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Il ragazzo era in gamba: fissò intensamente lo zenit per quasi un minuto, come se sperasse di vedere le migliaia di uomini e i milioni di tonnellate di materiale sospesi oltre il blu profondo del cielo. Poi chiuse gli occhi con una smorfia, scosse la testa, e si guardò un attimo i piedi quasi ad assicurarsi che si trovava ancora sulla solida, incrollabile Terra.

Tese una mano con cautela e carezzò il nastro sottile che univa il pianeta con la sua nuova luna.

— Cosa succederebbe se si spezzasse? — chiese.

Era una vecchia domanda. Molti restavano sorpresi dalla risposta.

— Pochissimo. A questo punto, non si trova praticamente sotto tensione. Se tu tagliassi il nastro resterebbe lì, a dondolare al vento.

Kingsley ebbe un'espressione di disgusto. Tutti e due sapevano che quella semplificazione era eccessiva. In quel momento, ognuno dei quattro nastri era sottoposto a una tensione di circa cento tonnellate; ma era una cifra trascurabile a paragone dei pesi che avrebbero sorretto quando, integrati nella struttura della Torre, avessero cominciato a svolgere il loro lavoro. Comunque era inutile confondere il ragazzo con dettagli del genere.

Dev meditò sulla risposta; poi diede un colpetto sperimentale al nastro, quasi sperasse di cavarne una nota musicale. Ma l'unica reazione fu un "clic" modestissimo che svanì subito.

— Se tu lo colpissi con un martello da fabbro — disse Morgan — e ritornassi dieci ore dopo, faresti in tempo a sentire l'eco dalla Stazione di Mezzo.

— Ma non un minuto più tardi — disse Kingsley. — La struttura produce troppo smorzamento.

— Non rovinare tutto, Warren. Adesso vieni a vedere una cosa davvero interessante.

Arrivarono al centro del disco metallico che adesso incoronava la montagna e chiudeva la colonna come un gigantesco coperchio. Lì, equidistante dai quattro nastri che stavano guidando la Torre verso Terra, si trovava un minuscolo osservatorio geodetico, che sembrava ancor più provvisorio della superficie su cui era stato costruito. Ospitava un telescopio di forma bizzarra, puntato direttamente verso l'alto e apparentemente impossibile da puntare in ogni altra direzione.

— È l'ora migliore per guardare. Manca poco al tramonto, e la base della Torre è perfettamente illuminata.

— A proposito di tramonto — disse Kingsley — da' un po' un'occhiata al sole. È ancora più chiaro di ieri. — Nella sua voce, mentre indicava col dito la brillante ellisse appiattita che scompariva nella foschia a ovest, c'era qualcosa di simile alla sorpresa. Le nebbie all'orizzonte avevano talmente smorzato la luce del sole che si poteva fissarlo senza problemi.

Era più di un secolo che non compariva un gruppo simile di macchie. Ricoprivano quasi metà del disco dorato, e sembrava che il sole fosse stato colpito da una malattia terribile, o bucherellato da frammenti di pianeti. Però nemmeno il colossale Giove poteva creare una ferita del genere nell'atmosfera solare: la macchia più grande aveva un diametro di duecentocinquantamila chilometri, avrebbe potuto ingoiare cento Terre.

— Per stanotte è prevista un'altra grande aurora boreale. Il professor Sessui e i suoi ragazzi hanno scelto il momento migliore.

— Vediamo come se la passano — disse Morgan, aggiustando l'oculare. — Guarda un po', Dev.

Il ragazzo guardò attentamente nel telescopio per un attimo, poi disse: — Vedo i quattro nastri che salgono in dentro, cioè in su, e poi scompaiono.

— Non c'è niente in mezzo?

Un'altra pausa. — No. Non c'è segno della Torre.

— Esatto. Si trova ancora a seicento chilometri d'altezza, e il telescopio è al minimo d'ingrandimento. Adesso lo aumento. Allacciate le cinture di sicurezza.

