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Lontano, le imposte di quella stanza buia continuavano a sbattere. La aspettavano. Si chiuse alle spalle la porta e si trovò di fronte la fuga infinita del corridoio che si addentrava nell'oscurità. Sollevò il candelabro e si avviò, fiancheggiando le sagome sospese nel vuoto dei giocattoli in letargo di Lazarus.

Hannah cercò di concentrare lo sguardo davanti a sé e affrettò il passo. Il secondo piano ospitava molti dei vecchi automi di Lazarus, creature che si muovevano goffamente, dai lineamenti spesso grotteschi e a volte minacciosi.

Quasi tutti erano chiusi in vetrine di cristallo, dentro le quali prendevano vita all'improvviso, senza preavviso, rispondendo al comando di qualche ingranaggio interno che li risvegliava a caso dal loro sonno meccanico.

Hannah passò davanti a Madame Sarou, l'indovina che mescolava con mani incartapecorite le carte dei tarocchi, ne sceglieva una e la mostrava allo spettatore. Malgrado tutti i suoi sforzi, la ragazzina non poté evitare di guardare l'effigie spettrale di quella gitana scolpita nel legno. Gli occhi della zingara si aprirono e le sue mani le allungarono una carta. Hannah deglutì. La carta mostrava la figura di un diavolo rosso avvolto nelle fiamme.

Alcuni metri più in là, il torso dell'uomo delle maschere oscillava da una parte all'altra. L'automa sfogliava in continuazione il suo volto invisibile, scoprendo ogni volta una maschera diversa. Hannah distolse lo sguardo e si affrettò. Aveva attraversato quel corridoio centinaia di volte alla luce del sole.

Erano solo macchine senza vita e non meritavano la sua attenzione; tanto meno la sua paura. Con questo pensiero tranquillizzante in testa, giunse alla fine del corridoio che portava all'ala ovest. La piccola orchestra in miniatura del Maestro Firetti riposava in un angolo. Con una moneta, le figure della banda interpretavano una particolare versione della Marcia alla turca di Mozart.

Hannah si fermò davanti all'ultima porta del corridoio, un'enorme tavola di rovere intagliato. Ciascuna delle porte di Cravenmoore possedeva un diverso bassorilievo, intagliato nel legno, che rappresentava favole celebri: i fratelli Grimm immortalati in geroglifici di raffinata ebanisteria. Agli occhi della ragazza, tuttavia, le incisioni risultavano semplicemente sinistre. Non era mai entrata in quella stanza: una delle tante camere della casa in cui non aveva messo piede. E non lo avrebbe fatto se non fosse stato necessario. La finestra sbatteva al di là della porta. Il fiato gelido della notte si infiltrava tra le giunture, accarezzandole i piedi. Hannah rivolse un ultimo sguardo al lungo corridoio alle sue spalle. I volti dell'orchestra scrutavano le ombre. Si udiva chiaramente il rumore dell'acqua e della pioggia, come se mille piccoli ragni corressero sui tetti di Cravenmoore. La ragazza inspirò a fondo e, appoggiando la mano sul pomello, entrò nella stanza.

Una ventata di aria ghiacciata la investì, chiuse con violenza la porta alle sue spalle e spense le candele.

Le tende di voile ondeggiavano, zuppe di pioggia, come sudari al vento. Hannah s'inoltrò di qualche passo nella stanza e andò a chiudere la finestra, assicurando la maniglia che il vento aveva allentato. Si tastò nella tasca della vestaglia con dita tremanti e prese i fiammiferi per riaccendere le candele.

L'oscurità che la circondava prese vita davanti alle fiamme danzanti del candelabro. Il loro chiarore rivelava quella che le parve la stanza di un bambino. Un piccolo letto accanto a uno scrittoio. Libri e vestiti infantili sistemati su una sedia. Un paio di scarpe perfettamente allineate sotto il letto. Un minuscolo crocifisso che pendeva da una delle sbarre della spalliera.

Hannah avanzò di qualche passo. C'era qualcosa di strano, qualcosa di sconcertante che non riusciva a decifrare in quegli oggetti e quei mobili. I suoi occhi esplorarono di nuovo quella stanza infantile.

Non c'erano bambini a Cravenmoore. Non c'erano mai stati. Che senso aveva quella camera?

