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senza chiedersi se l'universo non fosse la creazione di un'intelligenza enorme.

La prima fama gli era giunta con una nuova teoria cosmologica che era sopravvissuta quasi dieci anni prima di essere respinta. Goldberg era stato acclamato come un nuovo Einstein o N'goya. In un'epoca di ultraspecializzazione, era persino riuscito a fare considerevoli progressi nell'aerodinamica e idrodinamica, da tempo considerate incapaci di produrre altre sorprese.

Poi, nel pieno della forza intellettuale, aveva conosciuto una conversione religiosa non troppo diversa da quella di Pascal, anche se meno compiaciuta. Per i dieci anni successivi si era accontentato di perdersi nell'anonimato d'una tunica color zafferano, puntando il suo cervello brillante su questioni di dottrina e filosofia. Non rimpiangeva quell'intermezzo, e non era nemmeno sicuro di aver abbandonato l'Ordine: un giorno, forse, quella grande scalinata lo avrebbe rivisto. Ma i suoi talenti, regalati da Dio, reclamavano le proprie ragioni. C'era un lavoro enorme da fare, e gli servivano strumenti che non poteva trovare a Sri Kanda, e nemmeno, a dire il vero, su tutta la Terra.

Provava pochissima ostilità, ormai, per Vannevar Morgan. Senza saperlo, l'ingegnere aveva acceso la scintilla; con tutta la sua stupidità, era anche lui un messo di Dio. Però il tempio doveva essere protetto a ogni costo. Che la Ruota del Fato lo facesse o non lo facesse tornare a quella tranquillità, Parakarma era implacabilmente deciso a difenderlo.

E così, come un nuovo Mosè che riportasse dalla montagna leggi che avrebbero mutato i destini dell'umanità, il Venerabile Parakarma discese a quel mondo cui un tempo aveva rinunciato. Era cieco alle bellezze della terra e del cielo che gli stava attorno; poiché esse erano assolutamente banali a paragone di quelle che lui solo poteva vedere, nell'esercito di equazioni che gli marciava in mente.

23

Lundozer

— Il vostro guaio, dottor Morgan — disse l'uomo sulla sedia a rotelle — è che vi trovate sul pianeta sbagliato.

— Non posso impedirmi di pensare — ribatté Morgan, gettando un'occhiata penetrante all'apparecchiatura di cui si serviva il suo ospite — che anche di voi si possa dire lo stesso.

Il vice presidente (Investimenti) della Narodny Marte uscì in una risatina compiaciuta.

— Per lo meno io resto qui una sola settimana; poi torno sulla Luna, a una gravità decente. Oh, se proprio ci sono costretto riesco a camminare. Ma preferisco di no.

— Se posso chiederlo, come mai siete venuto sulla Terra?

— Ci vengo il meno possibile, ma a volte la presenza fisica è indispensabile. Nonostante quello che si dice, i remoti non possono fare tutto. Sono certo che lo saprete.

Morgan annuì. Era abbastanza vero. Ripensò a tutte le volte che la consistenza di qualche materiale, il tocco della roccia o del suolo sotto i suoi piedi, il profumo d'una giungla, l'umidità della schiuma sulla faccia avevano giocato un ruolo decisivo in uno dei suoi progetti. Un giorno, forse, sarebbe stato possibile trasmettere elettronicamente anche quelle sensazioni; anzi, in via sperimentale era già stato fatto, in modo molto rozzo e con costi enormi. Ma la realtà non ha surrogati; non bisogna fidarsi delle imitazioni.

— Se siete venuto sulla Terra per vedere me — disse Morgan — apprezzo l'onore. Ma se volete offrirmi un lavoro su Marte state perdendo tempo. In pensione mi diverto, vedo amici e parenti che non incontravo da anni, e non ho intenzione di iniziare una nuova carriera.

— Lo trovo sorprendente. Dopo tutto avete solo cinquantadue anni. Come pensate di occupare il tempo?

— Facilissimo. Potrei trascorrere tutto il resto della mia vita tra una dozzina di progetti. Gli antichi costruttori, i romani, i greci, gli incas, mi hanno sempre affascinato, e non ho mai avuto il tempo di studiarli. Mi hanno chiesto di scrivere e tenere un corso sulla scienza della progettazione per l'Università Mondiale. Ho firmato un contratto per un volume sulle strutture complesse. Voglio sviluppare alcune idee circa l'uso degli elementi naturali per correggere i carichi dinamici: i venti, i terremoti, eccetera. Sono ancora consulente del Comitato Generale Tettonico. E sto preparando un rapporto sull'amministrazione della TCC.

