«Allora significa che il ragazzo è uscito dalla Via Lattea.»
«Appunto. L’evento non può tardare più, ormai.»
«Chi lo sa? Il ragazzo si limita a sognare. Quando si sveglia è sempre lo stesso. Siamo ancora nella prima fase. Sapremo presto quando il cambiamento avrà inizio»).
«Noi ci siamo già conosciuti, signor Greggson» disse gravemente il Superno. «Mi chiamo Rashaverak. Credo che vi ricordiate di me.»
«Certo» disse George «ci siamo conosciuti a una festa in casa di Rupert Boyce. Non dimentico facilmente. E poi ero sicuro che ci saremmo incontrati di nuovo.»
«Ditemi, perché avete voluto questo colloquio?»
«Credo che lo sappiate già.»
«Può darsi. Ma gioverà a entrambi, se vorrete esprimervi con le vostre parole. Può darsi che vi sorprenda, ma anch’io cerco di capire, e sotto molti riguardi la mia ignoranza è profonda quanto la vostra.»
George guardò il Superno con espressione sbalordita. Ecco un’idea che non gli era mai passata per la testa. Aveva sempre inconsciamente presunto che i Superni avessero ogni sapere e ogni potere e che comprendessero le cose che erano accadute a Jeff e ne fossero, probabilmente, causa.
«Immagino» disse George «che abbiate visto i rapporti che ho fatto allo psichiatra dell’isola e siate perciò al corrente dei sogni. Non ho mai creduto che fossero dovuti alla immaginazione di un bambino. Sono talmente incredibili che, per quanto possa sembrare ridicolo, dovevano basarsi su qualche realtà.»
Guardò ansiosamente Rashaverak, non sapendo se sperare una conferma o una smentita.
Il Superno non disse niente, ma si limitò a guardarlo coi suoi grandi occhi placidi.
«Ci siamo stupiti in un primo momento» riprese George «ma non proprio allarmati. Jeff sembrava perfettamente normale quando si svegliava, e i suoi sogni parevano preoccuparlo. Poi, una notte» esitò, e guardò con espressione cauta il Superno «una notte… non ho mai creduto nel soprannaturale, devo dire, non sono scienziato, ma penso che debba esserci una spiegazione razionale per ogni specie di fenomeno…»
«C’è» disse Rashaverak. «So quello che avete visto: stavo osservando.»
«L’ho sempre sospettato. Ma Karellen aveva promesso che non ci avreste spiati coi vostri strumenti speciali. Perché non è stata mantenuta la promessa?»
«Non sono stato io a romperla. Il Supercontrollore disse che la razza umana non sarebbe più stata sotto sorveglianza. La promessa è stata mantenuta. Io sorvegliavo i vostri figli, non voi.»
Occorsero alcuni secondi prima che George intendesse il sottinteso della risposta di Rashaverak. E si fece mortalmente pallido.
«Volete dire…?» ansimò. La voce gli si spense e dovette ricominciare da capo. «Ma dunque che cosa sono, in nome di Dio, i miei figli?»
«È proprio quello che stiamo cercando di scoprire» rispose Rashaverak solennemente.
Jennifer Anne Greggson, più nota in famiglia col nome di Bambola, giaceva supina con gli occhi strettamente chiusi. Da tanto tempo li teneva chiusi e non li avrebbe mai più riaperti, perché adesso la vista le era superflua come alle multisensoriali creature delle profondità oceaniche, dove non c’era luce. Lei si rendeva conto di ciò che la circondava e sapeva e si rendeva conto di infinite altre cose.
Un solo riflesso le rimaneva della sua breve infanzia, per qualche inesplicabile anomalia di sviluppo. Il suono tamburellante del sonaglio, che un tempo la divertiva tanto, batteva ora un ritmo complesso e mutevole nel suo lettino. Era quella strana serie di suoni sincopati che aveva destato Jean, spingendola a correre d’urgenza nella camera accanto. Ma non era stato soltanto quel suono che l’aveva indotta a chiamare, urlando, George. Era stata la vista di quel comunissimo sonaglio variopinto che bubbolava alto e solitario nel vuoto, a mezzo metro almeno da qualunque sostegno, mentre Jennifer Anne, le dita grassocce strettamente incrociate, se ne stava distesa con un sorriso di placida contentezza.