All'improvviso, l'idea le venne in mente. Ora capiva cosa l'aveva disorientata all'inizio. Non era l'ordine. Neppure il lindore. Era qualcosa di così elementare, di così semplice, che era difficile anche soffermarsi a pensarlo. Quella era la stanza di un bambino. Però mancava qualcosa. . Giocattoli. Non c'era neppure un giocattolo in tutta la stanza.

Hannah sollevò il candelabro e scoprì qualcos'altro sulle pareti. Fogli di carta. Ritagli di giornale. Posò il candelabro sullo scrittoio e si avvicinò. Un mosaico di vecchi ritagli e di fotografie ricopriva la parete.

Il volto pallido di una donna dominava un ritratto; i suoi lineamenti erano duri, spigolosi, e i suoi occhi neri irradiavano un'aura minacciosa. Lo stesso volto compariva in altre immagini. Hannah si soffermò su un ritratto della donna misteriosa con un bambino in braccio.

Il suo sguardo corse lungo il muro e fu attratto dai pezzi di vecchi giornali, i cui titoli non sembravano avere nessun rapporto fra loro. Notizie su un terribile incendio in una fabbrica di Parigi e sulla scomparsa di un certo Hoffmann nella tragedia. La traccia ossessiva di quella presenza sembrava impregnare l'intera collezione di ritagli, allineati come lapidi sui muri di un cimitero di memorie e ricordi. E al centro, circondata da decine di altri pezzi illeggibili, la prima pagina di un giornale datato 1890. Su di essa, il viso di un bambino. I suoi occhi erano pieni di terrore, gli occhi di un animale bastonato. La forza di quell'immagine la colpì con violenza.

Lo sguardo di quel bambino di soli sei o sette anni sembrava essere stato testimone di un orrore a stento comprensibile. Hannah sentì freddo, un freddo intenso che le nasceva da dentro. I suoi occhi cercarono di decifrare il testo quasi illeggibile che accompagnava l'immagine. "Un bambino di otto anni è stato ritrovato dopo sette giorni trascorsi in una cantina, abbandonato, al buio" si leggeva nella didascalia della foto. Hannah osservò un'altra volta il viso del piccolo. C'era qualcosa di vagamente familiare nei suoi lineamenti, forse negli occhi. .

In quel preciso istante, a Hannah sembrò di sentire l'eco di una voce, una voce che sussurrava alle sue spalle. Si voltò, ma dietro di lei non c'era nessuno. La ragazza si lasciò sfuggire un sospiro. I fasci vaporosi che emanavano dalle candele catturavano nell'aria migliaia di particelle di polvere e spargevano attorno una caligine purpurea. Hannah si avvicinò al davanzale di una delle finestre e con le dita aprì un varco nel velo di condensa che offuscava il vetro. Il bosco era immerso nella nebbia. Le luci dello studio di Lazarus, all'estremità dell'ala ovest, erano accese, e la sua sagoma si stagliava nel caldo alone dorato che tremolava dietro le tende. Una lama di luce attraversò il varco nella condensa e fu come se tendesse un filo di chiarore per tutta la lunghezza della stanza.

Questa volta la voce risuonò più vicina e distinta. Sussurrava il suo nome. Hannah si voltò verso la stanza in penombra e per la prima volta si accorse del brillio emanato da una boccetta di vetro. La boccetta, nera come ossidiana, era custodita in una minuscola nicchia nella parete, circondata da riflessi spettrali.

La ragazza si avvicinò lentamente e la studiò. A prima vista somigliava a un flacone di profumo, ma non aveva mai visto un esemplare di tale bellezza, né un oggetto di vetro con incisioni tanto elaborate.

Da un tappo a forma di prisma si irradiava un arcobaleno. Hannah provò un desiderio irrefrenabile di toccare quell'oggetto e di accarezzare con le dita le linee perfette del cristallo. Con estrema attenzione, lo prese tra le mani. Pesava più di quanto si aspettasse, e il cristallo risultò gelido al tatto, quasi doloroso a contatto con la pelle. Lo portò all'altezza degli occhi per vedere cosa c'era dentro: quello che i suoi occhi poterono intuire fu solo un nerume impenetrabile. Tuttavia, in controluce, ebbe l'impressione che qualcosa all'interno si muovesse. Un denso liquido nero, forse un profumo. .