Fuori dal serbatoio, tre figure guizzarono all’interno della Manta. Peron, Sy ed Elissa si muovevano con cautela, ma per un osservatore che si trovasse nell’S-Spazio si muovevano troppo in fretta perché l’occhio potesse seguirli: i seicento metri di lunghezza della nave, dalla stiva alla cabina di comando, vennero percorsi in meno di un ottavo di S-secondo, in un lampo confuso troppo rapido per essere afferrato. L’ostacolo più grande ad una velocità ancora maggiore era costituito dai robot di servizio, che rotolavano qua e là in apparenza a casaccio per i corridoi, svolgendo con passo lento i compiti loro assegnati. Novantanove S-secondi prima del lancio, arrivarono fuori della camera dell’animazione sospesa. Come prima cosa importante, dovevano esserci abbastanza serbatoi di riserva da accogliere tre viaggiatori extra nel sonno freddo. Se così non fosse stato, c’era ancora tempo per richiamare una capsula di carico e uscire dalla Manta.
— T MENO NOVANTA SECONDI… — Adesso i tre intrusi si erano familiarizzati con tutti i comandi principali della nave, avevano verificato la sua immediata destinazione e confermato il tempo di viaggio fino a una frazione di secondo.
— T MENO OTTANTA SECONDI… — Dopo un pasto e un periodo di riposo di quattro ore, Sy, Elissa e Peron modificarono le regolazioni del sonno freddo dell’equipaggio della nave e prepararono tre serbatoi per l’animazione sospesa rimasti liberi.
— T MENO SETTANTA SECONDI… — Sy inviò dei messaggi in codice a Kallen, Lum e Rosanne, uno sulla Terra e uno su Paradiso, spiegando loro quello che stava accadendo.
— Fino a che punto sei fiducioso che sappiano che c’è un segnale nascosto? — aveva chiesto Peron.
— Se sarà Kallen a riceverlo, non ho dubbi — aveva sorriso, cupo, Sy. — Talvolta penso che sia scaltro quanto me. Se non riusciranno a trovare un modo per seguirci, mi aspetto che mi mandino un messaggio. Volete scommettere con me?
— Non oggi.
— T MENO SESSANTA SECONDI… — Ogni eventualità era stata controllata. Adesso era giunto il momento di sistemarsi nelle loro camere del sonno freddo, accanto ai membri dell’equipaggio.
— Questi serbatoi sono regolati per svegliarci un S-minuto prima dell’arrivo a Gulf City — spiegò Peron. — Loro saranno ancora addormentati. Sy, sei sicura di aver cambiato il diagramma di decelerazione, in modo da trovarsi in caduta libera quando ci sveglieremo?
— Fidati di me.
Peron si distese nel suo serbatoio. Per la millesima volta la sua mente ripassò sulla stessa sequenza di eventi. Tutti e tre l’avevano rivista insieme fino a quando era diventata una routine del tutto familiare ed automatica.
Tempo di arrivo, meno un S-minuto… Si sarebbero svegliati nello spazio normale durante le ultime fasi di avvicinamento della nave a Gulf City. Un S-minuto avrebbe concesso loro poco più di un giorno normale per attuare possibili cambiamenti al piano definitivo. Gli Immortali a Gulf City avrebbero dovuto trovarsi nell’S-Spazio, e incapaci di attuare una reazione tempestiva.
Arrivo a Gulf City. Poi sarebbe venuto il controllo dei robot di servizio. Sarebbe seguito il controllo della stessa Gulf City…
I vapori del sonno freddo sibilavano tutt’intorno a lui, e Peron poteva sentire il tocco freddo e sgradevole dei cateteri sulle sue braccia e sul suo petto. Non c’era più niente da fare, adesso; salvo dormire e risvegliarsi a Gulf City.
Peron chiuse gli occhi…
CAPITOLO VENTISETTESIMO
… e aprì gli occhi con l’immediata consapevolezza che qualcosa era andato terribilmente storto.
Avrebbe dovuto trovarsi nello spazio normale. Invece non era così. I contorni confusi degli oggetti intorno a lui, e i loro colori mutati, gli dissero subito che si trovava nell’S-Spazio. E non si trovava più entro i confortevoli confini del serbatoio per l’animazione sospesa della Manta.