— Su richiesta di chi? Non del senatore Collins, immagino.

— No — rispose Morgan, con un sorriso torvo. — Pensavo che potesse essere… utile. E mi aiuta a sentirmi meglio.

— Ne sono certo. Ma nessuna di queste attività è davvero creativa. Prima o poi impallidiranno, come questo magnifico paesaggio norvegese. Vi stancherete di guardare laghi e abeti, come vi stancherete di scrivere e parlare. Voi siete il tipo d'uomo che non sarà mai soddisfatto, dottor Morgan, se non può modellare il proprio universo.

Morgan non rispose. La prognosi era troppo esatta per non turbarlo.

— Sospetto che siate d'accordo con me. Cosa direste se vi raccontassi che la mia Banca è seriamente interessata al progetto dell'elevatore spaziale?

— Sarei scettico. Quando li ho contattati mi hanno risposto che era un'ottima idea, ma che a questo stadio non potevano investire niente. Tutti i fondi disponibili erano necessari per lo sviluppo di Marte. È la solita storia: saremo lieti di aiutarvi quando non vi servirà più aiuto.

— Questo è successo un anno fa. Ora ci abbiamo ripensato. Vorremo che voi costruiste l'elevatore spaziale, ma non sulla Terra. Su Marte. Vi interessa?

— Può darsi. Continuate.

— Considerate i vantaggi. Solo un terzo della gravità, per cui le forze in gioco sono proporzionalmente inferiori. Anche l'orbita sincrona è più vicina, si trova a meno della metà dell'altezza di qui. Quindi i problemi tecnici sono enormemente ridotti sin dall'inizio. Secondo la nostra stima, l'elevatore su Marte verrebbe a costare meno di un decimo che sulla Terra.

— È possibile. Comunque dovrò controllare.

— E questo è appena l'inizio. Su Marte, nonostante l'atmosfera rarefatta, abbiamo tempeste terribili… però anche montagne che si alzano molto al di sopra delle tempeste. La vostra Sri Kanda è alta solo cinque chilometri. Noi abbiamo il Mons Pavonis: ventun chilometri, ed esattamente sull'equatore! Ancora meglio, sulla sua cima non esistono monaci marziani con diritti di proprietà a lungo termine. E c'è un'altra ragione per cui forse Marte è l'ideale per un elevatore spaziale. Deimos si trova appena a tremila chilometri sopra l'orbita stazionaria. Per cui possediamo già un paio di milioni di megatonnellate sistemati nel posto esatto per l'ancoraggio.

— Si creerebbe qualche interessante problema per la sincronizzazione, ma capisco il vostro punto. Mi piacerebbe incontrare le persone che hanno elaborato questi dati.

— Qui è impossibile. Stanno tutte su Marte. Dovreste venire da noi.

— Sono tentato, ma ho ancora qualche domanda.

— Avanti.

— La Terra "deve" avere l'elevatore, per tutti i motivi che voi indubbiamente conoscete. Ma mi sembra che Marte potrebbe farne a meno. Voi avete solo una minima parte del nostro traffico spaziale, e un tasso di crescita previsto molto minore. Francamente non mi pare che la cosa abbia molto senso.

— Mi chiedevo quando l'avreste chiesto.

— Appunto, l'ho chiesto.

— Avete sentito parlare del Progetto Eos?

— Non credo.

— Eos, alba, in greco. Il progetto per ringiovanire Marte.

— Oh, certo che lo conosco. Vorreste sciogliere le calotte polari, no?

— Esattamente. Se riuscissimo a sgelare tutta quell'acqua e quel ghiaccio di anidride carbonica succederebbero parecchie cose. La densità atmosferica crescerebbe fino al punto da permettere agli uomini di lavorare all'aperto senza le tute spaziali; in tempi più lunghi, potremmo addirittura rendere respirabile l'aria. Ci sarebbero corsi d'acqua, piccoli mari, e soprattutto vegetazione: sarebbe l'inizio di un ambiente biologico accuratamente pianificato. In un paio di secoli Marte potrebbe diventare un secondo Giardino dell'Eden. È l'unico pianeta del sistema solare che siamo in grado di trasformare con la tecnologia attuale. Venere, probabilmente, è già troppo caldo.