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«I mutamenti per i quali è passata la vostra razza hanno richiesto ere innumerevoli. Ma questa è una trasformazione della mente, non del corpo. Dal punto di vista delle leggi evolutive, sarà cataclismica, istantanea. È già cominciata. Voi dovete affrontare questa realtà; la vostra è l’ultima generazione dell’Homo Sapiens.

«In quanto alla natura di questo cambiamento, possiamo dirvi poco. Non sappiamo come si produce, quale molla la Supermente faccia scattare quando ritiene che sia venuto il momento. Abbiamo scoperto soltanto che il mutamento comincia in un individuo singolo, sempre un bambino, e poi dilaga come l’onda d’urto di un’esplosione, come una formazione cristallina attorno al primo nucleo immerso in una soluzione apposita. Gli adulti non vengono contagiati perché le loro menti sono già foggiate in maniera inalterabile.

«Fra pochi anni sarà tutto finito, e la razza umana si sarà divisa in due. Il mondo che voi conoscete non potrà tornare indietro e non avrà un futuro. Tutte le speranze e tutti i sogni della vostra razza sono ormai consumati. Voi avete dato la vita ai vostri successori, e che non possiate mai capirli, mai comunicare con le loro menti, è la vostra tragedia. Infatti, non avranno menti quali voi conoscete. Saranno come una singola entità, così come voi siete le somme delle vostre miriadi di cellule. Non li riterrete umani e avrete ragione.

«Vi ho detto queste cose perché sappiate ciò che vi attende. Tra poche ore la crisi sarà su di noi. Mio compito e mio dovere è di proteggere coloro che sono stato mandato qui a tutelare. Nonostante i loro poteri che si risvegliano, potrebbero essere distrutti dalle moltitudini che li circondano… sì, dai loro stessi genitori, quando si renderanno conto della verità. Devo condurli via, isolarli, a loro e vostra protezione. Domani le mie navi cominceranno l’evacuazione. Non vi biasimerò, se tenterete di intervenire, ma vi avverto che sarà inutile. Poteri di gran lunga superiori ai miei si stanno svegliando; io non sono che uno dei loro strumenti.

«Dopo di che… che dovrò fare di voi, i superstiti, quando il vostro fine sia stato raggiunto? Sarebbe più semplice, forse, e più misericordioso, distruggervi, come voi distruggereste un vostro cagnolino ferito mortalmente. Ma non è cosa che io possa fare. Il vostro avvenire, starà a voi deciderlo. Io spero che l’umanità passi il resto della sua vita in pace, con la coscienza di non aver vissuto invano.

«Ciò che avete generato potrà essere sconcertante ed estraneo a voi, potrà non condividere i vostri desideri e le vostre speranze, potrà anche considerare le vostre maggiori conquiste come giochi infantili, ma sarà qualcosa di meraviglioso. E sarete stati voi a crearlo.

«Quando la nostra razza sarà dimenticata, parte della vostra sarà ancora in vita. Non vogliate pertanto condannarci per quello che siamo stati costretti a fare. E ricordate: noi vi invidieremo sempre.»

20

Jean aveva pianto in quegli ultimi giorni, ma adesso non piangeva. L’isola si stendeva tutta di oro nella spietata luce insensibile, mentre l’astronave giungeva lentamente in vista al di sopra dei picchi gemelli di Sparta. Su quell’isola rocciosa, non molto tempo prima suo figlio era sfuggito alla morte grazie a un miracolo che ora Jean comprendeva anche troppo. Alle volte, si era perfino chiesta se non sarebbe stato meglio che i Superni se ne fossero rimasti in disparte, abbandonando Jeff al suo destino. Non un suono, non il minimo gesto da parte dei fanciulli. Se ne stavano in gruppi sparsi lungo tutta la spiaggia, non rivelando un maggior interesse l’uno per l’altro di quello che mostravano per le cose che stavano abbandonando per sempre. Molti avevano in collo bimbi troppo piccoli ancora per camminare, o che non volevano esercitare quei poteri che rendevano inutile la necessità di camminare. Perché, pensò George, se potevano muovere la materia inanimata, potevano ben muovere i propri corpi. Perché infatti i Superni si prendevano addirittura la briga di raccoglierli sulle loro astronavi?

