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"E i miei" pensò Morgan. Strano che CORA se ne stesse tranquilla da tanto tempo. Eppure, questa volta non si era stancato fisicamente; era soltanto una sensazione.

Preoccupato com'era per il Ragno, aveva trascurato se stesso. Nell'ultima ora aveva dimenticato le tavolette energetiche a residuo zero di glucosio e il tubicino di plastica del succo d'arancia. Dopo le tavolette e il succo si sentì molto meglio. Gli sarebbe piaciuto poter trasmettere alla batteria agonizzante un po' del suo surplus di calorie.

Era un salto nel buio, certo. Quanti aerei non si erano schiantati sull'orlo della pista, dopo aver attraversato un oceano? Quante volte le macchine o i muscoli non avevano ceduto a pochi millimetri dal punto d'arrivo? Fortuna e sfortuna accadevano a tutti, in un modo o nell'altro. Non aveva diritto di aspettarsi un trattamento speciale.

La capsula avanzò a colpi e strattoni, come un animale moribondo in cerca dell'ultimo rifugio. Quando finalmente la batteria si spense, la base della Torre sembrava riempire il cielo.

Ma era ancora a venti metri sopra di lui.

54

Teoria della relatività

Va a merito di Morgan l'aver provato la sensazione che il "suo" destino fosse segnato, nel terribile momento in cui le ultime riserve d'energia si esaurirono e le luci sul pannello di controllo del Ragno si spensero. E per diversi secondi non ricordò nemmeno che doveva solo allentare i freni per ritornare sulla Terra. Entro tre ore poteva mettersi tranquillamente a letto. Nessuno poteva rimproverarlo se la missione era fallita; aveva fatto tutto quello che era umanamente possibile.

Per un po' fissò, con furia repressa, quell'inaccessibile quadrato su cui si proiettava l'ombra del Ragno. La sua mente elaborò una quantità di progetti pazzeschi, e li respinse tutti. Se avesse avuto ancora la sua fedele filiera… Ma sarebbe stato impossibile agganciare l'iperfilamento alla Torre. "Se" i sette superstiti avessero avuto una tuta spaziale, qualcuno avrebbe potuto tendergli una corda; ma non c'era stato il tempo di salvare nessuna tuta sul traslatore in fiamme.

Ovviamente, se si fosse trattato di un videodramma e non di un problema reale, qualcuno avrebbe potuto sacrificarsi (meglio ancora se era una donna): bastava che s'infilasse nel portello e gli lanciasse una corda, sfruttando i quindici secondi di coscienza per salvare gli altri. La disperazione di Morgan era tale che, per un brevissimo momento, prese in considerazione l'idea; poi tornò il buonsenso.

Da quando il Ragno aveva smesso di combattere contro la gravità al momento in cui Morgan accettò l'idea che non poteva fare più niente, era passato probabilmente meno di un minuto. Poi Warren Kingsley gli fece una domanda che, in una circostanza del genere, gli parve fastidiosa e inutile.

— Ridacci la tua distanza, Van. Quanto manca esattamente alla Torre?

— E che diavolo importa? Potrei anche essere a un anno luce.

Da Terra ci fu un silenzio breve; poi Kingsley si fece sentire di nuovo, col tono di chi si rivolgesse a un bambino piccolo o a un invalido intrattabile. — Fa un sacco di differenza. Hai detto "venti" metri?

— Sì, più o meno.

Incredibilmente, chiaramente, Warren uscì in un sospiro di sollievo fortissimo. Quando rispose, la sua voce era persino gioiosa. — E per tutti questi anni, Van, ho creduto che fossi "tu" l'ingegnere capo del progetto. Supponi che si tratti esattamente di venti metri…

Il grido esplosivo di Morgan gli impedì di terminare la frase. — Che idiota! Di' a Sessui che attraccherò fra… oh, quindici minuti.

— Quattordici virgola cinque, se la distanza è esatta. E non c'è niente che ti possa fermare.

Quella era una frase rischiosa, e Morgan desiderò che Kingsley non l'avesse detta. A volte i dispositivi d'aggancio non si univano perfettamente, a causa di imperfezioni minime di costruzione. E non c'era mai stata nessuna possibilità di sperimentare quei dispositivi.

