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«Potrebbe descrivermi il coso… il fantasma? Com’era?»

«Normale. Classico.»

«Si può spiegare meglio?»

«Beh, faccia conto un lenzuolo che se ne sta dritto da solo. All’altezza degli occhi aveva come due palline fosforescenti. Oddio, mi sento male a pensarci!»

«Dove l’ha visto?»

«Stava ai piedi del letto. Fluttuava.»

«Ha detto qualcosa?»

«Come no! Mi ha detto con voce cavernosa: “Candida, scendi da questa nave finché sei in tempo!”.»

«Lei lo conosceva?» – s’intromise il vice.

«Perché avrei dovuto conoscerlo?» – s’inalberò la signorina.

«Mah… non so… dato che le dava del tu…»

«Ma che ragionamenti! Tutti i fantasmi danno del tu!»

«Ah!» – fece il commissario – «Lei dunque è pratica di fantasmi. Prima ne aveva visti altri?»

«Mai. Però ho letto qualche libro sull’argomento. Ora che mi ci fa pensare, il padre di Amleto…»

Cecè Collura s’affrettò a interromperla, ci mancava solo Amleto in quella storia d’orbi.

«Venga con noi, andiamo a vedere la sua cabina.»

«Nemmeno per sogno! Ho paura. Andateci voi, io resto qua.»

«Ha la chiave?»

«Ma come facevo a pensare alla chiave, in quel momento! È giù.»

Quando arrivarono nel corridoio 22c trovarono Davide Birolli che arringava un gruppo di passeggeri succintamente vestiti.

«Riflettete sulle parole del fantasma! Preannunciano pericolo! Stiamo quindi andando verso giorni e notti di dubbio, d’incertezza, d’angoscia anche. Tutto ciò non è meraviglioso? Questo viaggio, iniziato con rassicurante prevedibilità, in un placido interscambio di sensazioni e pensieri, proseguirà in un’atmosfera di salutare e progressista sgomento. Quale ne sarà la fine?»

«Lo faccia scomparire» – intimò Cecè al vice.

La cabina della signorina Candida era in perfetto ordine, tranne che per il letto. Il lenzuolo superiore era appallottolato e stava tutto dalla parte dei piedi: si vede che la signorina, istintivamente, aveva scagliato il lenzuolo contro il fantasma. Che, a sua volta, era un lenzuolo. A Cecè venne da ridere. La storia era comica, il risvolto negativo era la ripercussione che avrebbe potuto avere sui crocieristi. Come fare a calmare le acque?

Mentre ci ragionava, notò due cose. La prima era che aveva trovato la luce accesa. Quindi la signorina, appena visto il fantasma, aveva azionato l’interruttore. E il fantasma si era dissolto o era restato ancora visibile? La seconda era che ogni cosa di proprietà della signorina Meneghetti era nova nova. Per terra, due paia di scarpe appena incignate, su una sedia una costosissima borsa che sapeva ancora di fabbrica. Raprì l’armuar: su sei vestiti che stavano appesi, quattro avevano attaccata l’etichetta. Quasi tutta la biancheria intima stava nelle confezioni originali. C’erano macari due valigie Vuitton ed era chiaro ch’erano stateri empite per la prima volta. La signorina Meneghetti, che doveva essere ricca, si era fatta un costoso corredo proprio per quella crociera.

Tornò in ufficio. Lo trovò stipato di passeggeri che volevano cambiare cabina. Il vice, rosso e sudato, ora mai faticava persino a parlare.

«Trovo incredibile» – stava dicendo uno – «che su una nave come questa, dotata di tutto, manchi proprio un ghostbuster o, in linea subordinata, un esorcista!»

Cecè chiamò il suo vice in disparte. Venne informato che la signorina Candida era nel retroufficio, in quanto al giornalista free-lance aveva pensato bene di farlo convocare dal comandante.

«Che ha trovato?» – spiò ansiosa la signorina vedendolo.

«Che vuole che trovassi? A quest’ora il suo fantasma chissà dove è andato a finire. Mi permetta qalche domanda. Quando lei accese la luce, l’apparizione continuò a manifestarsi?»

Candida Meneghetti parse per un attimo imparpagliata.

