Mentre Morgan mangiava quella colazione esotica il Mahanayake Thero si scusò, e per qualche minuto le sue dita danzarono, a velocità stupefacente, sui comandi del terminale. Quando apparve la lettura, la cortesia lo spinse a voltare gli occhi da un'altra parte. Inevitabilmente, il suo sguardo cadde sulla testa del Buddha. Probabilmente era vera, perché lo zoccolo proiettava sul muro un'ombra debole. Ma nemmeno quella era una prova decisiva. Lo zoccolo poteva essere ben solido, e la testa una proiezione centrata al di sopra con cura estrema. Era un trucco piuttosto comune.
Quella testa, come Monna Lisa, era un'opera d'arte che rifletteva le emozioni di chi l'osservava e al tempo stesso emanava una sua intensità. Però gli occhi della Gioconda erano aperti, anche se nessuno avrebbe mai saputo cosa stessero vedendo. Gli occhi del Buddha erano completamente vuoti, pozzi immensi in cui un uomo poteva perdere l'anima, oppure scoprire un universo.
Sulle sue labbra aleggiava un sorriso ancora più ambiguo di quello di Monna Lisa. Ma era poi davvero un sorriso, o solo un gioco di luci? Era già scomparso, sostituito da un'espressione di tranquillità superumana. Morgan non riusciva a distogliere gli occhi da quel volto ipnotico, e solo il ronzio familiare di una copia stampata che usciva dal terminale lo riportò alla realtà; se quella era realtà…
— Ho pensato che potrebbe farvi piacere un souvenir della vostra visita — disse il Mahanayake Thero.
Accettando il foglio che il monaco gli tendeva, fu sorpreso di scoprire che si trattava di una pergamena uso d'archivio; non era la solita carta sottilissima da gettare via dopo qualche ora. Non riusciva a leggerne una sola parola. A parte una minuscola scritta alfanumerica nell'angolo in basso a sinistra, il documento era scritto in quei caratteri fioriti che adesso sapeva appartenere al taprobani.
— Grazie — disse, con tutta l'ironia di cui era capace. — Che cos'è? — Si era già fatto un'idea: i documenti legali si assomigliano un po' tutti, a prescindere dalla lingua o dall'età.
— Una copia dell'accordo fra Re Ravindra e il Maha Sangha, datata Vesak all'anno ottocentocinquantaquattro dopo Cristo del vostro calendario. Stabilisce la proprietà del terreno spettante al tempio, per l'eternità. Persino gli invasori hanno riconosciuto i diritti sanciti da questo documento.
— Gli scozzesi e gli olandesi, credo. Ma non gli spagnoli.
Se il Mahanayake Thero rimase sorpreso dalla durezza di quella risposta, nemmeno l'inarcarsi delle sopracciglia lo tradì.
— Loro non rispettavano affatto la legge e l'ordine, in particolare quando si trattava di altre religioni. Spero che la loro filosofia del fine che giustifica i mezzi non affascini anche voi.
Morgan fece un sorriso alquanto forzato. — Certo che no — rispose. "Ma come si può stabilire un confine?" si chiede. Quando entravano in pericolo gli interessi preponderanti di grandi organizzazioni, spesso la morale convenzionale passava in seconda linea. Le migliori menti legali del pianeta, umane ed elettroniche, si sarebbero presto dedicate a quel problema. Se non riuscivano a trovare le risposte esatte, poteva nascerne una situazione molto delicata che avrebbe fatto di lui un usurpatore, anziché un eroe.
— Visto che avete sollevato l'argomento del trattato dell'ottocentocinquantaquattro, permettetemi di ricordarvi che esso si riferisce al terreno "entro" i limiti del tempio, chiaramente definiti dalle mura.
— Esatto. Ma è compresa l'intera cima.
— Voi non avete alcun controllo sul terreno all'esterno di questa zona.
— Abbiamo i diritti di ogni proprietario. Se i vicini ci procurano fastidi, possiamo agire per via legale. Non è la prima volta che la questione viene sollevata.
— Lo so. È successo con la funivia.