Si sentiva solo leggermente imbarazzato del suo vuoto mentale. Dopo tutto, in situazioni di tensione estrema si poteva scordare anche il proprio numero di telefono, persino la data di nascita. E, fino a quel momento, il fattore che adesso era il più importante della situazione era stato di così scarso rilievo che lo si poteva tranquillamente dimenticare. Era tutta una faccenda di relatività. Lui non poteva raggiungere la Torre, ma la Torre avrebbe raggiunto lui.

55

Attracco

Il record di costruzione giornaliera era trenta chilometri, ottenuto quando si stava montando la sezione più sottile e leggera della Torre. Adesso che in orbita si stava completando la parte più massiccia della costruzione, il suo nucleo finale, la velocità era scesa a due chilometri al giorno. Era un ritmo più che rispettabile; Morgan avrebbe avuto il tempo di controllare l'allineamento dei portelli e di studiare mentalmente i secondi, piuttosto pericolosi, che passavano tra la conferma dell'attracco e l'allentamento dei freni del Ragno. Se avesse frenato per troppo tempo, si sarebbe scatenata una gara di resistenza, tutt'altro che leale, fra la capsula e le megatonnellate in movimento della Torre.

Quindici minuti, lunghi ma tranquilli ; abbastanza, sperava Morgan, per calmare CORA. Verso la fine sembrò succedere tutto in fretta, e negli ultimi istanti, mentre quella fetta di cielo solidificato scendeva su di lui, gli parve di essere una formica sul punto di venir schiacciata da una pressa. Un secondo prima la base della Torre era ancora lontana metri; un secondo dopo udì e visse l'impatto del meccanismo d'attracco.

Ora molte vite dipendevano dall'abilità e precisione con cui ingegneri e operai, anni prima, avevano compiuto il proprio lavoro. "Se" i manicotti non si univano entro i limiti massimi di tolleranza; "se" il meccanismo di attracco non funzionava perfettamente; "se" la guarnizione non era a tenuta d'aria… Morgan cercò d'interpretare l'insieme di suoni che gli arrivarono alle orecchie, ma non possedeva la capacità necessaria a decifrarne i messaggi.

Poi, come un segnale di vittoria, sul pannello indicatore apparve la scritta ATTRACCO COMPLETATO. Per dieci secondi gli elementi telescopici sarebbero riusciti ad assorbire ancora il movimento in avanti della Torre. Morgan ne lasciò trascorrere cinque prima di togliere con cautela estrema i freni. Era pronto a rimetterli immediatamente in azione se il Ragno avesse preso a cadere in basso, ma i sensori dicevano la verità. Ormai la Torre e la capsula erano saldate assieme. Morgan doveva solo salire qualche piolo della scaletta e sarebbe giunto a destinazione.

Dopo aver comunicato coi giubilanti ascoltatori sulla Terra e sulla Stazione di Mezzo, restò seduto un attimo a riprendere fiato. Strano pensare che era la seconda visita lì, ma della prima, dodici anni addietro e trentaseimila chilometri più in alto, ricordava pochissimo. Quando si erano gettate le fondamenta (nessuno aveva trovato un termine più adatto), c'era stata una festicciola lì, e si erano fatti molti brindisi a gravità zero. Perché quella non era solo la prima parte della Torre a venir costruita; era anche quella che per prima sarebbe giunta in contatto con la Terra, al termine della sua lunga discesa dall'orbita. Di conseguenza era parsa necessaria almeno una piccola cerimonia; e adesso Morgan ricordava che persino il senatore Collins, suo vecchio nemico, era stato tanto gentile da partecipare e augurargli buona fortuna con un discorso pungente ma pieno di spirito. Ora sarebbe stato ancor più opportuno celebrare.

Morgan udiva già un debole risuonare di colpetti di benvenuto dall'altra parte del portello. Slacciò la cintura di sicurezza, si mise goffamente in piedi sul sedile, e cominciò a salire la scaletta. Il portello oppose una debole resistenza, come se le forze coalizzate contro di lui tentassero un ultimo, debole gesto, e ci fu il sibilo dell'aria mentre la pressione si normalizzava. Poi il portello circolare si aprì verso l'alto, e mani ansiose lo aiutarono a salire nella Torre. Morgan respirò la prima boccata di quell'aria fetida e si chiese come avessero fatto a sopravvivere lì dentro. Se la sua missione fosse fallita, era assolutamente certo che un secondo tentativo sarebbe giunto troppo tardi.