Voleva complimentarsi con lui, a voce abbastanza alta perché il banchiere marziano potesse sentirli, e dirgli che era sicura che la prossima volta il lancio avrebbe avuto un successo totale. Maxine stava ancora preparando quel piccolo discorso di congratulazioni quando, all'improvviso, le parole le uscirono di mente. Avrebbe rivisto gli avvenimenti dei trenta secondi successivi fino a conoscerli a memoria. Ma non sarebbe mai stata certa di averli capiti sino in fondo.
30
Le legioni del re
Vannevar Morgan aveva fatto il callo alle sconfitte, persino ai disastri, e sperava che quello fosse un disastro non troppo grande. La sua vera preoccupazione, mentre osservava il segnale luminoso che svaniva oltre il giogo della montagna, era che la Banca di Marte considerasse sprecati i suoi soldi. L'osservatore dagli occhi impassibili, seduto sulla sedia a rotelle, si era dimostrato estremamente chiuso. A quanto pareva, la gravità terrestre gli aveva paralizzato arti e lingua. Ma questa volta interpellò Morgan prima che l'ingegnere potesse rivolgergli la parola.
— Una sola domanda, dottor Morgan. So che questa tempesta è senza precedenti, eppure si è verificata. Per cui potrebbe verificarsi di nuovo. E se succedesse quando la Torre è già costruita?
Morgan pensò in fretta. Era impossibile così, su due piedi, formulare una risposta esatta, e ancora non riusciva a credere a quello che era successo.
— Nella peggiore delle ipotesi dovremo sospendere per un po' le operazioni. I binari potrebbero subire una lieve distorsione. La forza dei venti che in genere spirano a questa altezza non riuscirebbero a danneggiare la struttura della Torre. Anche la nostra fibra sperimentale non avrebbe subito danni, se fossimo riusciti ad ancorarla.
Sperava che fosse un'analisi esatta. Entro pochi minuti Warren Kingsley gli avrebbe fatto sapere se era vera o no. Per fortuna, apparentemente soddisfatto, il marziano replicò: — Grazie. Non desideravo sapere altro.
Morgan, però, era deciso ad andare sino in fondo.
— E su Mons Pavonis, naturalmente, un problema del genere non verrebbe mai a crearsi. Lì la densità atmosferica è meno di un centesimo…
Da decenni non udiva il suono che in quel momento irruppe nelle sue orecchie, eppure era un suono che nessuno avrebbe mai scordato. Il suo richiamo imperioso, più forte del ruggito della tempesta, trasportò Morgan lungo metà del globo. Non si trovava più su una montagna battuta dai venti; era sotto la cupola dell'Hagia Sophia, e i suoi occhi scrutavano, stupefatti e ammirati, il lavoro di uomini morti sedici secoli prima. E nelle sue orecchie risuonava il richiamo dell'immensa campana che un tempo aveva invitato i fedeli alla preghiera.
Il ricordo di Instanbul svanì. Si trovava nuovamente sulla montagna, più perplesso e confuso che mai.
Cosa gli aveva raccontato il monaco? Che il dono indesiderato di Kalidas era rimasto in silenzio per secoli, e poteva suonare solo in tempi di disastro? Ma non c'era stato nessun disastro; anzi, dal punto di vista del tempio era accaduto esattamente il contrario. Per un attimo, a Morgan venne in mente l'imbarazzante possibilità che la sonda fosse caduta all'interno del terreno del monastero. No, la cosa era fuori discussione: la sonda aveva evitato la cima di alcuni chilometri. E poi, in ogni caso, era un oggetto troppo piccolo per procurare danni seri anche se fosse precipitato, con scarsa forza, dal cielo.
Fissò il tempio. La voce della grande campana continuava a sfidare la tempesta. Tutte le tuniche arancioni erano svanite dai parapetti; non si vedeva nemmeno un monaco.
Qualcosa sfiorò dolcemente la guancia di Morgan, e lui l'allontanò soprappensiero. Era difficile persino pensare mentre quel suono doloroso riempiva l'aria e gli martellava il cervello. Forse era meglio raggiungere il monastero e chiedere cortesemente al Maha Thero cos'era successo.
Di nuovo quel tocco morbido, serico, sulla sua faccia, e questa volta Morgan vide con la coda dell'occhio un lampo giallo. I suoi riflessi erano sempre stati veloci: mosse la mano, e non sbagliò.
