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Per un attimo il Venerabile Parakarma parve stupefatto di tanta sfrontatezza. Prima che lui riuscisse a riprendersi, il suo superiore rispose soavemente: — Un concetto interessante, ma la nostra filosofia non crede nel paradiso. È possibile trovare la salvezza che può esistere solo in "questo" mondo, e a volte la vostra ansietà d'abbandonarlo mi lascia perplesso. Conoscete la storia della torre di Babele?

— Vagamente.

— Vi consiglio di cercarla nell'antica Bibbia cristiana, Genesi undicesimo capitolo. Anche quello era un progetto d'ingegneria per scalare i cieli. Andò a monte, a causa di difficoltà di comunicazione.

— Avremo i nostri problemi, ma non credo che "questo" sarà il più grave.

Però, fissando il Venerabile Parakarma, Morgan non ne era poi troppo certo. Fra loro esisteva un abisso d'incomunicabilità che sembrava, in un certo senso, più profondo di quello tra l'Homo Sapiens e Stellaplano. Parlavano la stessa lingua, ma si guardavano da abissi d'incomprensione che forse era impossibile superare.

— Posso chiedervi — continuò il Mahanayake con cortesia imperturbabile — qual è stato il vostro successo col Dipartimento Parchi e Foreste?

— Sono stati assai disponibili.

— Non ne sono sorpreso. Mancano perennemente di fondi, e ogni nuova fonte d'introiti è ben vista. La funivia ha dato ossigeno alle loro finanze, e senza dubbio sperano che il vostro progetto sia ancora più proficuo.

— Il che è esatto. E hanno accettato il fatto che non creerà nessun pericolo ambientale.

— Se cadesse tutto giù? Morgan fissò negli occhi il venerabile monaco.

— Non cadrà — disse, con tutta l'autorità di un uomo che aveva creato l'arcobaleno capovolto che ora univa due continenti.

Ma Morgan sapeva, e doveva saperlo anche l'implacabile Parakarma, che in un campo del genere la certezza assoluta era impossibile. Duecentodue anni prima, il 7 novembre del 1940, la lezione era stata dimostrata in un modo che nessun ingegnere avrebbe mai scordato.

Morgan soffriva di pochi incubi, ma quello rientrava fra i pochi. Anche in quello stesso momento i computer della Terran Construction stavano cercando d'esorcizzarlo.

Ma tutti i computer dell'universo non potevano offrirgli protezione dai problemi che "non" aveva previsto, dagli incubi che dovevano ancora nascere.

18

Le farfalle d'oro

Nonostante lo splendore del sole e il paesaggio magnifico che lo cingeva da ogni lato, Morgan cadde in un sonno profondo prima che l'auto raggiungesse la pianura. Nemmeno le innumerevoli curve a gomito riuscirono a tenerlo sveglio; ma riaprì d'improvviso gli occhi quando l'autista schiacciò i freni e lui si trovò proiettato in avanti.

In un attimo di confusione assoluta pensò di essere ancora prigioniero del sogno. La brezza che entrava dai finestrini era così calda e umida che pareva uscita da un bagno turco; eppure la macchina, a quanto sembrava, si era fermata nel mezzo di un'accecante tempesta di neve.

Morgan sobbalzò, si sfregò gli occhi, li riaprì sulla realtà. Era la prima volta che vedeva una neve dorata…

Uno sciame densissimo di farfalle stava traversando la strada, diretto a est in una migrazione esatta, decisa. Qualche farfalla era stata risucchiata dall'auto e continuava a volare freneticamente, finché Morgan non la scacciò; molte altre si erano spiaccicate sul parabrezza. Mormorando quelle che dovevano essere senza dubbio alcune delle migliori bestemmie in taprobani, l'autista scese e ripulì il vetro. Quando ebbe finito, lo sciame si era ridotto a una manciata di esemplari isolati.

— Vi hanno raccontato la leggenda? — chiese poi, gettando un'occhiata al passeggero.

— No — rispose bruscamente Morgan. La cosa non gl'interessava affatto; era ansioso di rimettersi a dormire.

— Le Farfalle d'Oro. Sono le anime dei guerrieri di Kalidas, dell'esercito che il re perse a Yakkagala.

