Una rimbombante voce metallica stava tuonando istruzioni: — In fila per uno nelle cabine, per favore. Sedetevi al vostro posto e non sovraccaricatele. Ne arriverà un’altra ogni dieci minuti.
La folla gli diede scarsissima retta, spingendo e venendo avanti come un’onda di marea lungo un ampio corridoio verso la zona di carico.
— Peron! — Elissa allungò una mano e gli afferrò il braccio. — Tienti stretto, non vogliamo trovarci separati proprio adesso.
Era come trovarsi in un fiume e venir trascinati dalla corrente. Senza nessuno sforzo da parte loro, si trovarono trasportati avanti fino ad una stanza semicircolare, e poi seduti su morbide panchine coperte da un tessuto caldo e vellutato. Su entrambi i lati la gente li guardava sogghignando, e puntava gli occhi fuori dei semicerchi degli oblò.
— Guarda giù! — esclamò una donna accanto a Elissa. Il suo accento dava un suono curioso alle vocali, ma era facile da capire. — Ti fa venire i brividi. Non c’è da meravigliarsi che lo chiamano Skydown.
Elissa seguì il gesto dell’altra, e scoprì che il pavimento sotto i suoi piedi era trasparente. Stava guardando direttamente giù verso la Terra, seguendo la linea d’un immenso cilindro d’argento. Mentre guardava, le porte della camera si chiusero ed ebbe inizio una discesa liscia e accelerata: la loro cabina cavalcava un sentiero invisibile su un lato del cilindro.
— Peron. — Elissa si protese verso di lui in modo che potesse sentirla sopra il frastuono. — Cos’è che succede qui? Guardali, sono come la folla alla fine del Planetfest. E dove stiamo andando?
Peron scosse la testa. — È colpa nostra. Me ne sono reso conto non appena siamo usciti dai serbatoi lassù, avremmo dovuto sapere che non siamo diversi da tutti gli altri. Non capisci? Tutti quelli che arrivano dalle colonie planetarie e dalle arcologie hanno sentito parlare della Terra da quand’erano bambini. Tutti vogliono visitarla. Non c’è da stupirsi che de Vries sia rimasto sorpreso quando gli hai chiesto se veniva con noi, scommetto che la gente che vive nel sistema di Sol sia stanca di spiegare le cose ai visitatori sempliciotti che arrivano qui. Meglio guardare in faccia la realtà, amore, noi facciamo parte della folla dei turisti, niente più.
Elissa guardò intorno a sé quei viaggiatori irrequieti ed esuberanti. — Hai ragione, ma si stanno tutti divertendo. Sai una cosa? Mi sento meravigliosamente. Rimanderò la soluzione dei misteri dell’universo fino a quando non saremo ritornati in orbita. — Afferrò il braccio di Peron e l’attirò più vicino a sé. — Suvvia, infelicità. Entriamo nello spirito della cosa. Ricordati che una settimana sulla Terra corrisponde a cinque minuti soltanto nell’S-Spazio. Non si accorgeranno neppure che ce ne siamo andati.
Si sporsero in avanti per guardar fuori attraverso il pavimento. Malgrado il cilindro scorresse davanti a loro come una macchina in fulmineo movimento, la Terra non sembrava percettibilmente avvicinarsi. Era sospesa sotto di loro, una luminosa palla bianca che si stendeva per quindici gradi sullo sfondo del cielo.
— Mi chiedo quanto tempo durerà il viaggio — disse ancora Elissa. Allungò una mano verso la piccola griglia delle informazioni incorporata nel bracciolo della sua poltroncina, e l’accese. — Velocità, per favore, e l’ora dell’arrivo.
— Velocità attuale, quarantaquattromila chilometri all’ora — esclamò una voce allegra. Il sistema vocalizzante di risposta era stato scelto con un timbro quanto più piacevole e calmante possibile. — L’arrivo avverrà fra tre ore e quarantun minuti da adesso. Siamo ancora in fase di accelerazione. Mancano trentamila e quattrocento chilometri all’atterraggio.
— Dove atterreremo?
— Mezzo grado a sud dell’equatore, su uno dei continenti maggiori.
Peron stava ancora fissando il globo sotto di loro. — Non assomiglia a quello che rni aspettavo, è troppo luminosa. Perché mai ci sono tante coltri di nubi?
