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Eppure Stormgren sapeva che non ci sarebbe stata una seconda sconfitta. Quando le due razze si fossero incontrate di nuovo, i Superni si sarebbero conquistata la fiducia e l’amicizia del genere umano e nemmeno il colpo della rivelazione avrebbe potuto distruggere la loro opera. Sarebbero andati insieme incontro al futuro, e la tragedia che aveva incupito il passato con la sua ombra si sarebbe perduta per sempre in fondo agli oscuri meandri della preistoria.

E Stormgren sperò che, quando fosse stato libero di porre ancora una volta il piede sulla Terra, Karellen sarebbe venuto un giorno tra le foreste della Finlandia boreale a sostare un poco presso la tomba del primo uomo che mai gli fosse stato amico.

PARTE SECONDA

L’ETÀ DELL’ORO

4

«Ecco la grande giornata!» comunicavano in cento lingue gli apparecchi radio. «Il gran giorno è venuto!», proclamavano i titoli di prima pagina di mille quotidiani. «Oggi è il gran giorno!» pensavano gli operatori delle telecamere, controllando le loro macchine disposte intorno al grande spiazzo dove l’astronave di Karellen doveva calare.

C’era soltanto la grande nave ammiraglia ora, sospesa nel cielo di New York. Infatti, come il mondo aveva appena scoperto, le astronavi immobili nel cielo delle altre città dell’uomo non erano mai esistite. Il giorno prima, la gran flotta dei Superni si era dissolta nel nulla, svaporando come la nebbia sotto la rugiada del mattino. Le navi di rifornimento, che andavano e venivano dalle profondità dello spazio cosmico, erano state reali; ma le vaste ombre d’argento che erano rimaste sospese per la durata di una vita umana su quasi tutte le capitali della Terra erano soltanto illusione. Nessuno avrebbe saputo dire in che modo era stata creata l’illusione, ma sembrava che ognuna di quelle astronavi non fosse stata che un’immagine dell’ammiraglia di Karellen. Ma era stato ben mollo più di un abile gioco di luci, perché anche i radar si erano lasciati ingannare, e vivevano ancora persone pronte a giurare di aver sentito il sibilo lamentoso dell’aria squarciata dalle prore astrali quando la flotta era penetrata nell’atmosfera della Terra. Ma questo non era importante: ciò che ora importava davvero era il fatto che Karellen non vedesse più la necessità di uno spiegamento di forze. Aveva rinunciato alle sue armi psicologiche.

«L’astronave si muove!» corse la voce, spargendosi fulminea su tutto il pianeta. «Si dirige verso ponente!»

A meno di mille chilometri all’ora, scendendo mollemente dalle vuote altezze della stratosfera, l’astronave muoveva verso le grandi praterie, puntuale al suo secondo convegno con la storia. Si adagiò dolcemente sul terreno davanti agli obiettivi in attesa e alle migliaia e migliaia di spettatori addensati in lunghe file, ben pochi dei quali potevano vedere tutto ciò che vedevano i milioni di uomini e donne riuniti davanti ai televisori. Il terreno avrebbe dovuto spaccarsi e tremare sotto il peso incredibile della nave immensa, ma lo scafo era ancora nella morsa delle forze cosmiche che le permettevano di navigare tra le stelle. Baciò la terra con la delicatezza di un fiocco di neve. A venti metri d’altezza dal suolo, la gran parete ricurva parve scorrere e tremolare: dove c’era fino a un attimo prima una superficie liscia e levigata, rilucente come la piastra di uno scudo, comparve una vasta apertura. Non si vide niente dell’interno. Non videro niente nemmeno gli occhi inquisitori delle macchine da presa. Era scura come l’ingresso di una caverna. Poi, un’ampia passerella scintillante ne sporse e cominciò a scorrere verso il basso. La si sarebbe detta una lunga lastra di metallo compatto con balaustre ai due lati. Non si vedevano scalini: era liscia e ripida come una pista di toboga e sembrava impossibile salirla o scenderla con mezzi normali. Il mondo intero stava guardando quel nero portale entro cui niente ancora si muoveva. Quindi la voce, udita di rado ma indimenticabile di Karellen, si diffuse dolcemente provenendo da una fonte ben celata. Il suo messaggio non sarebbe potuto essere più inatteso.

