Dopo pochi minuti di traversata, la riva lontana divenne solo una linea bianca tracciata fra cielo e terra. Il vento dell'est gonfiava le vele del Kyaneos e la prua della barca si apriva il varco in un manto cristallino di riflessi verdi, attraverso il quale si poteva vedere il fondale. Irene, la cui unica precedente esperienza a bordo di una barca era stata la breve traversata di due giorni prima, ammirava a bocca aperta l'ipnotica bellezza della baia da quell'inedita prospettiva.
La Casa del Capo si era ridotta a un tassello bianco tra gli scogli, e le facciate dai colori sgargianti del paese brillavano tra i riflessi che salivano dal mare. In lontananza, la coda di un temporale cavalcava l'orizzonte. Irene chiuse gli occhi e si mise in ascolto del rumore del mare che la circondava. Quando li riaprì, tutto era ancora lì. Era vero.
Una volta stabilita la rotta, a Ismael non restava molto altro da fare se non guardare Irene, che sembrava vittima di un incantesimo marino. Con metodo scientifico, iniziò a osservarla a partire dalle caviglie pallide, salendo lentamente e scrupolosamente fino al punto in cui la gonna nascondeva con inusitata impertinenza la parte superiore delle cosce della ragazza. Allora procedette a soppesare l'aggraziata proporzione del suo busto slanciato. Questa operazione si prolungò per un tempo indefinito, finché, inaspettatamente, i suoi occhi si posarono su quelli di Irene, e Ismael capì che la sua ispezione non era passata inosservata.
«A cosa stai pensando?» domandò lei.
«Al vento» mentì impeccabilmente Ismael. «Sta cambiando e si sposta verso sud. Succede quando c'è tempesta. Ho pensato che prima potrebbe piacerti doppiare il capo. Il panorama è spettacolare.»
«Quale panorama?» chiese Irene con aria innocente.
Stavolta non c'erano dubbi, pensò Ismaeclass="underline" la ragazza lo stava prendendo per i fondelli. Ignorando l'ironia della sua passeggera, portò la barca a vela verso il limite della corrente che costeggiava la scogliera a un miglio dal capo. Appena superato quel limite, Irene poté contemplare l'immensità della grande spiaggia deserta e selvaggia che si estendeva fino alle nebbioline che avvolgevano Mont Saint-Michel, un castello che svettava fra le brume.
«Questa è la Baia Nera» spiegò Ismael. «La chiamano così perché le sue acque sono molto più profonde di quelle di Baia Azzurra, che alla fine è solo una striscia di sabbia di sette o otto metri di larghezza. Una darsena.»
Quella terminologia marinaresca a Irene sembrava cinese, ma la strepitosa bellezza del posto le faceva venire la pelle d'oca. Il suo sguardo incontrò quello che sembrava un vuoto nella roccia, delle fauci spalancate sul mare.
«Questa è la laguna» disse Ismael. «È come un ovale chiuso alle correnti e collegato al mare da una stretta apertura. Dall'altro lato c'è la Grotta dei Pipistrelli. È quel tunnel che entra nella roccia, lo vedi?
Sembra che nel 1746 una tempesta vi fece naufragare un galeone pirata. I resti della nave, e dei pirati, sono ancora lì.»
Irene lo guardò scettica. Ismael poteva essere un bravo capitano, ma in quanto a mentire era un semplice mozzo.
«È la verità» ribadì lui. «A volte ci vado a fare i tuffi. La grotta si addentra nella roccia e non finisce mai.»
«Mi ci porterai?» chiese Irene, fingendo di credere all'assurda storia del vascello fantasma.
Ismael arrossì leggermente. Quella domanda faceva presagire una continuità. Un impegno. In una parola, pericolo.
«Ci sono i pipistrelli. Da cui il nome. .» la avvertì il ragazzo, incapace di trovare un argomento più adatto a dissuaderla.
«Adoro i pipistrelli. Topolini volanti» rimarcò lei, decisa a prenderlo ancora in giro.
«Quando vuoi» cedette Ismael.
