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Carati o tonnellate, quelle enormi quantità di materiale avevano spremuto al massimo le risorse delle colonie spaziali e l'abilità dei tecnici orbitali. Nelle misure automatiche, negli impianti di produzione e nelle catene di montaggio a gravità zero si era riversato quasi tutto il genio tecnologico dell'umanità, faticosamente acquisito in duecento anni di colonizzazione spaziale. Presto tutti i componenti della Torre (pochi pezzi standard, prodotti in milioni d'esemplari) sarebbero stati radunati in giganteschi mucchi sospesi in cielo, in attesa degli operai robot.

Allora la Torre sarebbe cresciuta in due direzioni: da una parte verso la Terra e dall'altra, contemporaneamente, verso la massa d'ancoraggio orbitante. Il lavoro doveva essere condotto in modo che le sue direttive di sviluppo fossero sempre in equilibrio reciproco. La sezione trasversale della Torre sarebbe diminuita velocemente d'ampiezza scendendo dall'orbita, dove era sottoposta alle tensioni massime, verso la Terra; e sarebbe diventata sempre minore anche in direzione del contrappeso orbitante.

Completato il lavoro, l'intero cantiere di costruzione sarebbe stato lanciato in orbita di trasferimento verso Marte. Quella clausola del contratto aveva causato grossi dispiaceri fra i politici e i finanziatori terrestri adesso che, troppo tardi, era chiaro il potenziale dell'elevatore spaziale.

I marziani avevano fatto un bel colpo. Avrebbero atteso altri cinque anni prima di cominciare a recuperare gli investimenti, ma forse per un altro decennio avrebbero conservato il monopolio virtuale di quel tipo di costruzione. Morgan sospettava seriamente che la torre di Pavonis potesse essere solo la prima di molte torri. Poteva anche darsi che Marte fosse il pianeta migliore per diventare la base d'un insieme di elevatori spaziali, e i suoi energici abitanti non avrebbero perso un'occasione del genere. Se riuscivano a fare del loro mondo, nei prossimi anni, il centro del commercio interplanetario, buona fortuna a loro! Morgan aveva altri problemi di cui occuparsi, alcuni ancora da risolvere.

La Torre, nonostante le dimensioni enormi, era solo il supporto di qualcosa di molto più complesso. Lungo ognuna delle sue quattro facciate dovevano correre trentaseimila chilometri di binari, capaci di operare a velocità mai tentate. Per l'intero percorso dovevano essere alimentati da cavi a super-conduttività, collegati a giganteschi generatori a fusione; e il sistema nel suo insieme doveva essere controllato da una rete di computer incredibilmente complessa, infallibile.

Il Capolinea Spaziale, dove i passeggeri e le merci sarebbero stati trasferiti dalla Torre all'astronave ancorata lì, era già di per sé un progetto colossale. E lo era anche la Stazione di Mezzo. E lo era il Capolinea Terrestre, che in quel momento veniva scavato col laser nel cuore della montagna sacra. E, oltre a tutto questo, c'era l'Operazione Pulizia Totale…

Per duecento anni, satelliti di ogni forma e dimensione, da quelli grandi come un chiodo a interi villaggi spaziali, si erano andati accumulando in orbita attorno alla Terra. Tutto quello che passava al di sotto dell'altissima Torre, a prescindere dalla frequenza dei passaggi, doveva essere preso in considerazione, visto che costituiva un pericolo potenziale. Tre quarti di quel materiale erano relitti abbandonati, dimenticati da tempo. Adesso bisognava rintracciarli tutti e, in qualche modo, sistemarli.

Per fortuna, le antiche fortezze orbitanti erano magnificamente equipaggiate per quel compito. I loro radar, progettati per individuare missili in arrivo da distanze enormi e senza preavviso, riuscivano facilmente a rintracciare i relitti dei primi tempi dell'era spaziale. Poi i laser distruggevano i satelliti più piccoli, mentre i maggiori venivano inseriti su orbite più elevate e non pericolose. Alcuni, quelli di interesse storico, furono recuperati e riportati a Terra. L'operazione riservò non poche sorprese: ad esempio, tre astronauti cinesi morti in missione segreta, e alcuni satelliti da ricognizione costruiti con una miscela di componenti talmente ingegnosa che fu impossibile scoprire quale paese li avesse lanciati. Non che importasse molto, ovviamente, visto che erano di almeno cento anni prima.

Tutte le orbite dell'infinità di satelliti e stazioni spaziali in funzione, costretti per motivi operativi a restare vicini alla Terra, furono controllate e in qualche caso modificate. Ma ovviamente non si poteva fare niente per i corpi imprevedibili, guidati dal caso, che da un momento all'altro potevano giungere dai confini estremi del sistema solare. Come ogni creazione dell'umanità, la Torre sarebbe stata esposta alle meteoriti. Parecchie volte al giorno il suo sistema di sismometri avrebbe registrato impatti nell'ordine dei milligrammi; ed erano prevedibili danni strutturali di lieve entità una o due volte l'anno. E prima o poi, nei secoli futuri, si sarebbe forse scontrata con una meteora gigante che per un po' avrebbe messo fuori uso uno o più binari. Nel peggiore dei casi, la Torre poteva finire spezzata in un punto.

Il che aveva le stesse possibilità di verificarsi quanto l'impatto di una gigantesca meteorite su Londra o Tokyo, che all'incirca rappresentavano un bersaglio di dimensioni simili. Gli abitanti delle due città non perdevano molto sonno per la preoccupazione di un evento del genere. E nemmeno Vannevar Morgan. A parte i problemi che il futuro poteva riservare, ormai più nessuno dubitava che la Torre Orbitale rappresentasse un'idea di cui era giunto il momento.

PARTE QUINTA

Ascensione

38

Tempeste silenziose

(Dal discorso del professor Martin Sessui, vincitore del premio Nobel per la fisica, Stoccolma, 16 dicembre 2154)

"Tra terra e cielo esiste una regione invisibile che gli antichi filosofi non hanno mai immaginato. E, fino all'alba del ventesimo secolo (per essere precisi il 12 dicembre 1901), essa non si era manifestata nelle faccende umane.

" Quel giorno, Guglielmo Marconi trasmise attraverso l'Atlantico i tre punti della lettera 'S' dell'alfabeto Morse. Molti esperti avevano dichiarato che la cosa era impossibile, dal momento che le onde elettromagnetiche possono viaggiare solo in linea retta, e quindi non sarebbero riuscite a seguire la curvatura del globo. La vittoria di Marconi non solo aprì la porta all'epoca delle comunicazioni mondiali, ma dimostrò anche che, nell'alta atmosfera, esiste uno specchio elettrificato, capace di ritrasmettere sulla Terra le onde radio.

"Lo Strato di Kennelly-Heaviside, come venne dapprima chiamato, dimostrò subito di essere una regione di grande complessità, contenente almeno tre stratificazioni principali, tutte soggette ad ampie variazioni in altezza e intensità. Al loro limite estremo si fendono nella Fascia di Van Allen, la cui scoperta è stata il primo trionfo dell'era spaziale.

"Questa vasta regione, che inizia approssimativamente a un'altezza di cinquanta chilometri e si estende verso l'alto per diversi raggi terrestri, è oggi nota come ionosfera. La sua esplorazione tramite missili, satelliti e onde radio è un processo che dura da più di due secoli. Vorrei rendere omaggio ai miei predecessori in quest'impresa: gli americani Tuve e Breit, l'inglese Appleton, il norvegese Størmer; e in particolare, l'uomo che nel 1970 vinse il premio che oggi sono tanto onorato di accettare, il vostro compatriota Hannes Alfvén…