luci e ombre. Mentre attorno all'ombra aumentava il chiarore, e i primi raggi del sole superavano i fianchi della montagna, il triangolo sembrò, per contrasto, farsi più scuro e più denso. Eppure, oltre il sottile strato di nubi responsabili della sua breve esistenza, Morgan intravedeva appena i laghi e le colline e le foreste della terra che si risvegliava.

Il vertice di quel triangolo etereo doveva corrergli incontro a una velocità spaventosa, mentre il sole si alzava verticalmente dietro le montagne, ma Morgan non si accorgeva di alcun movimento. Sembrava che il tempo si fosse fermato; era uno dei rari momenti della sua vita in cui non pensava allo scorrere dei minuti. Sul suo spirito incombeva l'ombra dell'eternità, esattamente come l'ombra della montagna incombeva sulle nubi.

Adesso tutto scompariva in fretta. Le tenebre si scioglievano in cielo come una macchia di colore assorbita dall'acqua. Il paesaggio spettrale e scintillante in basso diventava reale; a metà dell'orizzonte ci fu un'esplosione di luce, e i raggi del sole si rifletterono sulle finestre di un edificio. E più volte, a meno che gli occhi non lo ingannassero, Morgan vedeva il contorno scuro, indecifrabile, del mare che circondava l'isola.

A Taprobane era nato un nuovo giorno.

I visitatori si dispersero lentamente. Qualcuno tornò alla funivia mentre altri, più energici, si diressero alla scalinata, credendo erroneamente che la discesa fosse più facile della salita. Quasi tutti sarebbero stati ben lieti di montare sulla funivia alla stazione successiva; pochissimi avrebbero disceso l'intera scalinata.

Solo Morgan continuò a salire, seguito da molti sguardi curiosi, lungo i pochi scalini che conducevano al monastero e alla cima vera e propria della montagna. Quando raggiunse la parete esterna dell'edificio, liscia e debolmente illuminata dai primi raggi del sole, gli mancava il respiro.

Fu lieto di appoggiarsi un po' al massiccio portone in legno.

Qualcuno doveva averlo osservato. Prima che lui riuscisse a trovare un campanello, o a segnalare in qualche modo la sua presenza, il portone si spalancò silenziosamente. Gli venne incontro un monaco vestito di giallo, che lo salutò a mani giunte.

— Ayu bowan, dottor Morgan. Il Mahanayake Thero sarà lieto di vedervi.

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L'educazione di Stellaplano

(Da "I documenti Stellaplano", prima edizione, 2071)

"Oggi sappiamo che la sonda interstellare definita popolarmente Stellaplano è completamente autonoma, e che opera secondo istruzioni generali programmate sessantamila anni fa. Mentre naviga tra i diversi soli, usa la sua antenna da cinquecento chilometri per trasmettere informazioni alla base a una velocità relativamente bassa e per ricevere eventuali aggiornamenti da 'Stellisola', se vogliamo usare il delizioso nome coniato dal poeta Llwellyn ap Cymru.

"Mentre attraversa un sistema solare, tuttavia, è in grado di assorbire l'energia del Sole, per cui la velocità con cui trasmette informazioni cresce infinitamente. Inoltre può 'ricaricare le batterie', per usare un'analogia estremamente rozza. E dal momento che, come i nostri primi Pioneer e Voyager, si serve dei campi gravitazionali dei corpi celesti per spostarsi di stella in stella, continuerà a funzionare all'infinito, a meno che un guasto meccanico o un accidente cosmico non ne stronchino il lavoro. La costellazione del Centauro è stata il suo undicesimo scalo; dopo aver oltrepassato il nostro Sole come una cometa, si è diretto esattamente verso Tau Ceti, lontana da noi dodici anni luce. Se lì esiste qualcuno, Stellaplano sarà pronto a iniziare la sua prossima conversazione nell'anno 8100…

"… Perché Stellaplano ha le funzioni sia d'ambasciatore che d'esploratore. Quando, al termine di uno dei suoi viaggi millenari, scopre una cultura tecnologica, entra in rapporti amichevoli coi nativi e comincia a scambiare informazioni, secondo l'unica forma di commercio interstellare che sarà mai possibile. E prima di ripartire per il suo viaggio interminabile, dopo il breve transito in un certo sistema solare, Stellaplano dà le coordinate del mondo da cui è partito, già pronto a ricevere una chiamata dall'ultimo abbonato all'elenco telefonico galattico.