Per i bambini, pieni di gioia al risveglio delle loro forze intellettuali, le temperature sotto zero erano una sfida eccitante. Danzavano nudi nel turbinio di neve, e i loro piedi traevano scricchiolii da quei cristalli di ghiaccio secchi, scintillanti. I loro simbioti furono costretti a ripetere spesso: — Non spegnete gli allarmi di congelamento! — Non erano ancora abbastanza cresciuti da poter creare nuovi organi senza l'aiuto dei loro simili più anziani.
Il più vecchio dei bambini si stava mettendo in mostra. Aveva lanciato una sfida al freddo, dichiarando, tutto fiero, di essere un elementale del fuoco (lo Stellisolano registrò il vocabolo per indagarne l'origine in futuro, il che Gli avrebbe causato molta perplessità). Di quel piccolo esibizionista si vedeva solo una colonna di fuoco e vapore che danzava su e giù lungo l'antica pavimentazione. Gli altri bambini ignorarono completamente quella rozza esibizione.
Per lo Stellisolano, però, la cosa rappresentava un paradosso interessante. "Perché mai" quelle creature si erano ritirate sui pianeti interni, quando avrebbero potuto sconfiggere il freddo grazie alla scienza che possedevano, come stavano facendo i loro cugini di Marte? A quella domanda Lui non aveva ancora ottenuto una risposta soddisfacente. Meditò di nuovo sull'enigmatica spiegazione che aveva ricevuto da ARISTOTELE, l'entità con cui Lui trovava più facile comunicare.
"C'è una stagione per tutto" gli aveva detto il cervello globale. "Viene il tempo di combattere la natura, e viene il tempo di assecondarla. La vera saggezza sta nell'operare la scelta esatta. Quando il lungo inverno sarà terminato, l'uomo tornerà a una Terra rinnovata e ringiovanita."
E così, negli ultimi secoli, l'intera popolazione terrestre si era recata alle Torri equatoriali ed era partita verso il Sole, raggiungendo i giovani oceani di Venere, le fertili pianure della zona temperata di Mercurio. Fra cinquecento anni, quando il sole fosse guarito, gli esuli sarebbero tornati. Mercurio sarebbe stato abbandonato, tranne che nelle regioni polari; ma Venere sarebbe diventato una seconda patria stabile. L'indebolirsi del Sole aveva offerto l'incentivo, e l'opportunità, di domare quel mondo infernale.
Per quanto fossero importanti, quelle cose interessavano l'Isolano solo indirettamente. Il Suo interesse si puntava su aspetti più sottili della cultura e della società umana. Ogni specie era unica, offriva le proprie sorprese, le proprie idiosincrasie. I terrestri avevano donato agli Stellisolani il concetto stupefacente dell'informazione negativa, che, secondo la terminologia locale, rispondeva ai nomi di "humour", "fantasia", "mito".
Alle prese con quegli strani fenomeni, talvolta disperato, lo Stellisolano aveva mormorato fra sé: — Non capiremo "mai" gli esseri umani. — Certe volte Si era sentito talmente frustrato da temere una coniugazione involontaria, con tutti i rischi che comportava. Ma adesso aveva fatto molti progressi. Ricordava ancora la Propria soddisfazione la prima volta che aveva inventato una battuta di spirito, e tutti i bambini avevano riso.
Stare a fianco dei bambini era la chiave di tutto, ancora una volta suggerita da ARISTOTELE. "Esisteva un vecchio proverbio: 'Il bambino è il padre dell'uomo'. Per quanto il concetto biologico di 'padre' sia estraneo a tutti e due, in questo contesto la frase assume un doppio significato…"
Per cui Lui era lì, sperando che i bambini Lo aiutassero a comprendere gli adulti in cui finivano col trasformarsi. A volte dicevano la verità; ma anche quando giocavano (un altro concetto difficile) e Gli offrivano informazioni negative, ormai Lui riusciva a riconoscere i segni.
