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— Non è necessario, almeno per ora. Forse entro cinque anni, però è da vedere. Ti consiglio di cominciare con questo tipo: si porta sotto lo sterno, per cui non c'è bisogno di sensori remoti. Dopo un po' non ti ricorderai nemmeno che esiste. E non ti darà fastidio, a meno che non sia indispensabile.

— Nel qual caso?

— Stai a sentire.

Il dottore premette uno dei numerosi pulsanti sul terminale della scrivania, e una voce dolce da mezzosoprano disse, in tono calmissimo: — Penso che dovreste sedervi a riposare per dieci minuti circa. — Dopo una breve pausa, continuò: — Sarebbe una buona idea coricarsi per una mezz'oretta. — Un'altra pausa. — Non appena possibile, fissate un appuntamento col dottor Sen. — Poi: — Per favore, prendete immediatamente una delle pillole rosse… Ho chiamato l'ambulanza. Restate coricato e calmo. Andrà tutto bene. — Morgan si tappò quasi le orecchie con le mani per non udire quel fischio penetrante. — Questo è un allarme CORA. Per favore, chiunque si trovi nel raggio della mia voce mi raggiunga immediatamente. Questo è un allarme CORA. Per favore…

— Credo che avrai afferrato l'idea — disse il medico, ristabilendo il silenzio nel suo studio. — Naturalmente i programmi e le reazioni sono studiati su misura per il paziente. E c'è un'ampia scelta di voci, alcune famose.

— Delizioso. Quando sarà pronto il mio apparecchio?

— Ti chiamo fra tre giorni. Oh, già. I modelli sternali hanno un vantaggio che dovrei sottolineare.

— E quale sarebbe?

— Uno dei miei pazienti è un accanito giocatore di tennis. Dice che quando apre la maglietta, la vista di quella scatoletta rossa ha un effetto assolutamente terribile sull'avversario.

34

Vertigine

Un tempo, uno dei compiti più modesti (ma spesso più importanti) di ogni uomo civile era l'aggiornamento regolare del taccuino d'indirizzi. Il codice universale aveva reso superflua quell'operazione: bastava conoscere il numero d'identità personale di un individuo per poterlo rintracciare entro pochi secondi. E anche se non si conosceva il numero, in genere i normali programmi di ricerca potevano scoprirlo piuttosto in fretta, servendosi della data approssimativa di nascita, della professione e di pochi altri dettagli (ovviamente si creava qualche problema se il nome era Smith, o Singh, o Mohammed…).

Lo sviluppo della rete mondiale d'informazioni aveva reso superfluo anche un altro dovere noioso. Bastava contrassegnare con una sigla particolare i nomi degli amici a cui si volevano porgere gli auguri per il compleanno o per occasioni simili, e il computer domestico avrebbe provveduto a tutto. Il giorno stabilito (a meno che, come succedeva spesso, non si fosse commesso qualche stupido errore di programmazione) il messaggio più appropriato sarebbe giunto automaticamente a destinazione. E per quanto il destinatario potesse sospettare che le calde parole che apparivano sul suo schermo fossero opera solo di strumenti elettronici, e che magari chi le firmava non pensava a lui da anni, il gesto era sempre gradito.

Ma la tecnologia che aveva eliminato certe necessità ne aveva create altre, ancor più imperiose. Fra tutte, la più importante era forse la programmazione del Sommario degli Interessi Personali.

Molti aggiornavano il proprio SIP a Capodanno, o quando compivano gli anni. L'elenco di Morgan conteneva cinquanta voci; aveva sentito parlare di gente che ne aveva centinaia. Probabilmente passavano tutte le ore della giornata a lottare col fiume d'informazioni, a meno che non si trattasse solo di burloni che si divertivano a programmare il segnale d'allarme per impossibilità classiche del tipo:

"Uova, dinosauro, rinvenimento di"

"Cerchio, quadratura del"

"Atlantide, emersione di"

"Cristo, secondo avvento di"

"Mostro di Loch Ness, cattura del"

E per chiudere in bellezza:

"Mondo, fine del".

In genere, com'è ovvio, egocentrismo e interessi professionali facevano sì che il nome dell'utente fosse il primo di ogni elenco. Morgan non faceva eccezione, ma le voci successive erano piuttosto insolite:

"Torre, orbitale"

"Torre, spaziale"

"Torre, (geo) sincrona"

"Elevatore, spaziale"

"Elevatore, orbitale"

"Elevatore, (ego) sincrono".