Irene gli sorrise dolcemente. Quel sorriso disorientò del tutto Ismael. Per qualche secondo non seppe più se il vento soffiava da nord o se la chiglia era una specialità dolciaria. E la cosa peggiore era che la ragazza sembrava accorgersene. Era il momento di un cambio di rotta. Con un colpo di timone, Ismael virò quasi in cerchio mentre faceva passare la randa, inclinando la barca al punto che Irene sentì il mare accarezzarle la pelle. Una lingua di freddo. La ragazza urlò tra le risate. Ismael le sorrise. Non sapeva ancora bene cosa trovasse in lei, ma di una cosa era certo: non poteva toglierle gli occhi di dosso.
«Rotta verso il faro» annunciò.
Pochi attimi dopo, cavalcando la corrente e con l'invisibile mano del vento alle spalle, il Kyaneos scivolò come una freccia sul mare. Ismael sentì Irene aggrapparsi alla sua mano. La barca a vela vibrava come se toccasse appena l'acqua. Una scia di spuma bianca disegnava ghirlande al suo passaggio. Irene guardò Ismael e si accorse che anche lui la guardava. Per un momento i suoi occhi si persero in quelli di lei, e Irene sentì il ragazzo stringerle dolcemente la mano. Il mondo non era mai stato così lontano.
Quello stesso giorno, a metà mattina, Simone Sauvelle varcò la soglia della biblioteca personale di Lazarus Jann, che occupava un'immensa sala ovale nel cuore di Cravenmoore. Un universo infinito di libri saliva in una babilonica spirale verso un lucernario di vetro dipinto. Migliaia di mondi sconosciuti e misteriosi si incontravano in quella imponente cattedrale di libri. Per qualche secondo Simone ammirò a bocca aperta lo spettacolo, lo sguardo intrappolato nella nebbia evanescente che danzava salendo verso la volta. Ci mise un paio di minuti ad accorgersi che non era sola.
Una sagoma elegantemente vestita era seduta a una scrivania illuminata da un raggio di luce che cadeva in verticale dal lucernario. Sentendo i suoi passi, Lazarus si voltò e, chiudendo il libro che stava consultando, un vecchio tomo dall'aspetto centenario rilegato in pelle nera, le sorrise amabilmente. Un sorriso caldo e contagioso.
«Ah, madame Sauvelle. Benvenuta nel mio piccolo rifugio» disse alzandosi.
«Non volevo interromperla. .»
«Al contrario, mi fa piacere che lo abbia fatto» rispose Lazarus. «Desideravo parlare con lei di un ordine di libri che voglio fare alla ditta Arthur Francher. .»
«Arthur Francher, a Londra?»
Il volto di Lazarus si illuminò.
«La conosce?»
«Mio marito comprava spesso dei libri lì durante i suoi viaggi. Burlington Arcade.»
«Sapevo che non avrei potuto scegliere una persona più qualificata di lei per questo lavoro» disse Lazarus, facendo arrossire Simone.
«Che ne dice se parliamo davanti a una tazza di caffè?» la invitò.
Simone annuì timidamente. Lazarus sorrise di nuovo e rimise al suo posto il grosso libro che aveva in mano, fra altre centinaia di volumi simili.
Simone lo guardò e non poté fare a meno di leggere il titolo inciso a mano sul volume. Una sola parola, sconosciuta e incomprensibile: Doppelgänger.
Poco prima di mezzogiorno, Irene avvistò a prua l'isolotto del faro. Ismael decise di girarci attorno per iniziare la manovra di avvicinamento e attraccare in una piccola insenatura dell'isolotto, roccioso e selvaggio. A quel punto Irene, grazie alle spiegazioni di Ismael, sapeva già qualcosa di arti nautiche e di fisica elementare del vento. Così, seguendo le sue istruzioni, riuscirono a tenere a bada la spinta della corrente e a intrufolarsi nel corridoio di scogli che portava al vecchio pontile del faro.
L'isolotto era solo un pezzo di roccia desolata che emergeva dalla baia. Ci abitava una nutrita colonia di gabbiani. Alcuni osservarono gli intrusi con una certa curiosità. Gli altri si alzarono in volo. Passando, Irene riuscì a scorgere vecchi capanni di legno rovinati da decenni di temporali e dall'incuria. Il faro in sé era una torre slanciata, coronata da una lanterna prismatica, che sormontava una piccola casa di un solo piano, la vecchia abitazione del custode.
«Oltre a me, ai gabbiani e a qualche granchio, qui non viene nessuno da anni» disse Ismael.