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PARTE TERZA

L’ULTIMA GENERAZIONE

14

«Guarda qui!» esplose George Greggson, lanciando il giornale verso Jean al disopra della tavola. Nonostante gli sforzi di lei per prenderlo al volo, il foglio cadde ad ali spiegate nel bel mezzo della tavola. Ripulitolo pazientemente della marmellata, Jean lesse il brano incriminato, facendo del suo meglio per dimostrare la sua disapprovazione. Non che fosse molto brava in questo, dato che anche troppo spesso era d’accordo con i critici. Di solito teneva per sé quelle opinioni eretiche, e non solo per spirito di pace e di armonia. George era dispostissimo ad accettare le sue lodi, ma appena Jean accennava la minima critica a una sua opera si vedeva infliggere una lezione da lasciare i lividi sulla sua ignoranza in fatto di estetica. Lesse la critica due volte e infine rinunciò a capire. Era una critica del tutto favorevole, e lo disse.

«A quanto pare lo spettacolo è piaciuto. Che cosa c’è da brontolare?»

«Qui» ringhiò George, battendo il dito al centro della colonna. «Rileggi qui.»

«Specialmente riposanti per gli occhi i delicati verdi pastello dello sfondo nella sequenza del balletto» lesse Jean. «Ebbene?»

«Ma non erano verdi! Non so quanto tempo ho sciupato per trovare pro-prio quella sfumatura azzurrina! E che cosa succede? O qualche maledetto tecnico della cabina controllo sconvolge l’equilibrio dei colori, o quel cretino d’un critico ha un difetto alla vista! A proposito, che colore è apparso sul tuo apparecchio?»

«Oh… non me lo ricordo» ammise Jean. «Bambola ha cominciato a strillare proprio in quel momento, e sono dovuta correre di là a vedere che cos’era successo.»

«Capisco» disse George, scivolando in uno stato di calma illusoria, dolcemente ribollente, sotto sotto. Jean capì che un’altra esplosione poteva verificarsi da un momento all’altro.

«Ho inventato una nuova definizione per la TV» riprese lui in un mormorio cupo. «È uno strumento per ostacolare i contatti fra l’artista e il suo pubblico.»

«E che cosa vorresti fare? Ritornare al teatro vero e proprio?»

«Perché no? È proprio quello che ho pensato di fare. Ti ricordi della lettera che ho ricevuto da quelli di Nuova Atene? Mi hanno scritto ancora. Questa volta ho deciso di rispondere.»

«Davvero?» disse Jean, lievemente preoccupata. «Secondo me, sono una manica di eccentrici.»

«Ebbene, questo è il solo modo per averne la prova. È mia intenzione andarli a trovare tra una quindicina di giorni. Bisogna riconoscere che la loro propaganda è delle più equilibrate e convincenti. E ci sono uomini eccellenti tra loro.»

«Se speri di vedermi cucinare un giorno o l’altro su di un fuoco di sterpi, o apparirti davanti vestita di pelli, ti fai…»

«Non dire sciocchezze! Sono tutte storie. La colonia ha tutto quello che serve per vivere in modo civile. Il loro sistema esclude i fronzoli e le sovrastrutture inutili, ecco tutto. Del resto, sono almeno due anni che non vedo più il Pacifico; sarà una bellissima gita per tutt’e due.»

«Sono d’accordo con te» disse Jean. «Ma non voglio che Bambola e Primo crescano come due selvaggi della Polinesia.»

«Non cresceranno come due selvaggi. Te lo prometto.»

Aveva ragione, ma non nel senso che intendeva lui.

«Come avrete osservato arrivando con l’aereo» disse l’uomo sull’altro lato della veranda «la Colonia consiste di due isole, collegate da una striscia di terra su cui passa la strada. Una è Atene, l’altra, l’abbiamo battezzata Sparta. È un’isola selvaggia, rocciosa, un luogo ideale per praticare lo sport o comunque ogni specie di esercizi fisici.» Il suo sguardo si soffermò momentaneamente sul ventre e i fianchi del visitatore, e George si agitò nella sua poltrona di vimini. «Sparta è un vulcano spento, incidentalmente. Almeno, i geologi dicono che sia spento. Ma, per tornare ad Atene: scopo della Colonia è di fondare un gruppo culturale, stabile e indipendente, con le sue tradizioni artistiche. Sarà meglio dire subito che molte ricerche sono state effettuate prima che noi intraprendessimo questa iniziativa. Si tratta in realtà di vera e propria scienza sociale applicata, che si basa su una matematica così complessa che non fingerò di averla capita. So però che i sociologi matematici hanno calcolato quanto dovrebbe essere numerosa la Colonia, quanti tipi di persone dovrebbe contenere, e soprattutto quale dovrebbe essere la sua costituzione per una stabilità di lunga durata. Siamo diretti da un Consiglio di otto direttori, che rappresentano Produzione, Energia, Tecnica Sociale, Arte, Scienze Economiche, Scienza, Sport e Filosofia. Non c’è un presidente in permanenza. La carica di presidente è ricoperta a turno da ognuno dei direttori per un anno ogni volta.

