— Perché le cuffie?
— Percezione sensoriale. Gli uomini in T-stato sono ciechi, sordi e muti senza l’assistenza del computer. I nostri organi sensoriali non sono concepiti per le onde luminose e sonore di lunghezze d’onda come quelle. Le cuffie modificano le frequenze. Vuoi provare il T-stato?
— Senz’altro.
— Ti metterò in lista per passarci qualche minuto. È più che sufficiente. Ricorda la differenza nelle velocità del tempo, un minuto T vale la maggior parte d’un giorno in S-Spazio, e quasi quattro anni terrestri. — Ancora una volta Judith Niles si voltò per lasciare la stanza. Sy, dopo aver lanciato un’ultima occhiata alle quattro figure in cuffia e immobili, la seguì fuori e per un altro corridoio lungo e fiocamente illuminato. Notò, approvando, che l’energia e la concentrazione non erano diminuite.
Infine si avvicinarono ad una massiccia porta metallica protetta contro gli ingressi non autorizzati da serrature codificate su impronte digitali, vocali e retiniche. Quando Sy venne finalmente approvato dal sistema ed entrò, si guardò intorno sorpreso. Si era aspettato qualcosa di nuovo e di esotico, forse un altro laboratorio congelato, pieno di strani esperimenti sul rallentamento del tempo o sulla sospensione della consapevolezza; ma questa stanza non pareva niente più di un normale complesso per le comunicazioni. E per giunta polveroso e mal tenuto.
— Non giudicare dalle apparenze. — Judith Niles aveva visto la sua espressione. — Questa è la stanza più importante di Gulf City. Se ci sono dei segreti, questi si trovano qui. E non pensare che la natura umana cambi quando la gente si trasferisce sull’S-Spazio. Non cambia. E la maggior parte degli individui non mette mai in discussione il perché le cose vengono fatte nella maniera in cui sono fatte nel nostro sistema. Se le mettono in discussione, gli viene mostrato quello che stai per vedere. Questo è il luogo in cui i documenti più antichi sono accessibili.
Judith Niles si sedette alla consolle ed eseguì una lunga procedura per immettere il codice. — Dovresti provare a sbrogliare questo, se davvero sei convinto di essere tanto in gamba nel trovare spiragli nel nostro software. Ha sei livelli di protezione nel momento dell’immissione. Procediamo con gradualità nel data base. Questo è un buon posto in cui incominciare.
Inserì un’altra sequenza. Lo schermo s’illuminò del chiarore bianco, morbido e uniforme, dell’S-Spazio. Qualche istante dopo comparve su di esso un tracciato scuro di reticoli poliedrici, pannelli congiunti di filamenti d’argento. — Uno di questi l’hai visto anche tu, mi è stato detto. Garzaioli e pipistrelli, probabilmente la prima intelligenza aliena scoperta dall’uomo. Ci siamo imbattuti in loro ventimila anni terrestri or sono, non appena le sonde dello spazio profondo cominciarono a viaggiare con gli equipaggi nell’S-Spazio. Ma in verità non siamo ancora sicuri se abbiamo incontrato o no un’intelligenza… È interessante?
Sy scrollò le spalle senza impegnarsi.
— Ma non talmente interessante? — Judith Niles toccò di nuovo la consolle di controllo. — Sono d’accordo. È interessante in maniera astratta, ma niente di più, a meno che gli esseri umani non imparino a instaurare un vero dialogo con loro. Bene, noi ci abbiamo provato. Abbiamo localizzato le loro frequenze preferite di emissione, e abbiamo scoperto che un semplice segnale in sequenza li fa allontanare, dissuadendoli dal drenare le nostre riserve d’energia. Ma non si tratta di un grande messaggio, e non si è mai andati oltre. I garzaioli e i pipistrelli si sono dimostrati una sorta di vicolo cieco. Ma hanno svolto una funzione d’enorme importanza. Ci hanno messo sull’avviso, permettendoci d’individuare una particolare banda di frequenze. Abbiamo cominciato ad ascoltare su quelle frequenze tutte le volte che eravamo nello spazio profondo e pensavamo che potesse esserci un garzaiolo lì intorno. Ed è stato allora che abbiamo cominciato a intercettare altri segnali sulla stessa banda di frequenza: regolari pulsazioni codificate a bassa frequenza, con uno schema come questo.
