«Lo stiamo vedendo con gli infrarossi» disse il pilota. «Guardiamo ora l’immagine al naturale.»
Il pesce svanì, e rimase solo l’organo pendulo, dal quale emanava una vivida fosforescenza. Poi, appena per un istante, la sagoma della strana creatura tremolò visibile, mentre una linea d’impulsi luminosi saettava lungo il suo corpo.
«È un pesce-rospo, detto anche rana-pescatrice, perché il peduncolo gli serve come esca per attirare le prede. Fantastico, vero? Quello che non riesco a capire è perché la sua esca naturale non attiri pesci abbastanza grossi da divorarlo. Purtroppo non possiamo stare fermi qui tutto il giorno. Guardate come scappa, ora che metto in azione i getti.»
La cabina riprese a vibrare mentre lo scafo si muoveva in avanti. Il grande pesce luminoso a un tratto accese tutte le sue luci, come in un frenetico segnale di allarme, e filò via, meteora lanciata nelle tenebre degli abissi.
Il sottomarino continuò a scivolare dolcemente come su un piano inclinato, scendendo sempre più negli abissi; ora sullo schermo cominciava a delinearsi un quadro completo, ma dato l’angolo d’inclinazione Jan ci mise un po’ di tempo per interpretare quello che vedeva. Infine capì: si stavano avvicinando a una montagna sommersa che emergeva come una escrescenza dalla pianura invisibile.
«Siamo quasi arrivati» disse al pilota. «Fra un minuto potrete vedere il laboratorio.»
Passarono lentamente sopra uno sperone roccioso che sporgeva dalla base della montagna, e la piana sottostante cominciò a delinearsi. Jan immaginò che lo scafo si trovasse ora solo a qualche centinaio di metri al disopra del fondo oceanico. Quindi vide, a un chilometro circa davanti a sé, un ammasso di sfere sorrette da tripodi e collegate tra loro da tubi. L’insieme ricordava in modo straordinario i serbatoi di uno stabilimento chimico, e infatti era stato concepito in base agli stessi principi fondamentali. La sola differenza stava nel fatto che le pressioni a cui bisognava opporre resistenza erano esterne, non si originavano internamente. Il pilota abbassò una piccola leva e si sporse verso il quadro comandi.
«SDue chiama il Laboratorio. Sto per agganciarmi.»
La risposta venne immediatamente:
«Laboratorio a SDue. Sta bene. Procedete pure e prendete contatto.»
Le ricurve pareti metalliche cominciarono a riempire lo schermo. In pochi minuti il batiscafo era premuto fortemente contro la parete della base, le due aperture a tenuta stagna si erano congiunte e si spingevano attraverso lo scafo fino al fondo di una gigantesca spirale. Venne poi il segnale di «equilibrio di pressione» dalla camera di equilibrio, e l’accesso al Laboratorio Abissale Numero Uno fu aperto. Jan trovò il professor Sullivan in una stanzetta non molto linda e ordinata che sembrava combinare in sé le caratteristiche di ufficio, laboratorio scientifico e officina. Il professore stava studiando al microscopio l’interno di quella che sembrava una piccola bomba. Presumibilmente si trattava di una capsula a pressione contenente alcuni campioni di vita abissale che continuavano a nuotare allegramente nelle normali condizioni di varie tonnellate di pressione per centimetro quadrato.
«Ebbene» disse Sullivan, strappandosi a malincuore dall’oculare «come sta il nostro Rupert? E in che posso esservi utile?»
«Rupert sta bene, grazie» rispose Jan. «Vi manda i suoi saluti e dice che gli piacerebbe tanto venirvi a trovare quaggiù, se non fosse per la sua claustrofobia.»
«Certo che si sentirebbe piuttosto a disagio qua sotto, con cinque chilometri d’acqua sopra la testa. A voi non fa effetto questa idea?»
Jan alzò le spalle.
«Non più che se mi trovassi a bordo di uno stratoplano. Se dovesse succedere qualche cosa, il risultato sarebbe lo stesso tanto nell’uno quanto nell’altro caso.»