«Ci sono dei bambini ai piedi della passerella. Gradirei che due di loro salissero a incontrarmi.»

Per un istante regnò un immenso silenzio. Quindi un bambino e una bambina uscirono dalla folla e si diressero, senza il minimo timore, verso la passerella per entrare nella storia. Altri li seguirono, ma si fermarono di colpo quando dalla nave giunse la risata di Karellen.

«Due bastano.»

Impazienti, pregustando già l’avventura, i due bambini — non dovevano avere più di sei anni — saltarono sulla pista metallica. E fu allora che si verificò il primo miracolo. Salutando allegramente con la mano la folla sottostante e i loro genitori, che probabilmente si ricordavano in ritardo della leggenda del Pifferaio di Hamelin, i bambini cominciarono a salire rapidamente sul piano incredibilmente inclinato. Ma le loro gambe erano immobili, e in breve si vide che i loro corpi erano inclinati ad angolo retto con la strana passerella che possedeva una sua propria forza di gravità, evidentemente capace di annullare quella della Terra. I bambini stavano ancora godendo la novità di quell’esperienza, chiedendosi forse quale fosse la forza che li attirava verso l’alto, quando scomparvero nell’interno della nave.

Un immenso silenzio calò sul mondo intero per lo spazio di venti secondi; anche se in seguito nessuno poté credere che l’intervallo fosse stato tanto breve. Poi l’ombra densa della grande apertura parve venire in avanti, e improvvisamente Karellen si materializzò nella luce del sole. Aveva il bambino seduto sul braccio sinistro, la bimba rannicchiata sul destro. Erano entrambi troppo occupati a giocare con le ali di Karellen per osservare la folla.

Fu un omaggio alla psicologia dei Superni e agli anni della loro meticolosa preparazione, che solo pochissimi dei presenti svenissero. Ma dovettero essere in numero ancora minore quelli che in tutto il mondo non sentirono un brivido dell’antico terrore sfiorare per un orribile istante le loro menti, prima che la ragione lo bandisse per sempre. Non c’era da sbagliarsi. Le ali di cuoio, le piccole corna, la coda forcuta erano là sotto gli occhi di tutti. La più terribile di tutte le narrazioni mistiche si era fatta realtà, uscendo da un passato lontanissimo. Ma ora stava sorridendo, in una sua maestà di ebano, con la luce del sole scintillante sul corpo terribile, e con un bambino d’uomo accoccolato su ogni braccio.

5

Cinquant’anni sono un periodo di tempo sufficientemente lungo a mutare un mondo e la sua popolazione fino a renderli irriconoscibili. Tutto quello che occorre è una profonda conoscenza della tecnica, una veduta molto chiara della mèta che ci si prefigge e potenza.

Tutte cose che i Superni possedevano. Sebbene il loro fine fosse un segreto, la loro scienza era palese, come la loro potenza. Questo potere si esplicava in forme diverse, forme che spesso non erano capite dai popoli al cui destino i Superni avevano presieduto. La potenza era rappresentata dalle grandi astronavi, e quelle, tutti potevano vederle. Ma dietro questa evidente forma di forza c’erano altri mezzi, e più sottili.

«Ogni problema politico» aveva detto una volta Karellen a Stormgren

«può essere risolto dal corretto uso del potere.»

«Mi sembra una affermazione alquanto cinica» aveva risposto Stormgren, poco convinto. «Sa un po’ di «Volere è potere». Nel nostro passato sono infiniti gli esempi di problemi che il potere non è riuscito a risolvere.»

«C’è un errore sostanziale. Voi non avete mai posseduto né potere reale né le capacità indispensabili per applicarlo. In questo, come in ogni problema, esistono modi efficaci o inefficaci di affrontare la soluzione. Supponete, ad esempio, che una delle nazioni terrestri sotto la guida di un capo fanatico tenti di ribellarsi a me. La risposta più inefficace a una minaccia del genere sarebbe l’uso dell’immensa energia racchiusa nelle bombe atomiche. Usando un certo numero di bombe si avrebbe una soluzione completa e definitiva. Ma, come ho detto, sarebbe una soluzione inefficace, anche a non voler tener conto degli altri difetti.»