«La nostra popolazione presente è di poco superiore alle cinquantamila unità, cifra inferiore all’optimum desiderato. Ecco perché siamo sempre alla ricerca di reclute. E, naturalmente, c’è un minimo di sciupio: non siamo del tutto autosufficienti in alcune delle capacità più specializzate.

«Qui, su quest’isola, ci studiamo di salvare qualche cosa della indipendenza dell’uomo: le sue tradizioni artistiche. Non abbiamo nessuna ostilità nei riguardi dei Superni, vogliamo soltanto essere lasciati in pace e proseguire per la nostra strada. Quando essi hanno cancellato le antiche nazioni e il modo di vita che l’uomo conosceva dagli inizi della storia, hanno spazzato via, insieme con le cattive, molte buone cose. Il mondo ora è in pace, senza caratteristiche proprie, culturalmente morto. Niente di nuovo è stato creato dall’avvento dei Superni. La ragione è evidente. Non è rimasto niente per cui valga la pena di lottare, e ci sono troppi svaghi, distrazioni e divertimenti.

«Qui ad Atene lo svago ha le sue giuste proporzioni. Inoltre, è una cosa viva, non in scatola. In una comunità delle nostre dimensioni è possibile avere una partecipazione quasi completa del pubblico. A proposito, abbiamo anche un’orchestra sinfonica d’eccezionale valore. Ma non voglio che mi prendiate in parola. Di solito i candidati alla cittadinanza della Colonia si fermano qui qualche giorno ad assorbire l’atmosfera del posto. Se decidono di unirsi a noi, li sottoponiamo al tiro di sbarramento degli esami psicologici, che rappresentano la nostra vera linea principale di difesa. Un terzo circa dei candidati di solito viene respinto, quasi sempre per motivi che non hanno riflessi su di loro e che, fuori di qui, non avrebbero nessuna importanza. Coloro che superano la prova, di solito tornano a casa giusto il tempo per sistemare i loro affari, poi ritornano tra noi. Talvolta cambiano idea in questa fase, ma avviene molto di rado, e quasi sempre per motivi personali indipendenti dalla loro volontà. I nostri esami sono oggi praticamente sicuri nella misura del cento per cento: coloro che li superano sono proprio persone che desiderano venire tra noi.»

«E se qualcuno cambiasse idea più tardi?» domandò Jean ansiosamente.

«Sono liberi di andarsene. Non esiste nessuna difficoltà. Si è già verificato un paio di volte.»

Seguì un lungo silenzio. Jean guardò George, che si stropicciava pensieroso le folte basette, ritornate in gran voga negli ambienti artistici. Se non c’era bisogno di bruciare i ponti alle spalle, lei non si preoccupava più del necessario. La Colonia sembrava un posto interessante, e certamente non si componeva di stravaganti e di eccentrici come aveva temuto. E i ragazzi ci si sarebbero trovati benissimo. E questo, in definitiva, era la cosa che contava di più.

Si trasferirono a Nuova Atene sei settimane dopo. La casa a un solo piano era piccola, ma del tutto adeguata a una famiglia che non aveva intenzione di contare più di quattro membri. Tutti i congegni fondamentali per l’economia del lavoro manuale erano in mostra: almeno, come Jean dovette riconoscere, non c’era pericolo di ripiombare nelle tenebre medievali delle sfacchinate domestiche. Ma sconvolgeva un po’ scoprire che c’era una cucina. In una comunità così numerosa, si sarebbe potuto credere, normalmente, alla possibilità di telefonare alla Centrale Ristoranti, attendere cinque minuti e ricevere qualunque portata uno avesse scelto per pranzo o cena. L’autonomia individuale era una gran bella invenzione, ma questo, pensò Jean, era uno spingere le cose troppo in là. Si chiese vagamente se per caso non dovesse filare lei le stoffe con cui la famiglia si sarebbe vestita, oltre che preparare i pasti. Ma non si vedeva nessuna ruota di filatoio a mano tra la lavapiatti automatica e lo schermo del radar, per cui la situazione non si annunciava poi tanto terribile… Jean si avvicinò alla finestra ancora senza tendine e lasciò errare lo sguardo sulla Colonia. Era un posto stupendo, non c’era dubbio. La casa sorgeva sulle pendici occidentali della bassa montagna che dominava, senza rivali, l’isola di Atene. Due chilometri a nord si scorgeva la lingua di terra, una lama sottile nell’acqua, che portava a Sparta. Quell’isola rocciosa, col suo aggrondato cono vulcanico, faceva un tale contrasto con la serena Nuova Atene da mettere paura. Jean si chiese come facessero gli scienziati a dirsi tanto sicuri che il vulcano non si sarebbe ridestato per seppellirli tutti.