Quelle definizioni comprendevano quasi tutte le varianti usate dai mass-media, e gli permettevano di controllare almeno il novanta per cento delle notizie relative al suo progetto. In gran parte si trattava di sciocchezze, e a volte si chiedeva se valeva la pena di controllarle: le notizie davvero importanti gli sarebbero arrivate in fretta.

Morgan si stava ancora sfregando gli occhi, e il letto era appena scomparso nella parete del suo modesto appartamento, quando l'ingegnere notò che sul terminale occhieggiava il segnale d'allarme. Schiacciò simultaneamente i pulsanti del caffè e della lettura, ansioso di conoscere gli ultimi sviluppi della situazione.

LA TORRE ORBITALE È STATA ABBATTUTA, diceva il titolo.

— Devo proseguire? — chiese il terminale.

— Ci puoi scommettere — rispose Morgan, improvvisamente sveglio.

Nei secondi successivi, mentre leggeva il testo dell'articolo, il suo stato d'animo passò dall'incredulità all'indignazione, per finire alla preoccupazione. Trasmise il tutto a Warren Kingsley, aggiungendo: — Per favore chiamami appena puoi — e si dedicò alla colazione, ancora indignato.

Meno di cinque minuti dopo, Kingsley apparve sullo schermo.

— Andiamo, Van — disse con ironica rassegnazione — dovremmo considerarci fortunati. Ci ha messo cinque anni per arrivare fino a noi.

— È la cosa più ridicola che io abbia mai sentito! Dobbiamo ignorarlo? Se gli rispondiamo gli facciamo pubblicità, e quello non vuole altro.

Kingsley annuì. — È la miglior linea d'azione, almeno per ora. Non dobbiamo reagire come matti. Del resto può darsi che non abbia tutti i torti.

— Cosa vuoi dire?

Kingsley era diventato improvvisamente serio. Sembrava persino un po' a disagio.

— Esistono problemi psicologici, oltre a quelli tecnici — disse. — Pensaci. Ci vediamo in ufficio.

L'immagine scomparve dallo schermo, lasciando Morgan leggermente sconvolto. Era abituato alle critiche, sapeva come trattarle; anzi, si divertiva un mondo a giocare a botta e risposta su argomenti tecnici coi suoi avversari, ed era difficile che si lasciasse sconvolgere le rare volte in cui perdeva. Ma non era facile sistemare Paperino.

Ovviamente non si chiamava così; però l'atteggiamento indignato e critico del dottor Donald Bickerstaff, del tutto peculiare, faceva pensare spesso a quel personaggio della mitologia del ventesimo secolo. Si era laureato (a pieni voti, ma senza lode) in matematica pura; le sue armi erano un aspetto affascinante, una voce melliflua, e una fede incrollabile nella propria capacità di poter parlare di qualsiasi argomento scientifico. Nel suo campo, a dire il vero, era in gamba. Morgan ricordava con piacere una sua conferenza di vecchio stampo cui aveva assistito anni prima alla Royal Institution. In seguito, per una settimana circa era quasi riuscito a capire le singolari proprietà dei numeri transfiniti…

Sfortunatamente, Bickerstaff non conosceva i propri limiti. Possedeva una devota cerchia di sostenitori che seguivano i suoi programmi d'informazione (un tempo lo avrebbero definito "scienziato pop"), ma possedeva una schiera anche più ampia di nemici. I più gentili ritenevano che il suo cervello fosse stato educato oltre i limiti della sua intelligenza. Gli altri lo definivano un libero professionista dell'idiozia. Era un vero peccato, pensava Morgan, che non fosse possibile chiudere Bickerstaff in una stanza col dottor Goldberg-Parakarma: si sarebbero annullati a vicenda, come elettrone e positrone. Il genio dell'uno avrebbe distrutto la fondamentale stupidità dell'altro. Quella stupidità incrollabile contro cui, come lamentava Goethe, persino gli dèi lottavano invano. E siccome al momento c'erano pochi dèi disponibili, Morgan sapeva di dover affrontare da solo l'impresa. Conosceva un'infinità di modi migliori per occupare il tempo; però la cosa poteva offrirgli un comico sollievo, e c'era un precedente suggestivo.