«Ho acceso la luce? Non ricordo. Sa, in quel momento… Perché mi fa questa domanda?»

«Lei abitualmente si mette a letto con la vestaglia?»

«No. Perché? Con la camicia da notte.»

Però era arrossita. E di colpo Cecè Collura ebbe la certezza che quel rossore non fosse dovuto a virginale imbarazzo. Chiamò un addetto, spedì la signorina in una cabina vuota perché si riposasse un poco. Per due ore filate se ne stette nel retroufficio a fare telefonate e a riceverne. Alla fine si stiracchiò, soddisfatto. Andò a trovare la signorina Candida che si era appisolata sul letto, la svegliò delicatamente.

«Ho scoperto tutto, signorina. Lei campa con una pensione di un milione e trecentomila lire al mese, è un’ex attrice ed è ospite di una casa di riposo.»

«La prevengo, capisco dove vuole andare a parare: ho ricevuto un’eredità e ho deciso di godermela.»

«Mi aspettavo questa risposta. Ma vede, il suo modo d’agire, all’apparizione del fantasma, è stato del tutto illogico. Ha acceso la luce, e passi. Ma ha indossato la vestaglia, e questo assolutamente non regge. Davanti a un fantasma non c’è pudore che tenga, lei avrebbe dovuto precipitarsi fuori dalla cabina in camicia da notte. Ha commesso un errore. Chi l’ha pagata per organizzare questo teatro? Se lei confessa vedrò di non farle avere conseguenze penali. Però dovrà dire a tutti che ha capito d’avere avuto un incubo, tant’è vero che è pronta a rioccupare la sua cabina.»

La signorina Candida Meneghetti confessò, era stata profumatamente pagata per danneggiare l’immagine della società armatrice. Venne sbarcata allo scalo successivo. Con lei scese a terra macari il giornalista free-lance Davide Birolli. Cecè Collura tirò le somme: lui era un finto commissario di bordo, Joe Bolton un finto cantante, la signorina Meneghetti una finta passeggera. E c’era persino un finto fantasma. Ma quella crociera era vera o virtuale?

Trappola d’amore in 1a class

Il vice triestino di Cecè Collura si chiamava Scipio Premuda ed era un omo poco più che quarantino, riservato, gentile, di parole che erano sempre quelle giuste. Era proprio tagliato per il suo mestiere: a petto delle richieste, macari le più cervellotiche, dei passeggeri, non perdeva mai la calma. Senonché una brutta matina, davanti a una richiesta più insolita delle altre, Premuda sbracò di brutto: «Le consiglio di farsi costruire una nave da crociera tutta per sé, ci starà più comodo».

Il crocierista restò a bocca aperta. Come del resto Cecè Collura. Che gli stava capitando al suo vice? Le rispostazze del triestino ai passeggeri durarono fino a metà dopopranzo, quando il commissario decise d’intervenire.

«Premuda, lei è stanco. La sostituisco io. Vada a riposarsi.» Il vice lasciò l’ufficio senza ringraziarlo.

Appena Cecè ebbe un momento di tregua, chiamò un napoletano dello staff commissariale che del triestino era amico. Avevano a lungo navigato insieme.

«Premuda ha ricevuto qualche cattiva notizia da casa?» Il triestino viveva con la madre, non si era mai maritato, come Cecè.

«No, commissario, la signora Premuda sta bene.»

«Ma allora cos’ha? Oggi mi è parso così insofferente, nervoso.»

Il napoletano fece un sorrisetto e non disse niente.

«Non faccia il riservato con me. Si vede benissimo che muore dalla voglia di dirmi quello che è successo al signor Premuda.»

«Non l’ha capito? Si è innamorato.»

Cecè stunò. Ma se qualche giorno avanti Premuda aveva fatto un liscebusso ad un addetto che faceva troppo lo spiritoso con una passeggera! Se gli aveva detto che quel comportamento infrangeva l’etica professionale!

«Gli è capitato altre volte?»

«Mai. E mi pare che sia una cosa seria. Stanotte, per caso, li ho visti sul ponte A, lui e lei, in un posto scuro. Parlavano fitto fitto, si tenevano le mani.»

«Lei sa chi è la ragazza?»

«L’ho saputo per caso. Si chiama Anna Zirelli una delle due figlie di…»