«Queste riparazioni sono per caso bionde, sul metro e settanta e con gli occhi verdi?» buttò lì Hupert.
Il pescatore sorrise maliziosamente al nipote.
«Le notizie corrono veloci» disse Ismael.
«Se dipendono da tua cugina, volano, caro nipote. Qual è il nome della dama?»
«Irene.»
«Capisco.»
«Non c'è niente da capire.»
«Tempo al tempo.»
«È carina, tutto qui.»
«È carina, tutto qui» ripeté Hupert, imitando la voce fredda e indifferente del nipote.
«Non fa niente. Non è una buona idea. Sabato lavorerò» tagliò corto Ismael.
«Be', c'è da pulire la sentina. C'è del pesce putrido da settimane e puzza in modo schifoso.»
«Perfetto.»
Hupert scoppiò a ridere.
«Sei testardo come tuo padre. Ti piace quella ragazza o no?»
«Seee.»
«Non usare monosillabi con me, Romeo. Ho il triplo dei tuoi anni. Ti piace o no?»
Il giovane si strinse nelle spalle. Le guance gli erano arrossite come pesche mature. Alla fine si lasciò sfuggire un mormorio incomprensibile.
«Traduci» insisté lo zio.
«Ho detto di sì. Credo di sì. La conosco appena.»
«Bene, è più di quanto potessi dire io di tua zia la prima volta che la vidi. E chiamo il cielo a testimone che è una santa.»
«Com'era da giovane?»
«Non cominciamo o ti faccio passare il sabato in sentina» minacciò Hupert.
Ismael annuì e continuò a raccogliere gli attrezzi.
Lo zio si pulì il grasso dalle mani mentre lo guardava di sottecchi. L'ultima ragazza per la quale aveva mostrato interesse era stata una certa Laura, la figlia di un piazzista di Bordeaux, e da allora erano trascorsi quasi due anni. L'unico amore del nipote, al di là della sua impenetrabile intimità, pareva essere il mare. E la solitudine. La ragazza doveva avere qualcosa di speciale.
«Avrai la sentina pulita prima di venerdì» annunciò Ismael.
«È tutta tua.»
Quando al tramonto zio e nipote saltarono sul molo, di ritorno a casa, il loro vicino Picaud continuava a esaminare i misteriosi pezzi, cercando di stabilire se quell'estate sarebbero piovuti bulloni o se il cielo tentava di mandargli qualche segnale.
In agosto i Sauvelle avevano già la sensazione di vivere a Baia Azzurra almeno da un anno. Chi non li conosceva era ormai informato delle loro faccende grazie alla parlantina di Hannah e di sua madre, Elisabet Hupert. Per uno strano fenomeno, a metà strada fra il pettegolezzo e la magia, le notizie arrivavano nella panetteria dove lei lavorava prima che si verificassero. Né la radio né i giornali potevano competere con il negozio di Elisabet Hupert.
Croissant e notizie fresche, dall'alba al tramonto. Così, il venerdì, gli unici abitanti di Baia Azzurra che non erano al corrente del presunto colpo di fulmine tra Ismael Hupert e la neoarrivata, Irene Sauvelle, erano i pesci e gli stessi interessati. Poco importava se tra i due fosse già successo qualcosa o se sarebbe successo. La breve traversata in barca dalla Spiaggia dell'Inglese alla Casa del Capo era già entrata a far parte degli annali di quell'estate del 1937.
In effetti, le prime settimane di agosto a Baia Azzurra trascorsero a grande velocità. Simone era riuscita finalmente a disegnare una mappa mentale di Cravenmoore. La lista di tutte le attività urgenti per la gestione della casa era infinita. Già solo avere a che fare con i fornitori in paese, tenere in ordine i pagamenti e la contabilità e curare la corrispondenza di Lazarus bastava a occupare tutto il suo tempo, detratti i minuti che impiegava per respirare e dormire.
Dorian, armato di una bicicletta che Lazarus aveva voluto regalargli in segno di benvenuto, si trasformò nel suo piccione viaggiatore: in pochi giorni il ragazzo conosceva ogni pietra e ogni buca della strada per la Spiaggia dell'Inglese.
Così, tutte le mattine Simone iniziava la giornata evadendo la corrispondenza in uscita e dividendo meticolosamente quella ricevuta, come Lazarus le aveva spiegato. Un piccolo memorandum, giusto un foglietto ripiegato, le consentiva di tenere a portata di mano un breve elenco di tutte le bizzarrie di Lazarus. Ricordava ancora il suo terzo giorno, quando era stata sul punto di aprire involontariamente una delle lettere inviate da Berlino da quel Daniel Hoffmann. La memoria le era venuta in soccorso all'ultimo istante.
