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Quello che aveva rifiutato di fare sotto costrizione, poteva tentarlo liberamente, di sua iniziativa.

3

Solo pochi giorni prima a Stormgren non sarebbe mai venuto in mente di prendere in seria considerazione quel progetto. Il suo ridicolo, melodrammatico rapimento, che a ripensarci gli sembrava un originale televisivo di terza serie, doveva avere molto a che fare col suo nuovo punto di vista. Era stata la prima volta in vita sua che Stormgren si era trovato a subire una violenza fisica, esperienza assai diversa dagli scontri verbali della sala delle conferenze. Doveva esserne rimasto contagiato, a meno che non stesse semplicemente entrando nella seconda infanzia prima del previsto!

Una forte componente era data dalla curiosità e dalla decisione di vendicarsi in qualche modo del tiro che gli avevano giocato. Era evidente che Karellen l’aveva usato come specchietto per le allodole e anche se l’aveva fatto a buon fine, lui non si sentiva di perdonare tranquillamente il Supercontrollore. Pierre Duval non dimostrò sorpresa quando Stormgren entrò da lui senza farsi annunciare. Erano amici di vecchia data e non era insolito che il Segretario Generale facesse visita privatamente al capo del Dipartimento Scientifico. Anche Karellen non lo avrebbe trovato strano, se per caso lui, o qualcuno dei suoi, avesse puntato gli strumenti di sorveglianza su quella stanza.

Per qualche minuto i due uomini parlarono di lavoro e si scambiarono pettegolezzi politici, poi, un po’ esitante, Stormgren venne al punto. Mentre il Segretario Generale parlava, il vecchio francese si abbandonò a poco a poco contro la spalliera della poltrona e le sue sopracciglia s’inarcarono, millimetro per millimetro, fin quasi a congiungersi con la radice dei capelli. Un paio di volte parve voler dire qualcosa, ma poi cambiò idea. Quando Stormgren ebbe finito, lo scienziato si guardò intorno nervosamente.

«Non credi che ci stia ascoltando?» disse.

«Secondo me, non può farlo. Ha un rivelatore, come lo chiama lui, puntato su di me a scopo di protezione, ma non opera nel sottosuolo, ed è questa una delle ragioni per cui sono venuto a trovarti in questa tua tana. Qui le pareti sono schermate contro ogni tipo di radiazioni, no? Be’, Karellen non è un mago. Certo sa dove sono, ma niente di più.»

«Spero che sia come dici. Indipendentemente da questo, non ci saranno guai quando scoprirà quello che vuoi fare? Perché lo scoprirà, stai tranquillo.»

«È un rischio che devo correre. E poi ci comprendiamo piuttosto bene.»

Il fisico si mise a giocherellare con la matita, gli occhi persi nel vuoto.

«Il problema è dei più interessanti. Mi piace» disse poi, semplicemente, e tuffata una mano in un cassetto ne tirò fuori un taccuino enorme, il più grande che Stormgren avesse mai visto.

«Bene» cominciò, scrivendo furiosamente chissà che cosa in una specie di sua stenografia personale. «Vediamo se ho tutti gli elementi necessari. Dimmi tutto ciò che puoi del locale dove tenete i vostri incontri. Non omettere nessun particolare, per banale che ti sembri.»

«Non c’è molto da descrivere. Ha le pareti di metallo, una superficie di circa quattro metri quadrati per quattro di altezza. Lo schermo è di circa un metro di lato, e c’è una piccola scrivania sotto lo schermo… ecco qua, sarà più chiaro se ti faccio uno schizzo.»

Con pochi tratti di penna, Stormgren schizzò una pianta del locale che conosceva tanto bene e passò il disegno a Duval. In quell’attimo ricordò con un brivido l’ultima volta che aveva fatto lo stesso gesto e si domandò che fine avessero fatto il gallese e i suoi compagni, e come avessero reagito alla sua scomparsa. Duval studiò lo schizzo tormentandosi le labbra.

«È tutto quello che puoi darmi?»

«Già.»

Duval sbuffò, indignato.

