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Adesso sapeva perché quegli occhi grigi lo avevano colpito così bizzarramente. L’uomo seduto davanti a lui era cieco.

Van Ryberg non fece altri tentativi di mettersi in contatto con Karellen. La maggior parte del lavoro del suo dipartimento, il raggruppamento di dati statistici, lo spoglio della stampa mondiale e altre cose del genere, anda-va avanti automaticamente. A Parigi i legislatori stavano ancora discutendo sulla proposta Costituzione Mondiale, ma per il momento la cosa non lo riguardava. Mancavano due settimane al giorno fissato per sottoporre a Karellen la bozza della nuova Costituzione, e se non fosse stata pronta per il momento stabilito certamente Karellen avrebbe agito nel modo che riteneva opportuno. E ancora nessuna notizia di Stormgren.

Van Ryberg stava dettando la corrispondenza, quando suonò il telefono collegato con la linea di emergenza. Sollevò il ricevitore e ascoltò con crescente sbalordimento, poi lo rimise giù di colpo e corse alla finestra aperta. Da lontano venivano grida di stupore e nella strada il traffico si stava bloccando. Era vero: l’astronave di Karellen, immutato simbolo dei Superni per tutti quegli anni, non era più nel cielo. Van Ryberg scrutò in alto fin dove gli era possibile spingere lo sguardo e non la vide. Poi, di colpo, parve che facesse notte. L’immensa astronave calò da nord rasente ai grattacieli di New York oscurando tutto con la sua sagoma immensa, scura, vista così senza il riflesso del sole, come una nube temporalesca. Involontariamente Van Ryberg si ritrasse per sfuggire alla gigantesca ombra in corsa. Sapeva che le astronavi dei Superni erano di dimensioni gigantesche, incredibili, ma un conto era vederle alte nello spazio e un altro guardarle passare appena sopra la città, paurose come nubi cavalcate da demoni. Nel buio dell’eclissi parziale, guardò l’astronave e la sua ombra allontanarsi e svanire a sud. Non sentì alcun rumore, nemmeno il sibilo dell’aria, e capì che, per quanto fosse sembrata tanto vicina, la nave spaziale era passata almeno a mille metri di quota. Poi il palazzo vibrò colpito dallo spostamento d’aria, e si sentì un rumore di vetri da una stanza la cui finestra si era spalancata sotto l’onda d’urto.

Nell’ufficio tutti i telefoni si misero a suonare, ma Van Ryberg non si mosse. Rimase lì, appoggiato allo stipite della finestra, lo sguardo fisso a sud, paralizzato da quella visione di potenza illimitata.

A Stormgren pareva di avere il cervello su due piani diversi contemporaneamente. Da una parte, cercava di sfidare l’uomo che lo aveva catturato, dall’altra sperava che esso potesse aiutarlo a scoprire il segreto di Karellen. Gioco pericoloso, ma che con la sua notevole sorpresa lo divertiva. Il cieco gallese aveva condotto quasi tutto l’interrogatorio. Era affascinante vedere quell’agilissima mente tentare un varco dopo l’altro, valu-tando e respingendo tutte le storie che Stormgren stesso aveva abbandonato già da molto tempo. Alla fine si abbandonò contro la spalliera della sedia con un sospiro.

«Non si conclude niente» disse, in tono rassegnato. «Abbiamo bisogno di altri fatti, e questo significa azione, non discussioni.» Gli occhi ciechi parvero fissare pensosi Stormgren, e per qualche istante l’uomo batté nervosamente le dita sul tavolo: il primo segno d’incertezza che Stormgren notava in lui. Infine riprese. «Mi stupisce non poco, signor Segretario, che non abbiate fatto nessun sforzo per saperne di più sui Superni.»

«Che cosa proporreste, voi?» domandò Stormgren freddamente, cercando di nascondere il suo interesse. «Come vi ho detto, non c’è che una via d’uscita dal locale in cui si svolgono i miei colloqui con Karellen: quella che riporta direttamente sulla Terra.»

«Si potrebbero escogitare strumenti capaci di rivelarci qualche cosa» congetturò l’altro. «Non sono uno scienziato, ma si può vedere che cosa si potrebbe fare in merito. Se vi rendiamo la libertà, sareste disposto a collaborare a un piano del genere?»

