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«Mi avete spesso rivolto domande sui nostri piani a lunga scadenza» riprese Karellen. «La costituzione dello Stato Mondiale non è, naturalmente, che il primo passo. Prima che la vostra vita volga alla fine, ne vedrete il compimento, ma i cambiamenti saranno talmente impercettibili che pochi se ne accorgeranno. Poi seguirà un periodo di graduale consolidamento, mentre la vostra razza si preparerà all’incontro con la mia. E infine, verrà il giorno promesso. Mi dispiace che quel giorno voi non ci sarete.»

Gli occhi di Stormgren erano bene aperti, con lo sguardo fisso su un punto oltre la opaca barriera dello schermo. Guardava il futuro, cercando d’immaginare il giorno che lui non avrebbe mai veduto, quando le grandi astronavi dei Superni sarebbero finalmente calate sulla Terra per spalancare i portelli al mondo in attesa.

«Quel giorno» continuò Karellen «la razza umana conoscerà quella che si può definire una soluzione di continuità psicologica. Ma non gliene verrà alcun male: l’uomo di quel tempo sarà molto più saldo dei suoi padri. Noi saremo sempre stati parte della sua vita e quando ci vedrà non gli appariremo così… strani… come appariremmo a voi.»

Stormgren non aveva mai sentito Karellen in una vena così pensosa e trasognata, ma non si stupì. Sapeva di non aver conosciuto che poche sfaccettature della personalità del Supercontrollore: il vero Karellen era sconosciuto, e forse inconoscibile, al genere umano. Ancora, Stormgren ebbe la sensazione che i veri interessi del Superno fossero altrove e che egli governasse la Terra soltanto con una frazione della sua mente, senza bisogno di concentrarsi, con la stessa facilità con cui un campione di scacchi tridimensionali gioca una partita a dama.

«E poi?» domandò Stormgren dolcemente.

«Potremo cominciare il nostro vero lavoro.»

«Mi sono spesso domandato in che cosa consista. Mettere ordine nel nostro mondo e incivilire la razza umana è soltanto un mezzo. Avrete pure un fine. Noi non saremo mai in grado di emergere nello spazio cosmico e vedere il vostro universo… di aiutarvi nei vostri compiti?»

«Potrebbe anche andare così» disse Karellen, e ora aveva nella voce una sfumatura chiarissima, se pure inesplicabile, di tristezza, che lasciò Stormgren stranamente turbato.

«Ma se il vostro esperimento col genere umano fallisse? Noi abbiamo conosciuto questo genere di cose trattando con le razze umane primitive. Immagino che anche voi abbiate conosciuto delle sconfitte, no?»

«Sì» disse Karellen, con voce talmente sommessa che Stormgren poté appena udirlo. «Anche noi abbiamo avuto le nostre sconfitte.»

«E che cosa fate in questi casi?»

«Aspettiamo, e poi ritentiamo.»

Ci fu una pausa che durò forse cinque secondi. Quando Karellen parlò di nuovo, le sue parole furono così inattese che per un istante Stormgren non rispose.

«Arrivederci, Rikki!»

Karellen lo aveva raggirato abilmente ancora una volta., forse era già troppo tardi. La paralisi di Stormgren durò solo un attimo. Poi, con un sol gesto, rapido, preciso, trasse di tasca la pistola a lampo e la puntò contro il vetro.

I pini arrivavano fin quasi sulle sponde del lago, lasciando libera soltanto una striscia erbosa, non più larga di qualche metro. Ogni sera, quando la stagione era sufficientemente calda, Stormgren, nonostante i suoi novant’anni, faceva una passeggiata su quella striscia erbosa fino all’imbarcadero, ad ammirare il sole al tramonto, per poi tornare a casa prima che il gelido vento notturno cominciasse a soffiare dalla foresta. Quella specie di rito gli dava soddisfazione, e lui intendeva continuarlo fino a quando avesse avuto la forza di reggersi.

Basso sul lago, un aereo avanzava veloce da ponente. A parte i grandi apparecchi delle linee transpolari che volavano a quote altissime, non capitava spesso di vedere aerei da quelle partì. Il velivolo era un piccolo elicottero e puntava deciso nella sua direzione. Stormgren lanciò un’occhiata lungo la spiaggia e non vide possibilità di fuga. Con un’alzata di spalle, si sedette allora su una panchina all’estremità del molo.