Vi fu silenzio per una frazione di secondo, mentre il computer di bordo faceva appello alla stazione sincrona sopra di loro per chiedere assistenza, onde poter dare la risposta. — Oggi c’è una coltre di nubi inferiore al solito. È probabile che lei scambi la coltre di neve per una coltre di nubi.
— Ma questo vorrebbe dire che c’è neve su due terzi della superficie!
— Esattamente. — Ancora una volta la cabina esitò. — Non è insolito.
— La Terra non era coperta di neve ai vecchi tempi… è una conseguenza dell’antica guerra?
— Niente affatto. È il risultato della riduzione dell’attività solare. — Il sistema d’informazione esitò per un attimo, poi proseguì: — La quantità di radiazioni ricevute dal Sole è scesa di un mezzo per cento durante gli ultimi quindicimila anni. L’aumento della glaciazione è evidente perfino a questa distanza. È previsto che questa era glaciale si prolunghi per almeno altri diecimila anni, per essere poi seguita da un periodo insolitamente caldo. Nel giro di quindicimila anni vi sarà uno scioglimento parziale delle calotte polari, e la maggior parte dei territori costieri verranno sommersi.
Elissa allungò una mano e spense l’apparecchio. Guardò Peron. — Non ti dispiace, vero? Ho avuto la sensazione che stesse perdendo slancio. Odio che mi si spiattellino addosso le cose, chiunque abbia programmato quella sequenza necessita di una lezione di brevità da parte di Kallen.
Peron annuì il suo assenso. Lo spettacolo sottostante era più che efficace per impegnare tutta la loro attenzione. Dai poli fin quasi ai tropici i ghiacci biancoazzurri rivestivano le terre emerse. L’antico profilo delle masse continentali maggiori era immutato. Ben presto Peron poté vedere dove lo Skyhook era impastoiato. Incontrava la superficie della costa occidentale d’un continente che era stato conosciuto col nome di Africa. Stavano scendendo rapidamente verso il punto di attracco, a un paio di centinaia di chilometri dal punto in cui il più poderoso fiume della regione si riversava nell’oceano Atlantico.
— Dovremmo decidere quello che intendiamo davvero vedere — disse Elissa. — Se ci sarà possibile scegliere, vorrei tanto non essere costretta ad andare in giro in mezzo ad una calca di turisti.
— Allora, vediamo quali sono le scelte possibili. Ce la fai a sorbirti un’altra volta il servizio informazioni, per un paio di minuti?
Peron attivò l’interruttore e parlò nel minuscolo microfono: — Saremo liberi di muoverci come vogliamo, quando raggiugeremo la superficie?
— Certamente — rispose subito quella voce allegra ma impersonale. — Ci saranno veicoli di superficie e aerei a vostra disposizione, e dei servizi personali d’informazione vi accompagneranno e risponderanno a tutte le domande. I servizi elargiti verranno addebitati automaticamente sul vostro conto.
Elissa guardò Peron. Per quanto ne sapevano, loro due non godevano di nessun conto personale. Forse avrebbero dovuto litigare con Jan de Vries su questo punto, quando fossero ritornati dalla Terra.
— Avete scelto una località? — proseguì sempre allegro il computer di servizio. — Se è così, possiamo predisporre un mezzo subito disponibile all’atterraggio.
— Aspetta un momento. — Peron girò le spalle al microfono. — Elissa? Lasciamo perdere tutto, per un po’. Forse potremmo dare un’occhiata ad una tipica città della Terra, e poi visitare un territorio vergine.
Al suo cenno di consenso, Peron si affrettò a trasmettere la loro richiesta alla cabina. Seguì il silenzio più lungo che vi fosse stato finora.
— Mi spiace — rispose la voce alla fine. — Non possiamo soddisfare la vostra richiesta.
— Non è permesso? — domandò Elissa.
— Sarebbe permesso, ma l’ambiente che avete descritto non esiste più.
Elissa mostrò il più vivo stupore. — Vuol dire che non c’è più nessun paesaggio naturale in nessun punto della Terra?
— No — rispose la voce. Peron immaginò di percepire un elemento di sorpresa nella dominante giovialità dei toni della cabina. — Ci sono paesaggi naturali, in abbondanza. Ma non ci sono città o villaggi sulla Terra.