Nella notte precedente l’arrivo nel porto che rappresentava la tappa conclusiva della crociera, il centralinista ricevette una chiamata per la signora Gemma. Era da poco passata la mezzanotte, il centralinista rimase stupito: l’unico a telefonare alla signora era il marito, puntualmente, ogni mattina alle nove. Macari questa volta riconobbe la voce del luminare, ma rispose come gli era stato ordinato di rispondere: «La signora non vuole che le si passino telefonate dalle 10 di sera alle 9 del mattino». «Sono il marito, non faccia storie. È una faccenda urgente.» Il centralinista provò e il telefono della cabina 90, quella della signora Gemma, risultò occupato. «La signora sta telefonando, signore.» «A chi?!!» – ruggì il chirurgo con tanta ferocia che il centralinista atterrì. «Po… po… posso ri… provare.» «E riprovi! Glielo devo dire io?» Ci riprovò. Sempre occupato. «Sta ancora parlando, signore.»
«Aaarrrggghhh!» – urlò il chirurgo – «Ritelefonerò tra dieci minuti!» Il centralinista riprovò per conto suo, voleva evitare di rimetterci l’udito per sopravvenuta rottura del timpano. Il telefono della cabina 90 restò ostinatamente occupato. Il centralinista chiamò Premuda, che era di guardia al commissariato, e gli riferì la situazione. «Perché ti preoccupi?» – fece il vicecommissario – «Probabilmente la signora, volutamente o involontariamente, ha staccato il ricevitore.» Svegliò l’addetta al piano, le disse di recarsi alla cabina 90, di bussare discretamente e d’avvertire la signora Ardigò dirimettere il ricevitore a posto perché il marito desiderava parlarle. Non passarono neanche cinque minuti che l’addetta richiamò il commissariato. «Ho bussato insistentemente. Non risponde nessuno. Che faccio? Apro col passepartout?» «Neanche per sogno» – disse Premuda – «Quella sicuramente avrà preso qualche sonnifero e non si sveglia manco a cannonate.» Poi, al centralinista: «Quando il marito ritelefona, ci parlo io». Quasi nonriuscì a terminare la frase, il professor Ardigò era tornato alla carica. «Sono Premuda, vicecommissario di bordo. Le volevo dire che non credo che il telefono sia occupato, penso che il ricevitore sia stato staccato dalla signora stessa che vuole riposare.» «Ma mi faccia il piacere! Mandi qualcuno abussare alla porta della cabina!» «Già fatto, professore. La signora non ha risposto. Probabilmente ha preso qualche sonnifero…» «Ma non dica sciocchezze! Io ho proibito a mia moglie di prendere sonniferi! E lei ubbidisce ai miei ordini! Non si prova a discutere nemmeno! Faccia aprire quella maledetta porta e veda cosa è successo!» «Senta, professore, noi non possiamo violare la privacy…» «Me ne frego della privacy della signora! È mia moglie! Che privacy vuole che abbia con me? Richiamo tra dieci minuti.» I modi di quell’uomo avevano urtato Premuda che reagì con un colpo di genio, inventandosi una cosa che poteva avere una sua plausibilità. «Eh, no. Da questo momento in poi e fino alle otto di domattina non si può comunicare con la nave. Tutte le comunicazioni dovranno restare a disposizione per le manovre d’accostamento. Mi dispiace, buona notte.» L’aveva fatto per una sorta d’antipatia verso il professore, ma in realtà c’indovinò.
Alle cinque del mattino in commissariato s’appresentò Cecè Collura, aveva capito che le procedure per lo sbarco dei crocieristi sarebbero state complesse e, per quanto possibile, voleva dare una mano d’aiuto al suo vice. Senza dare nessuna importanza alla facenna, Premuda l’informò delle telefonate a vuoto del professor Ardigò. S’aspettava che Collura reagisse con un certo divertimento e invece vide che il commissario parse disubito preoccupato.
