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Nonostante l'ambiente convenzionale, era assai improbabile che il rettore del monastero venisse scambiato per un normale uomo d'affari. A parte l'inevitabile tunica gialla, il Mahanayake Thero possedeva altre due caratteristiche che, a quell'epoca, erano estremamente rare. Era completamente calvo e portava gli occhiali.

Entrambe le cose, decise Morgan, erano frutto d'una scelta precisa. Visto che era tanto facile curare la calvizie, quel cranio lucido e immacolato doveva essere stato rasato o depilato. E non ricordava nemmeno da quanto tempo non vedeva più occhiali, se non in documentari o opere a sfondo storico.

La combinazione era affascinante, e sconcertante. Morgan trovò praticamente impossibile indovinare l'età del Mahanayake Thero: poteva avere dai quaranta agli ottanta anni ben portati. E quelle lenti, per quanto trasparenti, in qualche modo celavano pensieri ed emozioni.

— Ayu bowan, dottor Morgan — disse il monaco, indicando all'ospite l'unica poltrona vuota. — Questo è il mio segretario, il Venerabile Parakarma. Spero non vi dispiacerà se prende appunti.

— Certo che no — rispose Morgan, piegando la testa verso l'altro occupante della piccola stanza. Notò che il monaco più giovane, aveva i capelli lunghi e una barba immensa; probabilmente farsi rasare non era obbligatorio.

— E così, dottor Morgan — continuò il Mahanayake Thero — voi volete la nostra montagna.

— Temo di sì, vostra… ehm… eminenza. Almeno una parte, in ogni caso.

— Con tutto il mondo a disposizione… Questi pochi ettari?

— La scelta non è nostra, ma della natura. Il capolinea terrestre deve trovarsi sull'equatore e alla massima altezza possibile, dove la minore densità dell'aria equilibra la forza dei venti.

— In Africa e in Sudamerica si trovano montagne equatoriali più alte.

"Ci siamo di nuovo" brontolò fra sé Morgan. Amare esperienze gli avevano dimostrato che era quasi impossibile far comprendere quel problema ai profani, per quanto intelligenti e interessati. Con quei monaci prevedeva un successo ancora minore del solito. Se solo la Terra fosse stata un corpo perfetto, simmetrico, senza sporgenze e rientranze nel campo gravitazionale…

— Credetemi — disse con aria ispirata — abbiamo preso in considerazione ogni alternativa. Cotopaxi e il Monte Kenya e persino il Kilimanjaro, per quanto quest'ultimo sia più a sud di tre gradi, andrebbero benissimo, ma hanno un difetto irrimediabile. Quando un satellite s'inserisce su un'orbita stazionaria, non rimane "esattamente" fermo sullo stesso punto. A causa di irregolarità gravitazionali che non sto a spiegarvi, tende ad andare lentamente alla deriva lungo l'equatore. Per cui tutti i nostri satelliti sincroni e le stazioni spaziali devono bruciare propellente per restare immobili; fortunatamente ne basta pochissimo. Ma è impossibile spostare di continuo milioni di tonnellate, specialmente se hanno la forma di sottili aste lunghe decine di migliaia di chilometri, per tenerle in posizione. E non è nemmeno necessario. Fortunatamente per noi…

— … Ma non per "noi" — lo interruppe il Mahanayake Thero, facendogli quasi perdere il filo del discorso.

— … Esistono due punti stabili sull'orbita sincrona. Un satellite messo in orbita lì resterà "fermo", non si sposterà. Come se fosse chiuso all'estremità di un imbuto invisibile. Uno di questi punti si trova al di sopra del Pacifico, per cui è inutilizzabile. L'altro si trova direttamente sopra le nostre teste.

— Sono certo che qualche chilometro più in qua o più in là non farebbe nessuna differenza. A Taprobane esistono altre montagne.

