Intervista sul commissario Collura
a cura di Giovanni Capecchi
Nel 1998, il quotidiano «La Stampa» si rivolge a Camilleri proponendogli una collaborazione estiva. Nascono così gli otto racconti che hanno come protagonista il commissario di bordo Cecè Collura …
«La Stampa» mi aveva chiesto una serie di racconti, io ci pensai un po’ su e mi ricordai che ero stato a lungo indeciso sul nome da dare al commissario Montalbano quando era venuto fuori ne La forma dell’acqua. Avevo allora due nomi che mi giravano nella testa: uno era Montalbano e l’altro era Collura, cognomi tipicamente siciliani se altri mai ve ne furono. Poi mi venne l’idea di rendere grazie a Vazquez Montalbán e così optai per il commissario Montalbano. Ma ora dovendo scrivere dei racconti mi venne in mente di trovare un personaggio fisso. E subito è stato come una sorta di risarcimento nei confronti del commissario Collura: qualunque fosse diventata la funzione di questo personaggio che ancora non era nato, comunque si sarebbe chiamato Collura, visto che, poveraccio, era rimasto nell’anonimato rispetto a Montalbano che io avevo scelto come protagonista dei miei gialli. La seconda cosa che mi venne in mente, perché mi piace scommettere con me stesso, era quella di avere la possibilità di fare delle indagini all’interno di un luogo esattamente delimitato. È un po’ il giochetto che spesso e volentieri fa Agatha Christie quandosceglie l’Orient Express o un aereo per le sue storie. E quindi scelsi una nave da crociera perché offre una possibilità enorme di incontri con persone diversissime tra di loro. Nacque così il commissario di bordo. Il commissario di bordo non è un vero e proprio poliziotto: il commissario di bordo è soprattutto quello che si occupa del buon andamento dei crocieristi, della crociera stessa e del personale di bordo, ma non è un investigatore. Allora mi venne in mente di farne un poliziotto momentaneamente a riposo che ha una certa deformazione professionale anche quando si trova a svolgere un compito che poliziesco vero e proprio non è.
La collaborazione a «La Stampa» imponeva due obblighi: quello di scrivere le storie di Collura a scadenze ben precise e quello di rispettare una lunghezza prestabilita. Come ha vissuto queste due diverse “imposizioni”?
Io venivo da una esperienza giornalistica che era durata circa due anni con l’edizione regionale siciliana della «Repubblica» alla quale ogni settimana consegnavo due-tre cartelle di commento a quello che era avvenuto in Sicilia e in Italia. È una sorta di disciplina alla quale ti sottoponi e a me piacciono le discipline che uno si impone, i pensum mi piacciono moltissimo. A rispettare le scadenze ero dunque allenato. Il problema un po’ più serio era invece dato dalla lunghezza dei racconti che è standard: se tu superi di dieci righe la dimensione stabilita ti dicono “Guardi, dottore, bisogna tagliare” e questo è un problema perché credo che un racconto giallo che si possa tagliare sia un racconto giallo fallito. Dietro di me c’era però la lunghissima esperienza dell’Enciclopedia dello Spettacolo dove in quaranta righe dovevi definire uno scrittore o un regista. Anche a questo, francamente, ero allenato. Ho sbagliato un pochino la lunghezza del primo racconto ma dal secondo in poi non ci sono stati problemi.
Quando aveva 12 anni sognava di fare l’ufficiale di marina. In varie occasioni ha raccontato come, svanito questo sogno, si sia rifatto leggendo romanzi e racconti di mare. La sua consuetudine con questo genere di romanzi ha contribuito alla stesura delle storie di Cecè Collura?
Beh, sì, certo che mi sono venuti alla memoria i racconti di mare che ho letto. Però i grandi romanzi di mare non comportano storie di passeggeri. Conrad e Melville non descrivono navi con passeggeri, dove ci sono la sala da pranzo e spazi simili. Mi fece un po’ da guida un romanzo che mi colpì molto in giovinezza, scritto da un francese di cui non ricordo nemmeno il nome ma che si intitolava L’étoile du Nord, La stella del Nord, e venne pubblicato prima della guerra da Rizzoli nella serie di piccoli volumetti con la copertina verde e gialla che dirigeva Cesare Zavattini. È un romanzo straordinario, che si svolge su una nave da crociera: fin dall’inizio si capisce che c’è qualche cosa che non va in questo gigante del mare appena varato ma l’equipaggio finge che tutto vada tranquillamente. E invece le cose via via peggiorano. E c’è questa fraternità fra gli uomini dell’equipaggio, il loro rapporto con quelli che fanno la crociera. E un romanzo molto bello, che vedrei volentieri ripubblicato, anche se non ricordo altro se non questa atmosfera che mi è servita per i racconti di Collura …
… chissà che non lo ripubblichi la “Libreria dell’Orso”…
… lo potrebbe ripubblicare la “Libreria dell’Orso”.
Lei è conosciuto da tutti come l’autore che ha inventato Montalbano. Non c’è un po’ di rischio a mettere accanto a Montalbano un’altra figura di commissario?
Ma è un commissario di bordo: questo credo che il pubblico lo capirà immediatamente. Si tratta di un’altra cosa. E poi è un amico di Montalbano. Voglio dire che il tipo di indagini che lui svolge non interesserebbero a Montalbano: c’è una netta divisione fra i due personaggi.
Montalbano non sarebbe mai salito su una nave da crociera per prendersi un periodo di riposo…
… Montalbano, in parte, è come me: credo che si annoierebbe mortalmente a salire su una nave da crociera. Su un peschereccio sì, ma su una nave da crociera proprio non è il caso.
Lo spazio breve del racconto non consente a Cecè Collura di imporsi al lettore con una fisionomia ben determinata, cosa che invece avviene per Montalbano. È d’accordo con questa osservazione?