Un sorriso debole apparve sulle labbra del Maha Thero. — Vi siete informato — commentò. — Sì, ci siamo opposti vigorosamente al progetto, per molte ragioni… Anche se debbo ammettere che, adesso che esiste, ci è stata utile molto spesso. — S'interruppe pensieroso, poi aggiunse: — Si è creato qualche problema, ma siamo riusciti a coesistere con la funivia. I curiosi di passaggio e i turisti s'accontentano di fermarsi sulla piattaforma panoramica; ovviamente siamo sempre lieti di dare il benvenuto qui ai "veri" pellegrini.
— Allora forse potremmo giungere a un accordo anche nel nostro caso. Per noi poche centinaia di metri d'altezza non fanno differenza. Potremmo non toccare la cima e creare un'altra piattaforma come quella del capolinea della funivia.
Morgan si sentiva estremamente a disagio sotto l'esame prolungato dei due monaci. Non dubitava affatto che avrebbero capito l'assurdità di quella proposta, ma doveva farla per amore di completezza.
— Avete un senso dell'umorismo molto bizzarro, dottor Morgan — rispose finalmente il Mahanayake Thero. — Cosa resterebbe dello spirito della montagna, della solitudine che cerchiamo da tremila anni, se quel mostruoso marchingegno venisse eretto qui? Vi aspettate che tradiamo la fede dei milioni di persone che sono giunti in questo posto sacro, spesso pagando con la salute o addirittura con la vita?
— Apprezzo i vostri sentimenti — rispose Morgan (ma si chiese se stesse mentendo). — Ovviamente faremmo del nostro meglio per ridurre al minimo gli inconvenienti. Tutti gli edifici annessi alla torre verrebbero scavati dentro la montagna. All'aperto uscirebbe solo l'elevatore, e da una certa distanza sarebbe del tutto invisibile. L'aspetto generale della montagna non muterebbe affatto. Anche la vostra famosa ombra, che ho ammirato poco fa, resterebbe praticamente intatta.
Il Mahanayake Thero si girò verso il suo collega, come per ottenere una conferma. Il Venerabile Parakarma fissò Morgan negli occhi e chiese: — E per quanto riguarda i rumori?
"Maledizione" pensò Morgan "il mio punto più debole." Le capsule sarebbero uscite dalla montagna a diverse centinaia di chilometri orari: più velocità potevano ottenere dal sistema a terra, minore lo sforzo imposto alla torre aerea. Naturalmente i passeggeri non potevano sopportare più di mezza gravità circa, ma anche le loro capsule sarebbero partite a una velocità di tutto rispetto.
— Ci sarà qualche rumore aerodinamico — ammise Morgan. — Però non c'è nemmeno paragone con un grande aeroporto.
— Molto rassicurante — disse il Mahanayake Thero. Morgan era certo che stesse facendo del sarcasmo, eppure non trovava tracce d'ironia nella sua voce. O stava dando mostra d'una calma olimpica, oppure metteva alla prova le reazioni dell'ospite. Il monaco più giovane, invece, non cercava nemmeno di nascondere la collera.
— Sono anni — disse indignato — che protestiamo contro i disturbi causati dalle navi spaziali che rientrano. Adesso voi volete creare onde d'urto nel… nostro giardino.
— Le nostre operazioni non saranno transoniche, a questa altezza — ribatté lui decisamente. — E la struttura della torre assorbirà quasi tutta l'energia sonica. In effetti — aggiunse, cercando di sfruttare quello che sembrava un vantaggio improvviso — con l'andare del tempo vi aiuteremo a eliminare le esplosioni di rientro. La montagna diventerà più tranquilla.
— Capisco. Al posto di esplosioni occasionali avremo un rombo continuo.
"Con questo tipo non riesco a concludere niente" pensò Morgan "e io mi ero aspettato che l'osso duro fosse il Mahanayake Thero…"
A volte è meglio cambiare del tutto argomento. Morgan decise d'affondare un piede nel pantano turbolento della teologia.
— Non credete che ci sia qualcosa di giusto — chiese candidamente — in quello che stiamo cercando di fare? I nostri scopi possono essere diversi, ma i risultati pratici hanno molto in comune. Quello che speriamo di costruire è solo un prolungamento della vostra scalinata. Se mi è permesso dirlo, la portiamo più in alto, fino in paradiso.