«Abbiamo fatto una scommessa con degli amici. Eravamo certe che nessuno ci avrebbe scoperte. Ci alternavamo a pranzo e a cena e non c’è stato uno che abbia notato la benché minima differenzatra noi due. Poi è successo che mi sono innamorata di Scipio, un tipo d’uomo che mia sorella detesta. Tutto qua. Una stupida scommessa che ormai non sopportavamo più né io né Giulia. E ora che cosa intende fare? Ci denunzierà al comandante?»
«Manco per sogno. Solo che la vostra recita termina qui. Fino alla fine del viaggio sua sorella Giulia dovrà starsene in cabina, consegnata. A circolare, e a incontrare Scipio, dovrà essere solo lei. Buonanotte.»
Un finto commissario, un finto cantante, una finta crocierista, un finto fantasma e ora due fimmine che volevano sembrare una. Ma quella crociera era vera o virtuale?
Bella, giovane, nuda praticamente assassinata
Dopo manco due ore dall’attracco, sbrigate in fretta le formalità di rito, i passeggeri erano scesi tutti a terra, sciamando eccitati verso i mercatini della città araba. Sarebbero rientrati a bordo a sera, i piedi doloranti, l’immancabile mal di pancia, le braccia impedite da sporte e sacchetti stracolmi di oggetti tanto variopinti quanto assolutamente inutili. Cecè Collura si fece persuaso che a bordo non era rimasto un crocierista a pagarlo a peso d’oro, macari buona parte dell’equipaggio e del personale di servizio sarebbe stato messo in franchigia (si diceva così? Dei termini marinari non era tanto sicuro, gli veniva ancora di scangiare il babordo con il tribordo e viceversa). Non aveva che due possibilità davanti a sé: sbracarsi sul letto e farsi una sullenne dormitina, saltando pure il pranzo, o acchittarsi e scendere a terra.
Decise di sbarcare e principiò a vestirsi in borghese.
Si era appena infilato i pantaloni che il campanello della porta sonò.
Raprì.
Sulla soglia c’erano un marinaio e una signora anziana che tremava tutta e non arrinisciva a parlare.
«Che succede?»
«Mah, non so, commissario, ho incontrato la signora che correva per i corridoi, non è riuscita a dirmi niente, allora ho pensato bene di accompagnarla qui. Sono stato fortunato di trovarla ancora a bordo.»
“Tu sei stato fortunato e io invece no” – pensò Cecè che oramai all’idea della visita alla città ci si era affezionato.
«Potevi accompagnarla in ufficio.»
«L’ho fatto, commissario, ma non c’era nessuno.»
“Quando i gatti non ci sono, i topi ballano” – pensò ancora Cecè, rassegnandosi all’evidenza: addio sbarco, addio mercatini.
«Si accomodi, signora.»
A chi parlava, al muro? L’anziana fimmina si era paralizzata, gli occhi sbarracati, il respiro ansante, una mano artigliata allo stipite, l’altra che stropicciava convulsamente la gonna. Era chiaramente sotto choc.
«Aiutami a farla entrare, poi corri a chiamare qualcuno, un medico, un infermiere.»
Il marinaio faticò a staccare le dita della fimmina dallo stipite una ad una e, dato che non arrinisciva a cataminarsi, la sollevarono di peso e la portarono dintra. Dovettero forzarla per metterla assittata sulla poltrona. Il marinaio niscì di corsa dalla cabina e Cecè rimase solo con la donna, rigida e muta che pareva una pala di ficodindia.
«Signora, mi sente?»
Nenti. Manco le ciglia batteva. Ma che cavolo le era capitato per arridursi in quello stato? Finalmente arrivò il dottore. Gli bastò una sola, rapida occhiata.
«É sotto choc. Non è in grado di muoversi. Ora faccio venire una barella, la porto in infermeria, le farò sapere.»
Cecè andò in ufficio, trovò un addetto di servizio.
«Tu dov’eri poco fa?»
«Ero qua, commissario, non mi sono mai mosso.»
Cecè preferì non attaccare turilla esorvolare.
«Sei capace di farmi passare rapidamente al computer le schede con le foto dei crocieristi?»
«Ma sono più di mille, commissario!»
«E tu provaci con santa pacienza.»
Ebbero, in un certo qualmodo, fortuna, perché dopo tre quarti d’ora Cecè Collura gridò: «Ferma!».
