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Morgan, per quanto debole, rifiutò ogni aiuto per rimettersi in piedi; poi gli vennero presentati gli uomini e le donne che aveva salvato. C'era una cosa che lo preoccupava: mentre era svenuto, CORA era uscita in uno dei suoi monologhi? Non voleva sollevare l'argomento, ma si chiedeva…

— A nome di tutti noi — disse il professor Sessui, con sincerità e con la goffaggine di chi non era troppo abituato a essere tanto cortese — voglio ringraziarvi per quello che avete fatto. Vi dobbiamo tutti la vita.

Una risposta logica o coerente avrebbe puzzato di falsa modestia, per cui Morgan sfruttò la scusa di aggiustarsi la maschera per mormorare qualcosa d'incomprensibile. Stava per controllare che tutto il materiale del Ragno fosse stato scaricato quando il professor Sessui aggiunse, piuttosto ansioso: — Mi spiace di non potervi offrire una sedia. Questo è il meglio possibile. — Indicò due scatole per strumenti, una sopra l'altra. — Dovreste proprio riposare.

Quella frase gli era familiare: allora CORA "aveva" parlato. Ci fu una pausa leggermente imbarazzata. Morgan digerì il fatto, e gli altri ammisero di sapere, e lui fece capire che sapeva che sapevano; il tutto senza dire una sola parola, secondo il tipo di regresso psicologico all'infinito che si verifica quando un gruppo di persone divide in maniera totale un segreto che nessuno menzionerà mai più.

Respirò qualche boccata d'aria (era sorprendente come si facesse in fretta ad abituarsi alle maschere) e si accomodò sul sedile che gli avevano offerto. "Non voglio svenire di nuovo" si disse con decisione estrema. "Devo consegnare la roba e andarmene il più in fretta possibile. Speriamo che CORA non si faccia più sentire."

— Quel barattolo di materiale di tenuta — disse, indicando la più piccola delle scatole che aveva portato — dovrebbe sistemare la perdita. Spruzzatelo attorno alla guarnizione del portello; solidifica in pochi secondi. Usate l'ossigeno solo se è assolutamente necessario. Probabilmente vi servirà quando dormite. C'è una maschera anti-CO2 per tutti, e un paio di scorta. E lì avete cibo e acqua per tre giorni. Dovrebbero essere più che sufficienti. La capsula della Dieci C dovrebbe arrivare qui domani. Per quanto riguarda i medicinali, spero che non avrete bisogno di tutta quella roba.

S'interruppe per respirare. Non era facile parlare indossando uno di quei filtri, e lui sentiva il bisogno sempre maggiore di conservare le proprie forze. Ormai Sessui e gli altri potevano badare a se stessi, ma lui doveva fare un'altra cosa, e prima la faceva meglio era.

Morgan si girò verso Chang e disse tranquillamente: — Per favore, aiutatemi a rimettermi la tuta. Voglio ispezionare il binario.

— La vostra tuta può resistere solo trenta minuti!

— Avrò bisogno di dieci minuti, quindici al massimo.

— Dottor Morgan, io sono un operatore spaziale specializzato, voi no. Nessuno può uscire nello spazio con una tuta che ha ossigeno per trenta minuti senza una bombola di riserva, o senza il cordone ombelicale. Tranne che per emergenza ovviamente.

Morgan gli rivolse un sorriso stanco. Chang aveva ragione, e la scusa del pericolo immediato non reggeva più. Ma un'emergenza era tale quando lo decideva l'ingegnere capo.

— Voglio vedere i danni — rispose — ed esaminare i binari. Sarebbe terribile se quelli della Stazione Dieci C non potessero raggiungervi perché non sono al corrente di qualche ostacolo.

Chiaramente Chang non era troppo felice della situazione (cosa diavolo aveva raccontato quella chiacchierona di CORA mentre lui era svenuto?), ma non sollevò altre obiezioni. Accompagnò Morgan al portello nord.

Appena prima di abbassare il visore, Morgan chiese: — Altre noie col professore?