«Una volta per tutte» disse Stormgren «lasciate che chiarisca bene la mia posizione. Karellen si adopera per la creazione di un mondo unito, e io non farò niente per aiutare i suoi nemici. Non so quali siano i suoi piani definitivi, ma credo fermamente che siano buoni.»

«Quali prove ne avete?»

«Tutte le sue azioni, fin dal primo istante in cui le astronavi sono apparse nel cielo del nostro pianeta. Vi sfido a citarmi una sola azione di Karellen che in ultima analisi non si sia rivelata benefica.» Stormgren fece una pausa, riandando col pensiero agli ultimi anni. Poi sorrise. «Come prova della… come chiamarla?… benevolenza dei Superni, basterebbe ricordare l’ordine in merito alle crudeltà contro gli animali emanato entro un mese dal loro arrivo. Qualsiasi dubbio avessi avuto su Karellen, quell’ordine lo fece svanire, anche se mi causò più noie di qualunque altra sua azione!»

Non era una esagerazione, pensò Stormgren. Quell’incidente straordinario era stato la prima rivelazione che i Superni non tolleravano la crudeltà. Dovendoli giudicare dalle loro azioni, bisognava dire che questa intolleranza e la passione per la giustizia e per l’ordine erano le loro prerogative dominanti. Fu la sola volta che Karellen si fosse mostrato furioso. «Potete uccidervi l’un l’altro, se volete» aveva detto il messaggio «ciò riguarda voi e le vostre leggi. Ma se uccidete gli animali che dividono con voi il vostro pianeta, a meno che non sia per procurarvi cibo o per difesa personale, dovrete risponderne direttamente a me». Nessuno aveva idea esattamente dei limiti entro cui l’ordinanza era valida, o che cosa avrebbe fatto Karellen per farla osservare. Ma non dovettero aspettare molto per saperlo.

La Plaza de Toros era gremita quando i toreri coi loro aiutanti avevano fatto l’ingresso nell’arena per il saluto pubblico. Tutto sembrava normale, il sole sfolgorava sui costumi tradizionali, la folla acclamava i suoi favoriti come aveva già fatto centinaia di volte. Pure, qua e là, delle facce si alzavano ansiose al cielo, verso la solitaria e superba sagoma argentea sospesa a cinquanta chilometri d’altezza su Madrid.

Poi i picadores presero posto, e il toro uscì sbuffando dal recinto. I cavalli, le froge dilatate dal terrore, si erano messi a fare evoluzioni nel sole, mentre i cavalieri li spronavano incontro al nemico. La prima lancia saettò e colpì. In quell’istante si udì un urlo quale mai era echeggiato sulla Terra. Era l’urlo di dolore di diecimila persone tormentate dalla stessa ferita, diecimila esseri umani che, quando si furono ripresi, si ritrovarono del tutto illesi. Ma fu la fine della corrida, anzi, fu la fine di tutte le corride, perché la notizia si sparse rapidamente. Vale la pena di ricordare che gli spettatori erano rimasti così scossi che soltanto uno su dieci chiese la restituzione del denaro e che il giornale inglese «Daily Mirror» peggiorò la situazione proponendo che gli spagnoli adottassero il cricket come nuovo sport nazionale.

«Può darsi che abbiate ragione» rispose il vecchio gallese. «È probabile che i motivi dei Superni siano buoni… secondo i loro punti di vista che qualche volta possono coincidere con i nostri. Ma i Superni sono degli intrusi, noi non abbiamo mai chiesto loro di venire a sconvolgere il nostro mondo, distruggendo ideali… sì, ideali, e nazioni… per i quali generazioni di uomini avevano combattuto con lo scopo di difendere e di proteggere.»

«Io provengo da una piccola nazione che ha dovuto combattere per la sua libertà» ribatté Stormgren. «Eppure sono per Karellen. Lo si potrà ostacolare, potrete perfino ritardare il conseguimento dei suoi scopi, ma alla fine sarà lui a vincere. Sono convinto che siete in buona fede e posso capire il vostro timore che le tradizioni e la cultura di piccoli Stati vengano travolte dalla fondazione di uno Stato Mondiale, ma vi sbagliate: è inutile restare attaccati al passato. Ancora prima che i Superni arrivassero sulla Terra, lo stato sovrano era in agonia. Loro ne hanno accelerato la fine. Nessuno può salvarlo ora e nessuno dovrà tentare di farlo.»