«Senta, Premuda, ma siamo certi che possiamo stare tranquilli? Lei lo sa com’è la signora Ardigò, no? La chiamano la vedova inconsolabile! E se avesse veramente preso dei sonniferi, contrariamente agli ordini del professore?» «Beh, sarei contento per lei, dimostrerebbe una certa indipendenza dal marito che, mi creda, commissario…» «Premuda, non mi sono spiegato bene. Volevo dire: e se avesse preso una dose eccessiva di sonniferi? Quella è una fimmina che pare sempre sull’orlo del suicidio!» Il sorriso scomparse dalla bocca di Premuda. «Madonna santa! Non ci avevo pensato!» Si fecero di corsa scalette, controscalette, corridoi, corridoietti e finalmente arrivarono davanti alla porta della 90 che Cecè Collura rapii col passepartout e con una certa ansia. Il microfono era staccato, le valigie erano già pronte per lo sbarco, ma della signora Gemma non c’era traccia. Premuda origliò alla porta del bagno, nessun rumore. Un terribile pensiero gli attraversò la mente. Pallido, si rivolse a Cecè Collura: «E se si è gettata in mare?». «Che ore sono?» – spiò Cecè. «Quasi le sei.» «Abbiamo due ore prima che il professore ritelefoni. Diamoci da fare. Lei, Premuda, vada a parlare con gli uomini di guardia. Si faccia dire se hanno notato qualcosa d’anormale.»
Premuda si precipitò. Cecè niscì dalla cabina e s’imbatté quasi subito nell’addetta al corridoio. «Senta un po’…» «Piglio servizio alle sette» – rispose l’addetta, sgarbata. «Va bene, ma potrei sapere qualcosa della signora del 90?» «E che vuole sapere? Quella va a letto alle nove e si sveglia alle otto.» Cecè tornò nella cabina, pigliò un foglio di carta, scrisse poche parole: che la signora, una volta rientrata, telefonasse immediatamente al commissariato. Non credeva al suicidio: quella era il tipo di fimmina che, se si decideva a suicidarsi, avrebbe lasciato una lettera d’addio di centoventi facciate. E lettere così nella cabina non ne aveva trovate. Dopo manco mezz’ora ch’era in commissariato, arrivò Premuda, gli uomini di guardia non avevano niente da segnalare. Alle sette e mezzo, la signora Gemma Ardigò telefonò dalla cabina, era molto seccata che qualcuno fosse entrato in sua assenza. Che avevano di tanto importante da dirle al commissariato? «Vengo giù io» disse Cecè. Si fece scale, scalette, corridoi, corridoietti a passo svelto, c’era poco tempo prima della telefonata del luminare. La signora gli aprì la porta, melanconica sì, ma risentita. «Perché vi siete permessi…» «C’è un problema, signora. Stanotte ha telefonato suo marito…» «Cielo! Mio marito!» – fece la signora Gemma come nelle migliori commedie di Feydeau. Da quella battuta famosa e dal fatto che la faccia pallida di suo della signora arriniscì ad essere ancora più pallida alla notizia, Cecè ebbe la rivelazione inaudita. «Era in un’altra cabina, vero? Con un amico?» «Sì» – ammise la vedova inconsolabile abbassando pudicamente gli occhi. Ma li rialzò subito, aggiungendo: «Le cose però non stanno come lei può pensare». «Io non penso niente» – disse Cecè – «Vorrei solamente…» Ma la signora oramà sentiva il bisognodi dire tutto. «Con Giulio Ghiro ci siamo sempre amati, ma tra noi non c’è mai stato niente, glielo giuro! Lui è un filosofo, ha scritto libri bellissimi, come Le ragioni della melancholia e l’ultimo, Dalla parte del non essere. Li conosce?» Giùlio Ghiro! Come non averci pensato prima? Il solitario, cupo crocierista della 102, quello che il micidiale napoletano aveva soprannominato “le ultime ore di un condannato a morte”! La perfetta anima gemella della signora GemmaArdigò! «… e così abbiamo trovato il modo d’incontrarci qua a bordo, ma solo per parlare, commissario, mi creda, per parlare! E ora come faccio con mio marito che è così ossessivamente geloso?» «Suo marito conosce il signor Ghiro?» «No. Non l’ha mai incontrato.» In quel momento il telefono squillò. Collura sollevò il ricevitore, fece cenno alla signora di starsene zitta e ascoltare. «Professore Ardigò? Sono Collura, commissario di bordo. C’è stato un maledetto disguido. Ieri sera un’anziana signora amica di sua moglie, scendendo una scaletta, si è rotta il femore. Sua moglie, con generoso altruismo, ha voluto restarle accanto tutta la notte in infermeria ed è dall’infermeria che stiamo rispondendo alla sua telefonata. È colpa mia di non avere avvertito il centralinista e il mio vice Premuda… Le passo la signora.» E capitò il miracolo. La signora Gemma Ardigò gli sorrise. Poi pigliò il ricevitore, ascoltò. «Hanno svaligiato la casa? E vuoi la descrizione dei gioielli per la denunzia? Ora ci provo…» Cecè si allontanò discretamente. Aveva creato dal nulla un’anziana signora col femore rotto, un altro personaggio virtuale di quella crociera decisamente virtuale.