— Nessuna è più alta della metà di Sri Kanda, il che ci porta al discorso del livello critico della forza dei venti. Vero, sull'equatore non ci sono molti uragani. Ma ce ne sono abbastanza per danneggiare la struttura, e proprio nel suo punto più debole.

— Ma siamo in grado di controllare i venti.

Era il primo contributo che il giovane segretario dava alla conversazione, e Morgan lo guardò con nuovo interesse.

— Fino a un certo punto, sì. Ovviamente ho discusso la cosa col Controllo Monsoni. Dicono che la certezza assoluta è fuori questione, in particolare per quanto riguarda gli uragani. Al massimo mi possono garantire una probabilità su cinquanta. Il che non è sufficiente per un progetto da un bilione di dollari.

Il Venerabile Parakarma sembrava incline alla discussione. — C'è un ramo quasi dimenticato della matematica, chiamato Teoria della Catastrofe, che potrebbe rendere la meteorologia una scienza davvero esatta. Sono certo che…

— Dovrei spiegare — intervenne tranquillamente il Mahanayake Thero — che un tempo il mio collega era piuttosto celebre per il suo lavoro in astronomia. Immagino abbiate sentito parlare del dottor Choam Goldberg.

A Morgan parve che d'improvviso gli si spalancasse una botola sotto i piedi. Dovevano avvertirlo! Poi ricordò che il professor Sarath gli aveva detto, strizzando l'occhio, di stare attento al segretario privato di Buddy. "È un tipo molto in gamba. "

Morgan si chiese se le sue guance fossero d'un rosso acceso mentre il Venerabile Parakarma, alias dottor Choam Goldberg, lo fissava con espressione ostile. E lui che aveva cercato di spiegare le instabilità orbitali a quei monaci sempliciotti! Probabilmente il Mahanayake Thero era molto più informato sull'argomento di quanto non fosse lui.

E ricordò che gli scienziati del mondo intero erano divisi in due nei confronti del dottor Goldberg: c'erano quelli "sicuri" che lui fosse pazzo, e gli altri che non avevano ancora deciso. Perché Goldberg era stato uno dei giovani ricercatori più promettenti nel campo dell'astrofisica quando, cinque anni prima, aveva annunciato: — Ora che Stellaplano ha raso al suolo tutte le religioni tradizionali, possiamo finalmente prestare un'attenzione seria al concetto di Dio.

E con quello era scomparso dalla scena.

16

Conversazioni con Stellaplano

Fra le migliaia di domande rivolte a Stellaplano durante il suo transito nel sistema solare, le risposte più attese riguardavano le creature viventi e le civiltà di altre stelle. Contrariamente ad alcune previsioni il robot rispose di buon grado, pur ammettendo che le sue ultime informazioni sull'argomento risalivano a più d'un secolo addietro.

Considerata l'immensa varietà di culture prodotte sulla Terra da un'unica specie, era ovvio che fra le stelle si sarebbe riscontrata una varietà ancora maggiore, dato che ogni tipo di biologia concepibile era possibile. Diverse migliaia di ore di affascinanti (spesso incomprensibili, talora orribili) scene di vita su altri pianeti chiarirono oltre ogni dubbio che era proprio così.

Ad ogni modo, gli Stellisolani avevano approntato una classificazione approssimativa delle culture basandosi sui propri standard tecnologici, forse l'unico punto di vista oggettivo possibile. L'umanità fu curiosa di scoprire che si trovava al quinto posto di una scala definita grosso modo da: 1) attrezzi di pietra; 2) metalli, fuoco; 3) scrittura, artigianato manuale, navigazione; 4) propulsione a vapore, scoperte scientifiche basilari; 5) energia atomica, viaggio spaziale.

Quando Stellaplano aveva iniziato il suo volo, sessantamila anni prima, i suoi costruttori, come la razza umana, erano ancora sullo scalino cinque. Ora erano passati al sei, caratterizzato dalla capacità di trasformare completamente la materia in energia e di trasmutare "tutti" gli elementi su scala industriale.