Chang scosse la testa. — Credo che il CO2 abbia rallentato i suoi ritmi. E se ricomincia… Be', siamo sei contro uno, anche se non sono sicuro di poter contare sui suoi studenti. Alcuni sono matti come lui. Prendete quella ragazza che continua a scarabocchiare su un foglio. È convinta che il sole stia per spegnersi o per scoppiare, non ho capito bene, e vuole avvertire il mondo prima di morire. Sai a cosa servirebbe! Io preferirei non sapere niente.

Morgan non poté impedirsi di sorridere, ma era certo che nessuno degli studenti del professore fosse pazzo. Eccentrici, forse, ma anche molto intelligenti; se no non avrebbero lavorato con Sessui. Un giorno doveva scoprire di più sugli uomini e le donne a cui aveva salvato la vita; però prima dovevano ritornare tutti sulla Terra, seguendo percorsi divergenti.

— Farò un giro veloce attorno alla Torre — disse Morgan — e vi descriverò tutti i danni in modo che possiate comunicarli alla Stazione di Mezzo. Non ci metterò più di dieci minuti. Ma se dovessi metterci di più… Be', non cercate di venire a riprendermi.

Chang chiuse il portello interno della camera d'equilibrio e gli indirizzò una risposta molto pratica. — Come diavolo potrei venirvi a prendere? — gli chiese.

56

Uno sguardo dal ponte

Il portello esterno della camera d'equilibrio nord si spalancò senza difficoltà, incorniciando un rettangolo di oscurità completa. In quel buio correva, in senso orizzontale, una linea di fuoco: il corrimano di sicurezza del ponte di impalcatura, illuminato dal raggio del proiettore che saliva fin lì dalla montagna in basso. Morgan respirò a fondo e fletté la tuta. Si sentiva perfettamente a proprio agio. Fece un cenno di saluto a Chang che lo guardava dall'oblò del portello interno. Poi uscì dalla Torre.

Il ponte di impalcatura che circondava le fondamenta era una griglia di metallo larga circa due metri. Poi c'era la rete di sicurezza, che sporgeva nello spazio di altri trenta metri. La parte di rete che Morgan riusciva a vedere non aveva imprigionato niente, in tanti anni di attesa paziente.

Iniziò la circumnavigazione della Torre, riparandosi gli occhi dal bagliore che giungeva dal basso. L'illuminazione obliqua mostrava ogni ammaccatura e imperfezione della superficie che, sopra la sua testa, si tendeva come una passerella verso la stelle; e in un certo senso lo era.

Come sperava e prevedeva, la esplosione sull'altro lato della Torre non aveva prodotto nessun danno lì: ci sarebbe voluta una bomba atomica, non una semplice bomba elettro-chimica. Le scanalature parallele dei binari, in attesa dell'arrivo della prima capsula, si protendevano verso l'alto all'infinito, perfette come quando erano state costruite. E cinquanta metri più sotto, anche se il proiettore rendeva difficile guardare in quella direzione, riusciva a scorgere i respingenti, pronti per un compito che non avrebbero mai dovuto eseguire.

Prendendosela calma, restando ben vicino alla superficie liscia della Torre, Morgan s'incamminò lentamente verso ovest, raggiunse il primo angolo. Prima di superarlo si voltò a guardare il portello spalancato della camera d'equilibrio, che rappresentava una sicurezza, per quanto relativa. Poi proseguì arditamente lungo la spoglia facciata ovest.

Provava un curioso miscuglio di ebbrezza e paura, come ormai non sentiva più da quando aveva imparato a nuotare e si era trovato, per la prima volta, in acque dove non toccava. Era certo che non ci fosse pericolo, però "poteva" essercene. La presenza di CORA, per il momento tranquilla, era viva dentro di lui; ma Morgan non aveva mai sopportato di lasciare un lavoro a metà, e la sua missione non era ancora completa.

La facciata ovest era esattamente identica alla nord, solo che non c'erano portelli. Nemmeno lì riscontrò tracce di danni, per quanto si trovasse più vicino al punto dell'esplosione.

Represse l'impulso di affrettarsi (dopo tutto era lì fuori da tre minuti appena) e avanzò lentamente verso l'angolo successivo. Ancora prima di averlo superato si accorse che non avrebbe potuto compiere l'intero giro della Torre. Il ponte di impalcatura era lacerato, penzolava nello spazio come una lingua di metallo contorto. La rete di sicurezza era scomparsa del tutto, senz'altro travolta dalla capsula che precipitava.