— Di' qualcosa, Van! — esclamò la voce divertita di Warren Kingsley dal mondo sotto di lui.
— Lasciami in pace — rispose Morgan. — Nelle prossime due ore voglio rilassarmi e godermi il panorama. Se volevate un bel commento parlato dovevate far partire Maxine Duval.
— È un'ora che ti sta chiamando.
— Porgile il mio affetto e dille che ho da fare. Magari, quando arrivo alla Torre… Quali sono le ultime novità da lassù?
— La temperatura si è stabilizzata a venti gradi. Il Controllo Monsoni invia una modesta quantità di megawatt ogni dieci minuti. Però il professor Sessui è furioso. Dice che il laser sconvolge i suoi strumenti.
— E l'aria?
— Lì non andiamo troppo bene. La pressione si è abbassata, e il CO2 si sta accumulando. Però non dovrebbe succedere niente se tu arrivi nel tempo previsto. Stanno attenti a non compiere movimenti inutili, per risparmiare ossigeno.
"Tranne il professor Sessui, ci scommetto" pensò Morgan. Sarebbe stato interessante conoscere l'uomo al quale stava tentando di salvare la vita. Aveva letto parecchi dei suoi trattati di divulgazione scientifica, celeberrimi, e li considerava fioriti e ridondanti. Aveva il sospetto che il professore presentasse le stesse caratteristiche.
— E la situazione alla Dieci C?
— Mancano ancora due ore alla partenza della capsula. Stanno installando dei circuiti speciali per assicurarsi che niente prenda fuoco in questo viaggio.
— Un'ottima idea. È di Bartok, immagino.
— Probabilmente. E scenderanno sul binario nord, nel caso che quello sud sia rimasto danneggiato dall'esplosione. Se va tutto bene, arriveranno alle fondamenta entro… oh… ventun ore. Tempo perfetto. Non credo che avremo bisogno di rimandare su il Ragno con un altro carico.
Nonostante la frase semischerzosa indirizzata prima a Kingsley, Morgan sapeva che era troppo presto per cominciare a rilassarsi. Eppure sembrava che tutto andasse al meglio possibile; e, di certo, nelle tre ore successive non poteva fare altro che ammirare il paesaggio in continua espansione.
Era già a un'altezza di trenta chilometri, saliva veloce e silenzioso nella notte tropicale. Non c'era luna, ma il paesaggio sotto di lui era svelato dalle costellazioni chiare di città e villaggi. Se guardava le stelle in alto e le stelle in basso, Morgan riusciva facilmente a immaginare di trovarsi lontano da qualsiasi mondo, perso nelle profondità dello spazio. Presto riuscì a scorgere l'intera isola di Taprobane, debolmente delimitata dalle luci degli insediamenti costieri. Molto a nord, una macchia di luminosità debole avanzava lungo l'orizzonte come ad annunciare un'alba prematura. Lo lasciò perplesso per un attimo, poi capì che stava vedendo una delle grandi città dell'Indostan del sud.
Adesso aveva superato l'altezza massima a cui potesse giungere qualunque tipo di aereo, e quello che aveva compiuto era già un fatto unico nella storia dei trasporti. Il Ragno e i suoi prototipi avevano compiuto innumerevoli viaggi fino a venti chilometri, ma nessuno si era mai spinto più in alto perché un salvataggio diventava impossibile. Finché la base della Torre non fosse giunta molto più vicino a Terra non sarebbero iniziate operazioni su vasta scala, e il Ragno aveva almeno due altri compagni che potevano spingersi in su e in giù lungo gli altri nastri. Morgan respinse il pensiero di quel che sarebbe successo se il meccanismo di guida si fosse inceppato: le persone rifugiate nelle fondamenta sarebbero state condannate, e anche lui.
Cinquanta chilometri. Si trovava in quello che, in tempi normali, sarebbe stato lo strato più basso della ionosfera. Non si aspettava di vedere qualcosa, ma si sbagliava.
