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Ma, e questo era il dato N. 3, che solo lui ora aveva scoperto, la piccola stella insignificante nota come NGS 549672 si trovava precisamente là dove era giusto che fosse. Stava nel cuore della costellazione della Carena, a un’estremità di quella striscia di fuoco che lo stesso Jan aveva visto, poche notti prima, staccarsi dal Sistema Solare per lanciarsi sopra gli abissi dello spazio.

Era assurdo che si trattasse di una combinazione. NGS 549672 «doveva» essere il sistema stellare dove si trovava il mondo dei Superni. Tuttavia, accettare il fatto significava per Jan violare tutti i principi tanto amati del metodo scientifico. Ebbene, peggio per quei principi. In quell’occasione doveva accettare il fatto che, in certo qual modo, il fantastico esperimento di Rupert aveva attinto a una fonte di conoscenza, ignota fino a quel momento. Rashaverak? Sembrava la spiegazione più probabile. Il Superno non aveva partecipato alla catena, ma questo non aveva molta importanza. Tuttavia Jan non era attratto dal meccanismo della parafisica: era la sola utilizzazione dei risultati che lo interessava. Si sapeva ben poco della stella NGS 549672: non era mai stato notato niente che la distinguesse da milioni di altre stelle. Ma il Catalogo ne dava la grandezza in luminosità, le coordinate, il tipo spettrale. Jan avrebbe dovuto ora fare qualche ricerca, insieme con un po’ di calcoli abbastanza semplici. Solo allora avrebbe saputo, almeno approssimativamente, quanto il mondo dei Superni distasse dalla Terra.

Un lento sorriso si allargò sulla faccia di Jan, quando il giovane si staccò dal Tamigi per tornare verso la bianca facciata abbagliante del Centro Scientifico. Sapere è potere, e lui era il solo uomo sulla Terra a sapere da dove provenivano i Superni. Come avrebbe utilizzato quella conoscenza, non poteva immaginare: ma l’avrebbe custodita al sicuro nella sua mente, aspettando il momento del destino.

9

La razza umana continuava a crogiolarsi nel lungo e limpido pomeriggio estivo della pace e della prosperità. Sarebbe mai più venuto l’inverno? Era impensabile. L’età della ragione, precocemente annunciata dai capi mati del metodo scientifico. Ebbene, e mezzo prima, era arrivata. E stavolta non c’era possibilità di errore.

Non che mancassero gli inconvenienti, d’accordo, ma li si accettava di buon grado: bisognava essere davvero molto vecchi per avvertire la noia dei notiziari giornalistici che le telescriventi riproducevano in ogni casa. Del tutto scomparse le crisi politiche ed economiche che un tempo originavano titoli e lettere cubitali. Non esistevano più delitti misteriosi che lasciassero perplessa la polizia e destassero in milioni di petti un’indignazione morale che spesso non era che invidia mascherata. I delitti che ancora si commettevano non erano mai misteriosi: bastava semplicemente girare un disco, o una manopola, e si poteva vedere il delitto riprodotto nei minimi particolari. Che esistessero strumenti simili aveva provocato in un primo momento un’ondata di panico fra la gente rispettosa della legge, e timorata. Era una cosa che i Superni, i quali si erano impadroniti quasi completamente di tutti i ghiribizzi della psicologia umana, non avevano previsto. Fu necessario far capire chiaramente che a nessun occhio indiscreto era dato spiare le azioni private dei suoi simili e che i pochissimi strumenti nelle mani degli uomini sarebbero stati sotto la più stretta sorveglianza. Il Proiettore di Rupert Boyce, per esempio, non poteva funzionare oltre i limiti della Riserva, ragione per cui Rupert e Maia erano le uniche persone entro il suo raggio d’azione.

Perfino i rarissimi crimini di eccezionale gravità non avevano particolare rilievo nei notiziari, dato che la gente veramente educata non desidera, dopo tutto, leggere gli errori sociali commessi dagli altri. La settimana media lavorativa era ridotta ormai a venti ore, ma queste venti ore non rappresentavano certo una sinecura. Ben poco lavoro restava di natura automatica, monotona. Il cervello umano era troppo prezioso per sprecarlo in lavori che qualche migliaio di transistor, poche cellule fotoelettriche e un metro cubo di circuiti stampati potevano fornire facilmente. C’erano fabbriche che lavoravano per settimane di seguito, ininterrottamente, senza essere visitate da un solo essere umano. Gli uomini erano necessari per eliminare inconvenienti, decidere, progettare nuove iniziative. Gli automi facevano il resto.

