Sì, perfettamente d’accordo. Le apparenti divagazioni che ci sono nei romanzi o nei racconti lunghi di Montalbano, ma anche nei racconti di dieci cartelle, mi consentono in realtà di precisare molto del personaggio. Qui, più che il disegno del personaggio, conta il fatto, l’episodio.
Nel primo racconto, a proposito di Cecè viene detto che «non era omo d’acqua, ma di terraferma». Camilleri, che è siciliano come Cecè e come Montalbano, è uomo d’acqua o di terraferma?
Io sono uomo d’acqua e di terraferma. Sono tutte e due le cose. Sono talmente uomo d’acqua che ogni tanto mi prende una tale nostalgia del mare che assolutamente devo provvedere in qualche modo, anche andando nella spiaggia più vicina, piena di lattine, di rifiuti o di quello che vuole lei, ma l’odore del mare è una cosa indispensabile per me e per Montalbano.
Tra i racconti, il primo ha una caratteristica che lo differenzia dagli altri: il suo legame con la realtà politica italiana. Il personaggio è un uomo miliardario, che in gioventù ha fatto il cantante sulle navi da crociera, che è stato anche presidente del Consiglio (e ora, fra l’altro, ricopre di nuovo questo incarico) e che, all’età di sessant’anni, torna in incognito a fare il cantante sulla nave dove si trova Collura. È evidente il riferimento a Silvio Berlusconi.
La diversità del primo racconto rispetto agli altri è stata dovuta ad una sorta di incertezza mia. Cioè a dire; l’idea originaria, quando mi hanno chiesto questa collaborazione a «LaStampa», era di mettere dentro questa crociera una quantità di uomini politici e divertirmi con loro. Poi ho scoperto che con gli uomini politici ci si diverte assai poco e in fondo offrono pochi spunti per cose di questo tipo. E allora, dopo la prima storia di Cecè Collura, tutti gli altri racconti virano al giallo poliziesco sia pure molto blando. È stata una correzione di rotta, dato che stiamo parlando di navigazione.
Berlusconi, con il quale polemizza spesso e che ha fatto diventare protagonista anche di uno di questi racconti, ha mai preso il telefono per parlare con lei, per sapere come mai lo scrittore più letto in Italia sia così ostile nei suoi confronti?
Ma no. Non l’ha mai preso il telefono. Credo che non ci pensi neppure a prendere il telefono per chiamarmi. Un signore che dice a Bush «Caro George», che è chiamato «zio» dalle figlie di Putin, si figuri se solleva il telefono per chiamare uno scrittore, sia pure di successo, ma sempre appartenente a una razza inferiore.
Rocco Mortelliti ha scritto un libretto partendo da uno dei racconti di Collura, Il fantasma nella cabina, e questo libretto, musicato da Marco Betta, verrà messo in scena in numerosi teatri italiani. Ci sono altri racconti di Collura che, dopo la pubblicazione su «La Stampa», hanno avuto una vita ulteriore o avranno ulteriori sviluppi?
Questi racconti hanno incuriosito molti e in varie forme. Per esempio, era stata tentata una produzione cinematografica. Tra l’altro, c’era stato un bellissimo e serio intervento di sceneggiatura di Suso Cecchi d’Amico che aveva fatto un’opera pregevole per dare una sorta di cornice unitaria a questi episodi staccati tra di loro, e però poi, come avviene nel novanta per cento dei casi, questa proposta cinematografica non si realizzò. E mi è dispiaciuto perché era molto bella l’idea della Suso Cecchi d’Amico. Poi è venuta la proposta di fare un’opera lirica con Il fantasma nella cabina: Rocco Mortelliti ne ha tirato fuori un libretto e curerà la regia di questa opera per il “Festival delle novità” del Teatro Donizetti di Bergamo al quale sono molto legato, perché nel ’58 ho fatto la mia prima e ultima regia lirica in quel teatro, San Giovanni decollato , musica di Alfredo Sangiorgi, in tre atti, direttore Franco Mannino. Ebbe un grossissimo successo e ricevetti una quantità di proposte per fare il regista di opera lirica. Ma il numero di giorni di prove così limitato e così ristretto mi atterriva, per cui dissi «No, no, no» e probabilmente mi sono fregato una bella carriera di regista lirico.
Questi racconti apparsi nel 1998 su un quotidiano ora diventano un libro. Si potrebbe dire che per il grande pubblico nascono per la prima volta…
Sì, e sono molto curioso di vedere come reggono al libro. Veramente questi racconti sono stati scritti di settimana in settimana, obbedivano a delle scadenze estremamente precise, e quindi dovendoli scrivere con queste imposizioni temporali potevano verificarsi delle false partenze, perché vedevo che mi portavano, nella maggior parte dei casi, a un respiro maggiore di quello che mi era concesso. E quindi sono, come dire, un po’ compressi. Mi fa molta curiosità vedere che cosa ne viene fuori a leggerli l’uno dopo l’altro e provare se hanno una loro sostanza, sia pure leggera.
Ogni racconto termina con una frase simile, che suona in questo modo: “È una crociera vera o virtuale?”. Questa domanda (alla quale, nell’ultima storia, viene data una risposta: la crociera appare «decisamente virtuale») contribuisce a creare un legame tra gli otto episodi, rappresenta una sorta di ritornello che collega le diverse storie…
Mi ricordo, per esempio, che, subito dopo il primo, scrissi il racconto Che fine ha fatto la piccola Irene? , la storia di quella madre che crede di avere un figlio. Ci pensai un po’ prima di pubblicarla, perché ebbi delle remore, cioè a dire: “Ma insomma, debbono essere dei racconti leggeri, estivi, da leggere sotto l’ombrellone, e io gli vado a raccontare una storia triste di questo tipo?”. E infatti questo racconto apparve su «La Stampa» come penultimo. Però il fatto dell’inesistenza del personaggio, di una assenza considerata come una presenza, mi diede anche il via per Il fantasma nella cabina, secondo episodio apparso sul quotidiano di Torino. Tanto è vero che arrivai alla conclusione di chiedere: “Ma quella crociera era vera o virtuale?”.
Pensa che Cecè tornerà a trovarlo? Che chieda di nuovo, come personaggio, di vivere sulla pagina scritta?
Non escludo, non escludo. Perché con Cecè Collura mi è successo quello che mi successe con Montalbano nel primo romanzo. Nel primo romanzo io ho considerato Montalbano come una funzione, non come un personaggio: il commissario era lo strumento per svolgere l’indagine. Qui è ancora più scoperto il fatto che Cecè Collura sia una funzione. A me non piace descrivere dei personaggi che rimangono una funzione. Non è escluso che Cecè Collura possa diventare un personaggio. E non credo però che possa diventare un personaggio autonomo. Mi piacerebbe tanto inventarmi una storia nella quale Cecè Collura e Montalbano si trovano assieme.
Roma, 19 settembre 2002