Il giornalista si dimostrò così deferente che Stormgren rimase sbalordito. Si era quasi dimenticato di essere non solamente un vecchio statista a riposo ma, oltre i confini del suo Paese, una figura quasi leggendaria.

«Signor Stormgren» cominciò il giornalista «sono desolato di disturbarvi, ma sareste disposto a fare qualche commento a proposito di una cosa che abbiamo appena saputo a proposito dei Superni?»

Stormgren aggrottò la fronte. Dopo tanti anni, condivideva ancora l’avversione di Karellen per quella parola pomposa e inadeguata.

«Non credo» rispose «che io possa aggiungere altro a quanto è già stato scritto.»

Il giornalista lo osservava con intensa curiosità.

«Credo che possiate, invece. Ci è giunta una notizia alquanto curiosa. Sembra che quasi trent’anni fa, uno dei fisici del Dipartimento Scientifico abbia costruito per voi alcuni strumenti complicati. Vorremmo saperne qualche cosa.»

Per un istante Stormgren non rispose, riandando con la memoria al passato. Non lo sorprendeva che il segreto fosse stato scoperto. Anzi, era sorprendente che fosse stato mantenuto per tanti anni. Cominciò a camminare lungo il molo, col giornalista che lo seguiva a due o tre passi di distanza.

«La notizia» disse «contiene una parte di verità. In occasione della mia ultima visita sull’astronave di Karellen portai con me un congegno nella speranza che mi consentisse di vedere il Supercontrollore. Fu un gesto molto sciocco da parte mia, ma… be’, avevo solo sessant’anni, a quel tempo!» Ridacchiò per conto suo, e riprese: «Non valeva la pena di trasvolare il lago. Perché, vedete, il congegno non funzionò.»

«Non avete visto niente?»

«Niente nel modo più assoluto. Temo che dovrete aspettare ancora… dopo tutto, mancano solo vent’anni!»

Ancora vent’anni d’attesa! Sì, Karellen aveva avuto ragione. Allo scadere di quei cinquant’anni il mondo sarebbe stato preparato, come non lo era ancora quando Stormgren aveva detto a Duval, quasi un trentennio prima, la stessa bugia che aveva detto ora al giornalista.

Karellen s’era fidato di lui, e Stormgren non aveva tradito la sua fiducia. Era certo più d’ogni altra cosa al mondo che il Supercontrollore aveva saputo del suo piano fin dal primo momento e previsto ogni mossa della fase conclusiva.

Diversamente, perché mai avrebbe dovuto già essere vuota l’enorme poltrona quando il cerchio di luce l’aveva illuminata? Immediatamente Stormgren aveva fatto roteare il raggio luminoso, temendo che fosse ormai troppo tardi. La porta metallica, altissima, si stava chiudendo rapidamente, ma non tanto rapidamente quanto sarebbe stato necessario. Sì, Karellen aveva avuto fiducia in lui e non aveva voluto che si allonta-nasse per la lunga sera della sua vita ossessionato da un mistero che non avrebbe mai potuto risolvere. Pur non osando sfidare gli ignoti poteri a cui doveva obbedienza (erano essi pure della stessa razza?), Karellen aveva fatto tutto quello che aveva potuto. Aveva disobbedito, ma loro non ne avrebbero mai avuto la prova. E quella era stata la dimostrazione definitiva dell’affetto che Karellen nutriva per Stormgren. Anche se si poteva paragonarlo all’affetto di un uomo per un cane intelligente e fedele, non era per questo un affetto meno sincero, e Stormgren aveva avuto poche soddisfazioni più grandi in tutta la sua vita.

«Abbiamo avuto anche noi le nostre sconfitte». Sì, Karellen, era vero, ed eravate voi quello che fu sconfitto avanti l’alba della storia umana? Deve essere stata una grande sconfitta davvero, pensava Stormgren, se l’eco era rotolata giù per tutti gli evi, a ossessionare l’infanzia d’ogni razza umana. Sarebbero bastati cinquant’anni per vincere il potere di tutti i miti e le leggende del mondo?