L'insetto giaceva raggrinzito nel palmo della sua mano, viveva gli ultimi secondi della sua vita effimera sotto gli occhi di Morgan; e l'universo che lui conosceva da sempre parve tremare e dissolversi. La sua sconfitta miracolosa si era trasformata in una vittoria ancora più inesplicabile, eppure lui non provava la minima sensazione di trionfo. Sentiva solo confusione e sorpresa.
Perché adesso ricordava la leggenda delle farfalle d'oro. Guidate dalla tempesta, a centinaia e migliaia, risalivano la montagna per morire sulla cima.
Le legioni di Kalidas avevano finalmente ottenuto il loro sahgue, e, nello stesso tempo, la loro vendetta.
31
L'esodo
— Cos'è successo? — chiese lo sceicco Abdullah.
" Ecco una domanda a cui non sarò mai capace di rispondere" pensò Morgan. Ma disse: — La Montagna è nostra, signor presidente. I monaci hanno già cominciato ad andarsene. È incredibile. Com'è possibile che una leggenda antica di duemila anni…? — Scosse la testa, stupefatto, perplesso.
— Se ci sono abbastanza uomini che credono in una leggenda, diventa vera.
— Suppongo di sì. Ma qui c'è in ballo qualcosa di più. L'intera serie di avvenimenti mi pare incredibile.
— È sempre rischioso usare questo aggettivo. Permettimi di raccontarti una modesta storia. Un caro amico, un grande scienziato ormai morto, mi prendeva in giro sostenendo che siccome la politica è la scienza del possibile, sembra attraente solo a cervelli di seconda categoria. Perché quelli di prima categoria, diceva, s'interessano solo all'impossibile. E lo sai cosa gli ho risposto?
— No — disse Morgan, cortesemente e prevedibilmente.
— È una fortuna che siamo in tanti, perché qualcuno deve governare il mondo… E… se è successo l'impossibile, dovresti accettarlo con gratitudine.
"Lo accetto con riluttanza" pensò Morgan. "C'è qualcosa di molto strano in un universo dove qualche cadavere di farfalla può controbilanciare una torre da un miliardo di tonnellate."
E a quel punto entrava in gioco il ruolo ironico del Venerabile Parakarma, che ormai doveva sentirsi una pedina nelle mani di qualche dio malizioso. Il direttore del Controllo Monsoni si era dimostrato molto dispiaciuto, e Morgan aveva accettato le sue scuse con una cortesia insolita. Non gli era difficile credere che il brillante dottor Choam Goldberg avesse rivoluzionato la micrometeorologia, che nessuno avesse capito sino in fondo cosa stava facendo, e che per finire gli fosse capitato un esaurimento nervoso mentre conduceva i suoi esperimenti. Non sarebbe mai più successo. Morgan aveva espresso i suoi auguri, del tutto sinceri, per una veloce guarigione dello scienziato; e i suoi istinti di burocrate gli avevano lasciato capire che, a tempo debito, avrebbe ricevuto l'attenzione del Controllo Monsoni. Il direttore era scomparso fra una profusione di ringraziamenti, senza dubbio perplesso dalla sorprendente magnanimità di Morgan.
— A puro titolo di curiosità — chiese lo sceicco — dove sono diretti i monaci? Potrei ospitarli qui. La nostra cultura ha sempre dato il benvenuto a fedi diverse.
— Non so, e non lo sa nemmeno l'Ambasciatore Rajasinghe. Ma quando gliel'ho chiesto mi ha risposto che si troveranno bene. Un ordine religioso che è sopravvissuto frugalmente per tremila anni non dovrebbe essere del tutto sprovveduto.
— Hmm. Forse ci farebbero comodo un po' delle loro ricchezze. Questo tuo modesto progetto diventa più costoso ogni volta che ci vediamo.
— Non è esatto, signor presidente. L'ultima stima comprende una cifra destinata esclusivamente alla contabilità. Si tratta di operazioni nello spazio profondo che la Banca di Marte ha accettato di finanziare. Saranno loro a scovare un satellite carbonoso e a trasportarlo nell'orbita terrestre. Sono molto più pratici di noi di lavori del genere, e questo risolve uno dei problemi principali.