Dev rise a quell'antica frase, resa familiare da dozzine di drammi storici. Eppure in un primo momento non vide niente di diverso, a parte il fatto che le quattro linee puntate verso il centro del campo visivo erano un po' meno nitide. Gli occorse qualche secondo per capire che non doveva aspettarsi nessun cambiamento, dal momento che il suo punto di vista correva in su in coincidenza con l'asse della struttura; i quattro nastri sarebbero rimasti sempre uguali, a prescindere dal punto che lui fissava.

Poi, improvvisamente, "apparve", e lo prese di sorpresa anche se se l'aspettava. Un puntino luminoso si era materializzato esattamente al centro del campo visivo; si espandeva sotto i suoi occhi e adesso, per la prima volta, ebbe la sensazione di correre sempre più in fretta.

Pochi secondi dopo distinse un cerchio. No, ora sia il cervello che l'occhio gli dicevano che era un quadrato. Stava vedendo direttamente la base della Torre, che si tendeva verso la Terra lungo i nastri alla velocità di un paio di chilometri al giorno. I quattro nastri erano ormai svaniti, troppo piccoli per risultare visibili a quella distanza.

Ma quel quadrato magicamente immobile in cielo continuava a crescere, anche se l'ingrandimento estremo lo rendeva sfuocato.

— Cosa vedi? — chiese Morgan.

— Un quadratino luminoso.

— Ottimo. È la base della Torre, ancora in piena luce. Quando qui fa buio la si può vedere a occhio nudo per un'ora, prima che entri nell'ombra proiettata dalla Terra. Vedi qualcosa d'altro?

— No… — rispose il ragazzo, dopo una lunga pausa.

— Impossibile. C'è un gruppo di scienziati che si è recato all'estremità inferiore per installare strumenti di ricerca. Sono appena scesi dalla Stazione di Mezzo. Se guardi bene vedrai il loro traslatore. È sul binario sud, cioè sulla destra del campo visivo. Cerca un punto luminoso, grande all'incirca un quarto della Torre.

— Mi spiace, zio, non lo trovo. Guarda tu.

— Va bene. Può darsi che sia peggiorata la visuale. A volte la Torre scompare del tutto anche se l'atmosfera sembra…

Ancora prima che Morgan potesse prendere il posto di Dev al telescopio, il suo ricevitore personale inviò due segnali striduli, poi altri due. Un secondo dopo esplose anche l'allarme di Kingsley.

Era la prima volta che la Torre mandava un segnale d'emergenza forza quattro.

40

Capolinea

C'era poco da meravigliarsi che la chiamassero "la Transiberiana". Persino in discesa, il viaggio dalla Stazione di Mezzo alla base della Torre durava cinquanta ore.

Un giorno ne sarebbero bastate cinque, ma a quel giorno mancavano ancora due anni: allora i binari avrebbero ricevuto l'alimentazione, i loro campi magnetici si sarebbero attivati. I veicoli per il controllo e la manutenzione che adesso viaggiavano su e giù per la Torre erano spinti da antiquati cerchioni che si incastravano nelle scanalature di guida. Per quanto la potenza modesta delle batterie lo permettesse, non era sicuro viaggiare a più di cinquecento chilometri l'ora con un sistema del genere.

Eppure tutti ebbero talmente da fare che nessuno si annoiò. Il professor Sessui e i suoi tre allievi avevano compiuto osservazioni, controllato gli strumenti, e avevano predisposto ogni cosa in modo da non perdere tempo appena arrivati alla Torre. L'autista della capsula, l'assistente tecnico e l'unico steward (i tre formavano l'intero equipaggio) ebbero parecchio da fare a loro volta, perché quello non era un viaggio di routine. Le "fondamenta", venticinquemila chilometri più in basso della Stazione di Mezzo, e ormai lontane solo seicento chilometri dalla Terra, non erano mai state raggiunte dopo la costruzione. Sino ad allora era sembrato del tutto inutile andarci, visto che i pochi monitor non avevano mai registrato niente d'irregolare. Non che potesse succedere molto, visto che la base era solo una camera pressurizzata di quindici metri quadrati, uno dei tanti rifugi d'emergenza disposti a intervalli lungo la Torre.