Sullo schermo comparve una serie di curve altalenanti, la ripetizione costante d’un complicato tracciato sinusoidale, inframmezzato a intervalli regolari da sprazzi più intensi d’energia pulsante.
— Ci convincemmo che si trattava di segnali, non di semplici emissioni naturali. Ma erano deboli e intermittenti, e non riuscivamo a localizzare le loro fonti. Talvolta una nave interstellare in transito captava un segnale sul ricevitore, abbastanza a lungo perché l’equipaggio riuscisse a puntare un’antenna nella direzione della sorgente del segnale, nel tentativo di captare un’immagine. Ed effettivamente un’immagine compariva, ma debole e incerta, che veniva persa quando la nave passava oltre. Era un tormento, ma nel corso degli anni riuscimmo a mettere insieme un’intera biblioteca di queste immagini parziali e sfocate. Alla fine ne raccogliemmo abbastanza da immettere il tutto in un computer, cercando uno schema. Ne trovammo uno: gli «avvistamenti» avevano luogo soltanto vicino ai punti medii dei viaggi, e soltanto quando le navi erano maggiormente lontane da qualunque corpo materiale e da altre fonti di segnali. I segnali, in altre parole, venivano ricevuti soltanto quand’eravamo nello spazio profondo, e quanto più profondo era, tanto meglio.
«A questo punto sapevamo di vedere qualcosa di diverso dai garzaioli e dai pipistrelli. Le nuove fonti erano molto deboli e distanti, e il profilo ricostruito dell’immagine mostrava l’accento di una struttura a spirale, niente di simile a quei pannelli poliedrici. Ma avevamo ancora troppo poche informazioni. Sembrava un affascinante mistero scientifico, ma non molto di più. Fu allora che Otto Kermel propose una serie di missioni per una ricerca a lungo termine e uno studio di quegli oggetti.
«Io non merito proprio nessun credito per ciò che accadde dopo. Pensavo che la sua idea non ci avrebbe condotto da nessuna parte e gli concessi il minimo delle risorse e del sostegno indispensabili. Lui fece tutto il lavoro pionieristico da solo. Gli demmo l’uso di una nave monoposto, e lui se ne andò, raggiungendo un luogo tranquillo a circa sette anni-luce da Sol. Aveva dedotto che l’assenza di campi elettromagnetici e gravitazionali era essenziale per studiare quegli oggetti. Malgrado il suo primo obbiettivo fosse quello di comunicare, scoprì che un messaggio di andata e ritorno spedito anche al più vicino di loro impiegava due S-anni. Ciò gli impose dei limiti, ma durante i suoi studi scoprì un mucchio di altre cose.
«Primo: scoprì molti Oggetti Kermel in giro per la Galassia. I segnali che intercettiamo non sono diretti a noi. Noi stavamo origliando alle trasmissioni fra i Kermel, e quei segnali che si scambiano tra loro sono numerosi. Basandosi sulla lunghezza di quelle trasmissioni, Otto concluse che gli Oggetti Kermel sono immensamente vecchi, con un ritmo biologico naturale così lento che l’S-Spazio è del tutto inadeguato per studiarli: durante migliaia di anni terrestri ricevette soltanto segnali parziali. Otto sostenne di essere in grado di decodificare in parte i loro messaggi, e si convinse che esistevano sin dalla formazione dell’universo, da prima del Big Bang, stando a uno dei suoi rapporti più inverosimili. Ha suggerito che si riproducano non scambiandosi materiale genetico, ma scambiandosi via radio informazioni genetiche. Non siamo stati in grado di verificare nessuna di queste ipotesi, e Otto non è stato in grado di fornire abbastanza dati come prova convincente. Quello che gli serviva era il T-stato, e una possibilità per dei periodi di studio più estesi, in una scala temporale più adeguata agli Oggetti Kermel. Ma il caso ha voluto che partisse per una seconda spedizione appena prima che venisse scoperto il T-stato. E non è mai più tornato.