«E in questo modo infatti che si deve ragionare, ma è sbalorditivo quanto pochi siano quelli che ragionano così.» Gingillandosi con i controlli del suo microscopio, Sullivan lanciò a Jan un’occhiata indagatrice. «Sarà per me un vero piacere farvi visitare l’impianto» riprese «ma devo confessare che sono rimasto alquanto sorpreso, quando Rupert mi ha comunicato la vostra richiesta. Non ho capito perché mai uno di voi astrofili, maniaci del vuoto assoluto degli spazi cosmici, si sentisse attratto dal nostro lavoro, Non avete scelto per caso la direzione opposta?» Sbottò in una risatina divertita. «Personalmente, non ho capito la vostra fretta di venire qui. Passeranno secoli, prima che la totalità delle estensioni subacquee sia stata minutamente riprodotta, registrata, catalogata.»
Jan respirò profondamente. Era contento che fosse stato proprio Sullivan ad affrontare l’argomento, perché ciò gli facilitava il compito. Nonostante il tono ironico dell’ittiologo, i due uomini avevano molte cose in comune. Non doveva essere tanto difficile gettare un ponte fra loro, cattivarsi la comprensione e l’aiuto cordiale di Sullivan.
«Professor Sullivan» cominciò Jan «se, appassionato dell’oceano come siete, vi vedeste negare dai Superni il permesso addirittura di avvicinarlo, come vi comportereste?»
«Proverei un sentimento di profonda contrarietà, non c’è dubbio.»
«Ne sono certo. E supponendo che un giorno vi si offrisse l’occasione di raggiungere il vostro scopo, a loro insaputa, che cosa fareste? Cogliereste quell’occasione?»
«Naturalmente» rispose pronto Sullivan, senza esitare. «Prima si agisce e poi si discute.»
«Ci sei questa volta» pensò Jan. «Non puoi tirarti più indietro ora, a meno che tu abbia paura dei Superni. E non mi sembri il tipo d’aver paura.» Protendendosi verso lo scienziato si dispose a esporre il suo progetto. Il professor Sullivan non era stupito, e prima ancora che Jan cominciasse a parlarne, le sue labbra si atteggiarono in un sorriso ironico.
«Dunque, si tratta di questo, eh?» disse lentamente. «Molto, molto interessante. Ora raccontatemi tutto e ditemi perché dovrei aiutarvi.»
11
In un’epoca precedente, ricorrere al professor Sullivan sarebbe stato un lusso costoso. Le sue operazioni costavano quanto una piccola guerra, e in realtà lui era assai simile a un generale impegnato in una eterna battaglia contro un inesauribile nemico. Il nemico del professor Sullivan era il mare, e il mare combatteva con le sue armi: il freddo, il buio, e soprattutto la pressione. Dal canto suo Sullivan teneva impegnato l’avversario con l’intelligenza e l’abilità tecnica. E aveva vinto molte battaglie. Ma il mare era paziente e non aveva fretta. Un giorno, Sullivan lo sapeva, lui avrebbe fatto un errore. Comunque aveva la consolazione di sapere che non sarebbe mai annegato, perché la fine sarebbe avvenuta in altro modo, e più rapido. Quando Jan gli aveva fatto la sua richiesta, lui non si era impegnato in alcun modo, pur sapendo quale sarebbe stata, alla fine, la sua risposta. Quella era l’occasione per un esperimento tra i più interessanti, ma, come accade spesso nel campo delle ricerche scientifiche, Sullivan aveva in corso altri progetti che richiedevano parecchio tempo per essere portati a termine. Il professor Sullivan era intelligente e capace, ma ripensando alla sua carriera si rendeva conto perfettamente di non avere affatto raggiunto quella fama che rende immortale il nome di uno scienziato. E nella inattesa e allettante richiesta di Jan c’erano realmente tutti gli elementi per passare alla storia. Non avrebbe mai ammesso, però, di nutrire questa ambizione, e per rendergli giustizia bisogna dire che avrebbe aiutato Jan anche se il suo concorso nell’attuazione del progetto fosse dovuto restare segreto. In quanto a Jan, ora stava ripensandoci. Nell’entusiasmo della sua scoperta si era spinto troppo oltre. Aveva fatto le sue indagini, ma non era mai, prima, passato a una vera azione diretta per realizzare il suo sogno. Adesso, però, se il professore Sullivan accettava di aiutarlo, lui non aveva più modo di ritirarsi e doveva affrontare il futuro che lui stesso si era scelto con tutto quello che una simile scelta comportava.