Le lettere di Hoffmann arrivavano di solito ogni nove giorni, con precisione quasi matematica. Le buste di pergamena erano sempre sigillate, con un blasone a forma di "D". Ben presto Simone si abituò a separarle dal resto e ignorò la stranezza della cosa.
Durante la prima settimana di agosto, tuttavia, accadde qualcosa che risvegliò nuovamente la sua curiosità per l'intrigante corrispondenza del signor Hoffmann.
Simone era entrata di prima mattina nello studio di Lazarus per lasciargli sulla scrivania una serie di fatture e pagamenti che erano arrivati. Preferiva farlo nelle prime ore del giorno, prima che ci andasse anche l'inventore di giocattoli, per evitare di interromperlo e importunarlo più tardi. Il defunto Armand aveva l'abitudine di iniziare la giornata controllando pagamenti e fatture. Finché aveva potuto.
Il fatto è che, quella mattina, entrando nello studio, Simone avvertì nell'aria un odore di tabacco, il che faceva supporre che Lazarus vi fosse rimasto fino a tardi la notte precedente. Stava lasciando i documenti sulla scrivania quando vide qualcosa nel camino, ancora fumante tra le braci dell'alba.
Incuriosita, si avvicinò e cercò di capire, con l'aiuto dell'attizzatoio, di cosa si trattasse. A prima vista sembrava un fascio di fogli rilegati, non ancora divorati del tutto dalle fiamme. Era sul punto di uscire dalla stanza quando, tra le braci, distinse chiaramente il sigillo di ceralacca sulla carta. Lettere. Lazarus aveva gettato nel fuoco le lettere di Daniel Hoffmann per distruggerle. Qualunque fosse il motivo, si disse Simone, non era affar suo. Lasciò l'attizzatoio e uscì dallo studio decisa a non curiosare mai più nelle faccende personali del suo datore di lavoro.
Il ticchettio della pioggia che batteva sui vetri svegliò Hannah. Era mezzanotte. La stanza era immersa in un'oscurità azzurrata e la luce della tempesta lontana sul mare disegnava intorno a lei illusioni d'ombre. Il tintinnio di uno degli orologi parlanti di Lazarus risuonava meccanicamente dalla parete: dal volto sorridente, gli occhi guardavano da un lato e dall'altro, senza sosta. Hannah sospirò. Detestava trascorrere la notte a Cravenmoore.
Di giorno, la casa di Lazarus Jann le appariva come un interminabile museo di prodigi e meraviglie.
Invece, scesa la notte, le centinaia di creature meccaniche, i volti delle maschere e degli automi si trasformavano in una fauna spettrale che non dormiva mai, sempre attenta e vigile nel buio della casa, senza smettere di sorridere, senza smettere di guardare da nessuna parte.
Lazarus dormiva in una delle stanze dell'ala ovest contigua a quella della moglie. All'infuori di loro due e della stessa Hannah, la casa era abitata unicamente dalle decine di creazioni dell'inventore di giocattoli, in ogni corridoio, in ogni stanza. Nel silenzio dell'alba, Hannah poteva sentire l'eco delle loro viscere meccaniche. A volte, quando il sonno le sfuggiva, rimaneva ore a immaginarle immobili, con gli occhi di vetro che brillavano nell'oscurità.
Era appena riuscita ad appisolarsi quando sentì per la prima volta quel rumore, dei colpi regolari smorzati dalla pioggia. Hannah si alzò e attraversò la stanza fino alla soglia di luce della finestra. La giungla di torri, archi, tetti angolati di Cravenmoore giaceva sotto il manto del temporale. Dai musi da lupo dei doccioni scorrevano nel vuoto fiumi di acqua nera.
Come odiava quel posto. .
Sentì di nuovo il rumore e rivolse lo sguardo verso la fila di finestre dell'ala ovest. Il vento sembrava averne spalancato una al secondo piano. Le tende ondeggiavano nella pioggia e le imposte continuavano a sbattere. La ragazza maledisse il proprio destino. La sola idea di uscire nel corridoio e attraversare la casa fino all'ala ovest le gelava il sangue. Prima che la paura la dissuadesse dal suo dovere,si infilò vestaglia e pantofole. Non c'era luce, così prese uno dei candelabri e accese le candele. Il loro chiarore ramato disegnò intorno a lei un alone spettrale. Hannah appoggiò la mano sul freddo pomello della porta e deglutì.