Cercò di rizzarsi a sedere, ma non ci riuscì. Era legato con larghe cinghie al letto che lo sorreggeva. Cosa ancora peggiore, sembrava che non avesse nessun controllo sui muscoli al di sotto del collo. Girò disperato la testa su un lato e l’altro, e vide che Elissa giaceva alla sua destra, con Sy subito oltre. Sy si era già completamente riavuto e si stava guardando intorno perplesso. Gli occhi di Elissa si stavano aprendo proprio in quel momento.
In nome del cielo, dove si trovavano? Allungò il collo, e mentre lo faceva udì un sommesso ronzio di macchinari. Il letto sul quale giaceva si stava inclinando in posizione semieretta. Così, un po’ per volta, fu in grado di vedere qualcosa di più dell’ambiente in cui si trovava.
Era in una lunga stanza dalle pareti grige, priva di finestre. Scaffali nudi rivestivano le pareti, gli unici altri mobili erano tre sedie dallo schienale duro, disposte davanti ai letti. Tutta la stanza aveva un aspetto squallido, rivelando una scarsa manutenzione. Sulle sedie, intenti a guardarlo con curiosità, sedevano tre persone: un uomo basso, dalla corporatura poderosa, con occhi bronzei, brucianti, e due donne: una dalla pelle nera, alta e angolosa, ma allo stesso tempo graziosa, l’altra minuscola, grassoccia e bionda. Peron valutò che le due donne fossero sulla trentina, l’uomo un po’ più giovane.
— Molto bene — disse, inaspettatamente, la donna più minuta. — Tutti presenti e a posto. Credo che possiamo cominciare.
Peron intravide per la prima volta i suoi occhi, e fu come un tuffo nell’acqua fredda. Erano castani e ben distanziati, e irradiavano una forza e un’intensità sconcertanti. Peron ebbe l’impressione che la donna fosse in grado di guardargli attraverso il corpo. La fronte sopra quegli occhi vigili mostrava un disegno appena visibile ma esteso di sottili cicatrici bianche, che correvano fin dentro la linea dei capelli.
— È probabile che vi sentiate molto sorpresi — proseguì la donna. Rivolse la sua attenzione a Sy, e lo fissò con intensità. Sy le restituì lo sguardo, con la sua consueta espressione di astratto cinismo.
— O forse no — concluse la donna alla fine. — Ma forse un po’ disorientati. Perciò lasciatemi cominciare col dirvi che vi trovate proprio dove volevate essere. Questa è Gulf City, il vostro «Punto di Convergenza», che mi piace e giudico un nome adatto per questo luogo. Questo è anche il nostro Quartier Generale principale. Ci siete arrivati. Non dovete più immaginare altre porte attraverso le quali dovete ancora passare.
Peron guardò Sy, ma l’altro rimase silenzioso. Avrebbe eseguito le sue valutazioni, e fino a quando non le avesse completate, era improbabile che parlasse.
— Cos’è successo? — finì per chiedere Peron. Come sempre, parlare, nell’S-Spazio era un problema. E c’era qualcosa d’irritante nel tono di voce supersicuro di sé della donna. — Come abbiamo fatto ad arrivare qui?
— Avete trovato da soli la strada per arrivarci — rispose la donna. — Tutto il resto ha assai meno importanza. Jan de Vries ci ha parlato di voi tre, e ha detto che avevate le potenzialità; ma siamo rimasti tutti sorpresi, e compiaciuti, nel constatare con quanta rapidità siete arrivati. Soltanto una o due persone in un anno terrestre riescono ad arrangiarsi e a trovare la strada fino a Gulf City. Tre in un colpo… un’eccezionale abbondanza.
— Vuol dire che volevate che venissimo?
— Tutti quelli che riescono a trovare la strada per Gulf City sono i benvenuti. È operante un sistema di selezione naturale: se vi mancano le qualità necessarie, non riuscirete mai a superare le barriere fisiche e intellettuali, e non arriverete mai in questo luogo.
— Giocavate con noi — commentò Peron in tono amaro. La sensazione di aver fallito lo faceva sentir male. — Osservavate tutte le nostre mosse. Mentre noi pensavamo di essere stati estremamente abili ad intrufolarci a bordo della Manta, avete sempre saputo che eravamo là.