«E l’illuminazione? Ve ne state lì al buio? E la ventilazione e il riscaldamento…»

Stormgren sorrise alla caratteristica sfuriata di Duval.

«L’intero soffitto è luminescente e a quanto ho potuto capire l’aria viene attraverso la griglia dell’altoparlante. Non so come avvenga il ricambio. Forse a intervalli il flusso si inverte, ma io non me ne sono accorto. Non c’è traccia d’impianto di riscaldamento, ma nel locale la temperatura è sempre normale.»

«Il che significa che il vapore acqueo si congela e viene così eliminato, ma non l’anidride carbonica.»

Stormgren tentò di ridere per la vecchia battuta scherzosa.

«Credo con questo di averti detto tutto» concluse. «Quanto alla macchina volante che mi trasporta su fino all’astronave, la cabina in cui entro è anonima come quella di un ascensore. Se non ci fossero la poltrona e il tavolo potrebbe proprio essere un ascensore.»

Seguirono alcuni minuti di silenzio, mentre lo scienziato disegnava complicati e microscopici ghirigori sul suo immenso taccuino. Guardandolo, Stormgren si chiese come mai un uomo dell’intelligenza di Duval, un’intelligenza assai più brillante della sua, non si fosse affermato maggiormente nel mondo scientifico. Ricordava l’ingegnoso e probabilmente ingiusto commento di un amico della delegazione americana: «Il francese è il miglior pensatore di second’ordine che esista». Duval era esattamente il tipo che suggeriva simili affermazioni.

A un tratto il francese alzò la testa e, puntandogli contro la matita, disse:

«Che cosa ti fa credere, Rikki, che lo schermo visore di Karellen sia proprio uno schermo?»

«Ho sempre dato per scontato che lo fosse. È in tutto e per tutto simile a uno schermo di televisore. Del resto cos’altro potrebbe essere?»

«Quando affermi che sembra lo schermo di un televisore, vuoi dire che assomiglia a uno dei «nostri» schermi, vero?»

«Certo.»

«È proprio questo che mi insospettisce. Sono sicuro che i Superni non usano niente di così primitivo come un teleschermo vero e proprio. Probabilmente sanno come materializzare le immagini direttamente nello spazio. E poi, perché Karellen dovrebbe prendersi la briga di usare un sistema TV?

La soluzione più semplice è sempre la migliore: non sembra anche a te molto più probabile che il tuo «schermo televisivo» sia una lastra di vetro polarizzato?»

Seccato con se stesso, Stormgren rimase zitto, a ricostruire nella memoria i passati incontri con Karellen. Fin dall’inizio non aveva mai messo in dubbio le affermazioni del Supercontrollore, questo era vero, però, ripensandoci, Karellen non gli aveva mai detto che si serviva del sistema televisivo. Era stato lui a darlo per scontato. Risultato di un capolavoro di inganno attuato psicologicamente e in cui era caduto in pieno. Sempre che la teoria di Duval fosse esatta. Doveva stare attento a non saltare di nuovo alle conclusioni, perché non era ancora stato dimostrato niente.

«Se è così, basterà che io sfondi quella lastra di vetro…»

Duval sospirò.

«Questi profani! E credi proprio che sia fatto di sostanze che tu possa mandare in frantumi senza l’aiuto di esplosivi? E anche ammesso che tu riuscissi nell’intento, credi che Karellen possa respirare la nostra stessa aria? Sai che bello per tutti e due se lui respirasse cloro?»

Stormgren si sentì ridicolo; ecco un’altra cosa che avrebbe dovuto pensare da solo.

«Insomma, che cosa mi consigli?» domandò, con una punta d’esasperazione.

«Bisogna che ci pensi: innanzitutto dobbiamo controllare l’esattezza della mia teoria» e, in caso positivo, scoprire di che cosa è fatto lo schermo. Affiderò le ricerche a un paio dei miei ragazzi. A proposito, immagino che tu abbia con te una cartella di pelle o qualcosa del genere quando vai dal Supercontrollore. È quella che hai adesso?»

«Sì.»

«Mi pare grande abbastanza. Sarà meglio non attirare l’attenzione sostituendola con un’altra, soprattutto se Karellen è abituato a vederla.»