Morgan emise un gemito scarsamente entusiasta, nella speranza che l'autista raccogliesse il messaggio; ma l'altro continuò implacabile.

— Ogni anno, all'incirca in questo periodo, si dirigono verso la Montagna, e muoiono tutte ai primi contrafforti. A volte si incontrano a metà del percorso della funivia, ma più in alto non arrivano. Fortunatamente per il Vihara.

— Il Vihara? — chiese Morgan, insonnolito.

— Il Tempio. Se le farfalle riuscissero a raggiungerlo, Kalidas avrebbe vinto, e i bhikkus, i monaci, dovrebbero abbandonarlo. Così dice la profezia incisa su una lastra di pietra che si trova al museo di Ranapur. Posso mostrarvela.

— Un'altra volta — rispose pigramente Morgan, adagiandosi sul sedile imbottito. Ma passarono molti chilometri prima che lui riuscisse ad addormentarsi di nuovo, perché nell'immagine evocata dall'autista c'era qualcosa d'inquietante.

Nei mesi che lo attendevano l'avrebbe ricordata spesso: quando si svegliava, oppure nei momenti di stanchezza e di crisi. Si sarebbe trovato di nuovo immerso in quella tempesta di neve dorata, tra i milioni di farfalle destinate a morire che sprecavano le loro energie in un vano assalto alla montagna e a tutto ciò che simboleggiava. Persino in quel momento, all'inizio delle sue battaglie, l'immagine era troppo forte per concedergli il riposo.

19

Sulle rive del Lago Saladino

"Quasi tutte le simulazioni computerizzate di Storia Alternativa lasciano intendere che la battaglia di Tours (732 d.C.) sia stata uno dei disastri più cruciali per l'umanità. Se Carlo Martello fosse stato sconfitto, l'Islam poteva risolvere i conflitti interni che lo stavano divorando e proseguire la conquista dell'Europa. Così si sarebbero evitati secoli di barbarie cristiana, la rivoluzione industriale sarebbe iniziata almeno con mille anni d'anticipo, e oggi avremmo raggiunto le stelle più vicine, anziché i pianeti più vicini…

"…Ma il fato ha voluto altrimenti, e gli eserciti del Profeta sono tornati in Africa. L'Islam è sopravvissuto, come un affascinante fossile, quasi sino alla fine del ventesimo secolo. Poi, improvvisamente, si è dissolto nel petrolio…"

(Allocuzione del Presidente del Simposio per il bicentenario di Toynbee, Londra, 2089).

— Lo sapevi — disse lo sceicco Farouk Abdullah — che mi sono proclamato Grande Ammiraglio della Flotta del Sahara?

— La cosa non mi sorprenderebbe, signor presidente — rispose Morgan, scrutando l'immensità blu del Lago Saladino. — Se non è un segreto navale, quante navi possedete?

— Dieci, per il momento. La più grande è una nave a cuscino d'aria da trenta metri che batte la bandiera dell'Islam. Passa ogni weekend a salvare marinai incompetenti. La mia gente non ha ancora molta familiarità con l'acqua… Guarda quell'idiota che cerca di virare di bordo! Dopo tutto, duecento anni non sono poi molti per passare dai cammelli alle navi.

— Però fra una cosa e l'altra avete avuto Rolls Royce e Cadillac. Dovrebbero aver facilitato la metamorfosi.

— E le abbiamo ancora. La Silver Ghost del mio bis-bis-bisnonno è come nuova. Ma devo essere onesto: sono i visitatori di altri paesi che si mettono nei guai perché vogliono sfruttare i nostri venti. Noi usiamo barche a motore. E l'anno prossimo mi arriverà un sottomarino garantito in grado di raggiungere la profondità massima del lago, settantotto metri.

— A cosa vi serve?

— Ora ci sono venuti a dire che l'Erg era pieno di tesori archeologici. Ovviamente nessuno se n'è preoccupato prima che tutto fosse sommerso dall'acqua.

Era inutile cercare di mettere fretta al presidente del RANA (Repubbliche Autonome Nord Africa), e Morgan non aveva nessuna intenzione di provarci. Qualunque cosa dicesse la Costituzione, lo sceicco Abdullah controllava più poteri e ricchezze di ogni altro individuo esistente, o quasi. E, fatto ancor più importante, capiva gli usi di entrambe le cose.