Il primo segno fu un debole scricchiolìo dell'altoparlante della capsula; poi, con la coda dell'occhio, vide un guizzo di luce. Si trovava direttamente sotto di lui, riflesso nello specchio rivolto in basso che si trovava all'esterno del piccolo finestrino del Ragno. Spostò lo specchio al massimo, fino a puntarlo su una zona di cielo due metri sotto la capsula. Per un attimo fissò lo spettacolo con sorpresa, e con un po' più d'un briciolo di paura; quindi chiamò la Montagna.
— Ho compagnia — disse. — Credo che sia roba di competenza del professor Sessui. C'è una sfera di luce, di una ventina di centimetri di diametro, che corre su per il nastro appena sotto di me. Si tiene a una distanza sempre uguale, e spero che ci resti. Però debbo dire che è bellissima: un blu delizioso, che si accende a intervalli di pochi secondi. E la sento sul circuito radio.
Ci volle un minuto prima che Kingsley gli rispondesse con tono rassicurante.
— Non preoccuparti. È solo un fuoco di Sant'Elmo. Si sono già verificati fenomeni del genere sul nastro, durante i temporali. Sul prototipo del Ragno potevano anche essere pericolosi, ma a te non succederà niente. Sei schermato troppo bene.
— Non avevo idea che potessero formarsi a quest'altezza.
— Nemmeno noi. Sarà meglio parlarne al professore.
— Oh… Scompare… Diventa più grande e meno luminoso… Adesso è svanito… Immagino che l'atmosfera sia troppo rarefatta. Mi spiace che sia svanito.
— Quello era solo un anticipo — disse Kingsley. — Guarda un po' al di sopra di te.
Una parte rettangolare del cielo stellato si riflesse nello specchio, mentre Morgan lo puntava verso lo zenit. Dapprima non riuscì a vedere niente d'insolito, per cui spense tutte le luci del pannello di controllo e attese nell'oscurità totale.
I suoi occhi si abituarono al buio, e nelle profondità dello specchio un debole chiarore rosso cominciò a bruciare, ed estendersi, e divorare le stelle. Si fece sempre più forte, uscì dai limiti dello specchio: adesso lo vedeva direttamente, perché si estendeva lungo tutta la metà inferiore del cielo. Una gabbia di luce, dalle sbarre scintillanti e irrequiete, stava scendendo sulla Terra; e ora Morgan riusciva a capire come mai un uomo del calibro del professor Sessui potesse dedicare l'esistenza a svelare quei misteri.
In una delle sue rare visite all'equatore, l'aurora boreale si era spinta fin lì dai poli.
47
Oltre l'aurora boreale
Morgan dubitava che persino il professor Sessui, cinquecento chilometri più in alto, avesse una visuale così spettacolare. La tempesta si stava sviluppando in fretta; le onde corte radio, ancora usate per molti servizi non essenziali, dovevano già essere inutilizzabili nel mondo intero. Morgan non era certo se udiva con le orecchie o con altri sensi un rumore debole, simile al sospiro della sabbia che cade o allo scricchiolìo di ramoscelli secchi. Di certo non proveniva dall'altoparlante, come era successo con l'interferenza della sfera di fuoco, perché quando interruppe il circuito audio il rumore non cessò.
Sipari di un fuoco verde pallido, scarlatti agli orli, venivano distesi lungo il cielo e poi scossi lentamente avanti e indietro, come da una mano invisibile. Tremavano sotto il soffio del vento solare, la corrente che a un milione di chilometri l'ora soffiava dal Sole alla Terra, e molto oltre. Persino al di sopra di Marte s'era acceso un debole spettro colorato; e, controsole, i cieli micidiali di Venere erano in fiamme. Sopra i sipari, lunghi raggi simili alle stecche di un ventaglio semiaperto spazzavano l'orizzonte. A volte colpivano Morgan direttamente negli occhi, come le luci di riflettori giganteschi, lasciandolo abbagliato per interi minuti. Non era più necessario tener accesa l'illuminazione della capsula per respingere il buio: quei fuochi celesti erano talmente forti che alla loro luce si sarebbe potuto leggere.
Duecento chilometri. Il Ragno continuava a salire in silenzio, senza sforzi. Era difficile credere di essersi staccato dalla Terra solo un'ora prima. E anche difficile credere che la Terra esistesse ancora perché adesso lui viaggiava fra le pareti di un canyon di fuoco.