Eppure, in certi momenti né i bambini, né gli adulti, e nemmeno ARISTOTELE, conoscevano la verità. Sembrava che esistesse una continuità perfetta tra la fantasia totale e i fatti storici documentati, con tutte le possibili gradazioni intermedie. A un lato dello spettro c'erano figure come Colombo e Leonardo e Einstein e Lenin e Newton e Washington, di cui spesso si conservavano ancora le voci e l'immagine. All'estremo opposto si trovavano Zeus e Alice e King Kong e Gulliver e Sigfrido e Merlino, che "senz'altro" non potevano essere esistiti nel mondo reale. Ma che dire di Robin Hood o Tarzan o Cristo o Sherlock Holmes o Ulisse o Frankenstein? Data per scontata una certa dose d'esagerazione, potevano anche essere stati veri personaggi della storia umana.
Il Trono a Elefante era cambiato ben poco in tremila anni, ma non aveva mai retto il peso di un visitatore così "alieno". Lui fissò lo sguardo a sud e paragonò la colonna di mezzo chilometro di diametro che si alzava dalla cima della montagna con i massimi risultati d'ingegneria che aveva visto su altri mondi. Per una razza così giovane, era un risultato davvero impressionante. Sembrava sempre sul punto di cadere giù dal cielo, ma si trovava lì da quindici secoli. Naturalmente, non nella forma originaria. Adesso i primi cento chilometri costituivano una città verticale (ancora abitata in alcuni dei suoi spaziosi livelli); e, attraverso la città, le sedici paia di binari avevano trasportato spesso un milione di passeggeri al giorno.
Adesso soltanto due di quei binari erano ancora in funzione. Tra poche ore lo Stellisolano e la Sua scorta avrebbero risalito quell'enorme colonna piena di scanalature, per tornare alla Città ad Anello che circondava il globo.
Lo Stellisolano rovesciò gli occhi per ottenere la visione telescopica, e scrutò lentamente lo zenit. Sì, eccola lì, difficile da vedere di giorno, ma tutto diventava più semplice di notte, quando il chiarore solare che si alzava dietro l'ombra della Terra la illuminava ancora. Il nastro sottile che tagliava il cielo in due emisferi era un piccolo mondo, dove mezzo miliardo di esseri umani avevano scelto di restare e di vivere a gravità zero.
E più in alto, poco sopra la Città ad Anello, c'era l'astronave che aveva trasportato lo Stellisolano e gli altri Compagni dell'Alveare oltre gli abissi interstellari. Già ora la stavano preparando a ripartire, senza nessuna fretta, con diversi anni d'anticipo, in previsione del suo viaggio di seicento anni. Il che, naturalmente, non avrebbe significato niente per lo Stellisolano, poiché Lui Si sarebbe riconiugato solo verso la fine del viaggio; ma forse poi Si sarebbe trovato di fronte al compito più gravoso della Sua lunga carriera. Per la prima volta, una Stellasonda era stata distrutta, o per lo meno messa a tacere, subito dopo essere entrata in un sistema solare. Forse la sonda era finalmente giunta in contatto coi misteriosi Cacciatori dell'Alba che avevano lasciato tracce su tanti mondi, e che sembravano così inesplicabilmente vicini all'Inizio. Se lo Stellisolano fosse stato capace di provare sorpresa, o paura, le avrebbe provate entrambe, mentre contemplava il futuro che Lo attendeva fra seicento anni.
Ma adesso Lui si trovava sulla cima nevosa di Yakkagala, e scrutava il ponte per le stelle creato dall'Uomo. Chiamò i bambini al Suo fianco (capivano sempre quando Lui voleva che ubbidissero "sul serio") e indicò la montagna a sud.
— Sapete perfettamente bene — disse, con un'esagerazione solo in parte simulata — che il primo Capolinea Terrestre è stato costruito duemila anni "dopo" le rovine di quel palazzo. — I bambini annuirono in un solenne cenno d'assenso. — Allora perché — Lui chiese, tracciando la linea che dallo zenit scendeva alla cima della montagna — "perché" chiamate quella colonna la Torre di Kalidas?