Aveva ricominciato più tardi, ma progrediva con grande rapidità. In breve avrebbe superato il fratello, dato che aveva molto meno di lui da imparare.
«Avete fatto bene» disse Rashaverak «a non toccare il suo giocattolo. Non credo, comunque, che avreste potuto muoverlo. Ma se vi foste riuscito, la bimba avrebbe potuto soffrirne. E in questo caso non so che cosa sarebbe potuto accadere.»
«Intendete dire» osservò George in tono lugubre «che non potete far niente?»
«Non voglio illudervi. Possiamo osservare e studiare, come già stiamo facendo. Ma non possiamo interferire, perché non possiamo capire.»
«Allora che cosa dobbiamo fare? E perché questo genere di fenomeni doveva capitare proprio a noi?»
«A qualcuno doveva pur capitare. Non c’è niente di eccezionale in voi, come non c’è niente di eccezionale nel primo neutrone che inizia la catena a reazione di una bomba atomica. È il fenomeno che noi chiamiamo Sfondamento Totale. Attendevamo che il fenomeno si verificasse fin da quando siamo venuti su questo pianeta. Non c’era modo di prevedere quando e dove avrebbe avuto inizio… fino al giorno in cui, per pura combinazione, ci siamo incontrati alla festa di Rupert Boyce. Fu allora che seppi, con certezza quasi assoluta, che i bambini di vostra moglie sarebbero stati i primi.»
«Ma noi non eravamo ancora… sposati allora. Non avevamo nemmeno…»
«Sì, lo so. Ma la mente della signorina Morrei fu il canale per cui, sia pure per un solo istante, furono comunicate cose che nessuna creatura al mondo, in quel tempo, era in grado di sapere. La comunicazione non poteva che venire da un’altra mente, connessa in modo inseparabile dalla sua. Il fatto che fosse una mente ancora a venire non aveva nessuna importanza, dato che il Tempo è molto più strano di quanto possiate immaginare.»
«Comincio a capire. Jeff conosce queste cose… può vedere altri mondi e dire da dove venite. E in qualche modo Jean ha captato i suoi pensieri ancora prima che il bambino nascesse.»
«Si tratta di ben altro che questo, ma non credo che voi potrete mai avvicinarvi molto di più alla verità. Sempre, in ogni epoca della storia, sono nate persone dotate di poteri inesplicabili che sembrano trascendere lo spazio e il tempo. Non sono mai stati capiti: quasi senza eccezione, le spiegazioni che si è tentato di darne non erano che sciocchezze. Io lo so. Ne ho lette una infinità. Ma c’è un’analogia, che è… sì, istruttiva ed efficace. Non fa che ricorrere in tutta la vostra letteratura. Immaginate che la mente di ogni uomo sia un’isola, circondata dall’oceano. Ognuna sembra appartata, del tutto avulsa dal resto, ma in realtà sono tutte collegate fra loro dal fondo roccioso da cui sono sorte. Se l’oceano dovesse svanire, ciò segnerebbe la fine delle isole in quanto isole. Farebbero tutte parte di un solo continente, ma la loro individualità sarebbe scomparsa. La telepatia, come voi uomini l’avete chiamata, è qualche cosa di simile. In circostanze favorevoli, le menti possono fondersi l’una nell’altra e scambiarsi il reciproco contenuto, per poi riportare il ricordo del fenomeno, quando siano di nuovo isolate. Nella sua forma più elevata, questo potere non è soggetto alle solite limitazioni dello spazio e del tempo. Ecco perché Jean poté attingere alle cognizioni del figlio non ancora nato.»
Seguì un lungo silenzio mentre George lottava con questi concetti sconcertanti. Il quadro cominciava a delinearsi. Era un quadro incredibile, inconcepibile, ma che possedeva una sua logica e che spiegava, se si può usare questo vocabolo per qualcosa di incomprensibile, spiegava tutto quello che era accaduto da quella serata in casa di Rupert. E George si rese conto che dava un senso anche all’interesse di Jean per la metapsichica.