I più possedevano due case, nelle parti del mondo più lontane l’una dall’altra. Ora che le regioni polari erano state aperte alla colonizzazione umana, una notevole minoranza degli esseri umani oscillava dall’Artico all’Antartico con un moto pendolare che aveva una frequenza di sei mesi in media, poiché era invalsa la moda di andare alla ricerca della lunga estate polare senza notte. Altri erano andati a stabilirsi nei deserti, sulle montagne o addirittura sul fondo del mare. Non, c’era più un luogo sulla faccia del pianeta dove scienza descrittiva e scienza applicata non potessero dare una casa confortevole a chi ne sentisse profondamente la necessità. Alcune tra le più eccentriche dimore erano divenute la fonte delle poche notizie sensazionali che si divulgassero. Anche nella società più perfettamente organizzata sarebbero sempre avvenuti incidenti. Forse era buon segno che la gente ritenesse che valeva la pena di rischiare, e spesso di rompersi l’osso del collo, per amore di una villa accogliente sotto la sommità dell’Everest, o dominante il panorama attraverso gli spruzzi iridescenti delle Cascate Victoria. Di conseguenza, c’era sempre qualcuno che veniva tratto in salvo da qualcun altro. Era diventato una specie di gioco, quasi uno sport universale.

La gente poteva indulgere in queste manie, perché disponeva di tempo e di denaro. L’abolizione delle forze armate aveva quasi immediatamente raddoppiato le ricchezze, e la produzione accresciuta aveva fatto il resto. Di conseguenza, era difficile paragonare il tenore di vita dell’uomo del ventunesimo secolo con quello di ogni altro secolo precedente. Tutto era così a buon mercato che i generi di prima necessità erano gratuiti, elargiti, come un servizio pubblico, dalla comunità, così come lo erano stati un tempo strade, acqua, illuminazione stradale e fognature. Un individuo poteva viaggiare per le destinazioni più disperate, mangiare qualunque cibo di cui gli saltasse il ticchio, senza mai dover sborsare denaro. Si era guadagnato questo diritto nella sua qualità di membro produttivo della comunità. C’erano, si capisce, dei fannulloni, ma il numero di persone che abbiano sufficiente forza di volontà d’indulgere in una vita di ozio assoluto è assai più piccolo di quanto si crederebbe. Mantenere quei parassiti rappresentava un fardello molto meno grave del raccogliere gli eserciti di esattori, commessi, impiegati di banca, agenti di cambio e così via, tutta gente la cui funzione principale consisteva, considerando la cosa da un punto di vista globale, nel trasportare voci ed elenchi di voci da un registro all’altro. Quasi un quarto della totale attività del genere umano, si calcolava, era assorbito da sport e svaghi di varia natura, che andavano da quelli più sedentari come gli scacchi a occupazioni mortali come il volo-sci per attraversare le valli da un crinale all’altro. Un imprevedibile risultato di tutto ciò fu l’estinzione degli sportivi professionisti. C’erano troppi dilettanti abilissimi, e le mutate condizioni economiche avevano reso antiquato il sistema di un tempo. Subito dopo lo sport, lo svago rappresentava il massimo sforzo di produzione industriale. Per oltre un secolo c’era stata gente che aveva creduto Hollywood il centro del mondo; potevano forse fare la stessa affermazione anche adesso, e a maggior ragione, ma non andava errato chi avesse detto che in massima parte la produzione cinematografica del 2055 sarebbe parsa puro intellettualismo incomprensibile ai pubblici del 1955. indubbiamente, si era raggiunto qualche progresso: il botteghino non era più il signore assoluto. Fra tutte le distrazioni e le deviazioni di un pianeta che ormai aveva tutta l’aria di diventare in breve un immenso giardino di ricreazione, si trovavano persone che avevano ancora il tempo di ripetere l’antichissima domanda, ch’era sempre rimasta senza risposta: «Dove andremo a finire?».