Ma tutto ciò non aveva importanza. I loro figli se ne andavano ed era co-sì che avevano deciso di andarsene. E in quel momento George ricordò, di colpo, quello che gli aveva tormentato la memoria. Molto tempo prima, non ricordava più dove, aveva visto un documentario vecchio di un secolo. Il documentario di un esodo simile. Doveva essere all’inizio della prima guerra mondiale, o forse della seconda. Vi erano lunghe file di treni, tutti affollati di bambini, che uscivano lentamente dalle stazioni delle grandi città minacciate dalla guerra, lasciando là i genitori che molti di quei bambini non avrebbero più rivisto. Alcuni piangevano, altri erano disorientati e trafficavano, confusi, con i loro bagagli. Ma i più sembravano guardare al domani come a una grande avventura da vivere.

Però l’analogia aveva qualcosa di stonato. La storia non si ripete mai. Quelli che stavano partendo adesso non erano più bambini. E questa volta non ci sarebbe stato ritorno. L’astronave era atterrata là dove le onde morivano, affondando profondamente nella sabbia inzuppata di acqua. In perfetto sincronismo, i grandi pannelli ricurvi si sollevarono e le passerelle scattarono verso la spiaggia come lingue metalliche. Le sparse figurette, Dio quanto tristi e solitarie! cominciarono a convergere per raccogliersi in una turba che si pose ad avanzare, esattamente come farebbe una turba umana.

Tristi e solitarie? Perché un simile pensiero? si domandò George. Questa era la sola cosa che essi non sarebbero stati mai più. Soltanto degli individui possono essere tristi, soltanto degli esseri umani. Senti la mano di Jean accrescere la stretta sulla sua in un brusco spasimo di commozione.

«Guarda» sussurrò Jean. «Io riesco a vedere Jeff. Vicino a quel secondo portello.»

La distanza era molta, e non si poteva essere sicuri, e poi George aveva un velo davanti agli occhi che gli impediva di vedere bene. Ma sì… era Jeff, adesso ne era certo. George adesso poteva riconoscere suo figlio che aveva già posato un piede sul piano metallico.

E Jeff si volse a guardare indietro. La sua faccia era solo una chiazza bianca: a quella distanza era impossibile dire se esprimeva qualche sentimento, se li riconosceva, se ricordava tutto ciò che stava abbandonando. Né George avrebbe mai saputo se Jeff si era voltato verso di loro per puro caso, e se, in quegli ultimi istanti in cui era ancora il loro figlio, sapeva che lo stavano guardando passare in un mondo dove loro non sarebbero mai entrati.

I grandi portelli cominciarono a chiudersi. E in quell’istante Fey levò in alto il muso e lanciò un lungo lamento, desolato, sommesso. Volse poi i begli occhi limpidi verso George, e lui capì che in quel momento Fey aveva perduto il suo padroncino. George non aveva più rivali ora. Per quelli che erano rimasti c’erano molte strade ma una sola destinazione. Qualcuno disse: «Il mondo è ancora bello! Un giorno dovremo lasciarlo, ma perché anticipare la partenza?»

Ma altri, che avevano puntato più sul futuro che sul presente e che avevano perso tutto quello che rendeva la loro vita meritevole di essere vissuta, non desideravano più vivere. Questi decisero di andarsene dal mondo e lo fecero, o soli o coi loro amici, a seconda del carattere. Fu così anche per Nuova Atene. L’isola era nata dal fuoco e scelse di morire nel fuoco. Coloro che preferirono andarsene se ne andarono, ma molti rimasero e finirono in mezzo ai resti dei loro sogni spezzati.

Nessuno poteva sapere quando sarebbe venuto il momento, eppure Jean si svegliò nel silenzio della notte e rimase un momento immobile a guardare la chiara macchia spettrale del soffitto. Poi allungò un braccio per afferrare la mano di George. Lui di solito aveva il sonno pesante, ma questa volta si svegliò subito. Non parlarono perché non esistevano parole per esprimere ciò che avrebbero voluto dire.