Era lei, non c’era dubbio. Firmiani Tosca, di Firenze, anni 70, nubile. Seguivano l’indirizzo e altri dati. Occupava la cabina 27 del corridoio 23b. Cecè Collura si precipitò nel corridoio 23b ch’era un vero e proprio deserto. La porta della cabina 27 era naturalmente chiusa a chiave. Si mise a santiare, e ora dove la trovava una cammarera? Poi s’arricordò che qualche giorno avanti si era fatto dare un passepartout per ogni evenienza. Tornò di corsa nella sua cabina, trovò il passepartout, si ritrovò davanti alla 27 col fiato grosso. Raprì, trasì. Niente d’anormale, tutto in ordine, il letto rifatto. Richiuse e tornò in ufficio.
«Commissario, l’ha chiamata il dottore.»
Corse in infermeria, s’assittò su una seggia allato al lettuccio sul quale era distesa la signora Firmiani.
«Sono il commissario di bordo, può dirmi…»
«Ho visto una morta assassinata» – articolò con estrema chiarezza la signora. E, per rincarare la dose, aggiunse: «Con questiocchi l’ho vista. Era morta. Una coltellata al cuore».
«E come fa a sapere che è stata accoltellata a cuore?» – spiò Cecè ardentemente sperando che quella fosse completamente fora di testa. Perché se in caso contrario diceva la verità, la crociera si sarebbe dovuta fermare. Un disastro.
Spiò ancora: «E dove l’avrebbe vista questa donna assassinata?».
«Non avrei, l’ho vista. E basta. Ieri sera ho detto ai miei commensali che io oggi non sarei scesa a terra. È il mio giorno di meditazione. Però stamattina, svegliandomi, avevo un gran mal di testa. Ho cercato di raccogliermi, ma non ce l’ho fatta. Allora ho deciso di fare quattro passi sul ponte. Passando davanti alla cabina 31 ho notato la porta spalancata. Si vedeva il letto e, sopra, una giovane donna nuda. Sono entrata, ho visto il sangue, il coltello piantato sul cuore. Non ho capito più niente, sono corsa via gridando.»
Il commissario non la lasciò terminare, era già fora correndo.
Passò davanti alla cabina della signora Firmiani, la 27, che faceva angolo, svoltò, si fermò davanti alla 31 la cui porta era chiusa. Come mai? La signora aveva detto d’averla vista aperta.
Aveva ancora in tasca il passepartout, riaprì e restò ammammaloccuto. La cabina era perfettamente in ordine, del cadavere di una fimmina nuda accoltellata manco l’ummira. Taliò, per scrupolo nel bagno. Nenti. Che forse la signora si era, terrorizzata e sconvolta, sbagliata di nummaro? Raprì, pigliato da una prescia crescente, le porte della 29 edella 33. L’ordine regnava a Varsavia. Tornò nella 31. Sonò il campanello per chiamare la cammarera addetta, la quale s’appresentò, elegantemente vestita, dopo un quarto d’ora di sempre più furibonde sonatine di Cecè Collura. Aveva un’ariata leggermente seccata.
«Stavo per scendere a terra, signore.»
«Non sono un signore, sono il commissario di bordo.»
L’atteggiamento della cammarera cangiò di colpo.
«Mi scusi, non sapevo…»
«Ha rifatto lei questa cabina?»
«Certamente. Mezz’ora fa.»
Come faceva a spiarle: “Ha visto per caso sul letto una fimmina nuda assassinata?”. Si limitò a domandare: «Ha notato niente di strano? Che so, lenzuola macchiate, un po’ di sangue, disordine…».
La cammarera sgranò gli occhi.
«Assolutamente. Tutto era come le altre mattine. La signorina De Angelis è una persona molto ordinata. E gentile.»
«Lei sa se è scesa a terra?»
«Non saprei, commissario.»
Collura la congedò, era certo che la cammareranon mentiva.
Bisognava ragionarci sopra tanticchia.
Era assolutamente da escludere che qualcuno avesse avuto tempo e modo di far scomparire il cadavere. Per portarlo dove? Gettarlo in mare, in pieno giorno, con la nave attraccata? E comunque, magari a puliziare alla svelta la cabina, tracce di sangue ne sarebbero rimaste dovunque e la cammarera se ne sarebbe certamente accorta, da una ferita da coltello al cuore il sangue sarebbe schizzato a fiotti, inondando le lenzuola… A proposito, dove avrebbero ammucciato le lenzuola macchiate? E dove si erano forniti di un paro di linzola di bucato come quelli che ora c’erano dintra al letto? Stava usando il plurale perché una persona, da sola, non sarebbe riuscita a fare tutto quello che abbisognava. A meno di non ipotizzare che il delitto era stato commesso dalle cammarere…