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Ogni riga che scrivo in questo diario mi sembra l'ultima.

Per qualche motivo, Irene scoprì che aveva voglia di piangere. In silenzio, versò le sue lacrime in ricordo di quella signora invisibile il cui diario aveva acceso una luce dentro di lei. Ciò che il diario rivelava sull'identità della sua autrice stava in due parole all'inizio della prima pagina.

Alma Maltisse

Poco dopo, Irene vide la vela del Kyaneos squarciare la nebbiolina facendo rotta verso la Casa del Capo. Prese il diario e, quasi in punta di piedi, s'incamminò verso il nuovo appuntamento con Ismael.

In pochi minuti l'imbarcazione si aprì un varco nella corrente che sferzava l'estremità del capo e si addentrò nella Baia Nera. La luce del mattino scolpiva figure sulle pareti delle falesie che formavano buona parte della costa della Normandia, muri di roccia che fronteggiavano l'oceano. I riflessi del sole sull'acqua disegnavano lampi accecanti di schiuma e argento acceso. Il vento del nord spingeva con forza la barca, con la chiglia che tagliava la superficie come un pugnale. Tutto questo per Ismael era semplice abitudine; per Irene, le mille e una notte.

Agli occhi di una marinaia inesperta come lei, quel debordante spettacolo di luce e acqua sembrava recare la promessa di mille avventure e di altrettanti misteri che aspettavano di essere scoperti sotto il manto dell'oceano. Ismael, al timone, si mostrava insolitamente sorridente e conduceva la barca verso la laguna. Irene, vittima riconoscente del sortilegio del mare, proseguì con il racconto di quanto aveva scoperto dalla prima lettura del diario di Alma Maltisse.

«Evidentemente, lo scriveva per se stessa» spiegò la ragazza. «È strano che non citi mai nessuno con il suo nome. Come se fosse un racconto di persone invisibili.»

«È impenetrabile» commentò Ismael, che tempo prima aveva abbandonato la lettura del diario, ritenendola impossibile.

«Niente affatto» obiettò Irene. «Solo che per capirlo bisogna essere una donna.»

Le labbra di Ismael sembrarono sul punto di dischiudersi in una replica all'asserzione della sua copilota, ma per qualche motivo i suoi pensieri batterono in ritirata.

Dopo un po', il vento di poppa li spinse fino all'ingresso della laguna. Uno stretto passaggio fra le rocce abbozzava un'imboccatura in un porto naturale. Le acque della laguna, profonde solo tre o quattro metri, erano un giardino di smeraldi trasparenti e il fondo sabbioso sfavillava come un velo di garza bianca ai loro piedi. Irene contemplò estasiata la magia che l'arco della laguna racchiudeva al suo interno. Un banco di pesci danzava sotto la carena del Kyaneos, come piccole frecce d'argento che brillavano a intermittenza.

«Incredibile» balbettò Irene.

«È la laguna» chiarì Ismael, più prosaico.

Più tardi, mentre lei era ancora sotto gli effetti della prima visita a quel luogo, il ragazzo approfittò per ammainare le vele e ancorare la barca. Il Kyaneos oscillava piano, una foglia nella calma di uno stagno.

«Bene. Vuoi vedere questa grotta o no?»

Per tutta risposta, Irene gli rivolse un sorriso di sfida e, senza staccare gli occhi dai suoi, si tolse lentamente il vestito. Le pupille di Ismael si allargarono come piatti. La sua immaginazione non aveva anticipato un simile spettacolo. Irene, equipaggiata di un costume succinto, le cui ridotte dimensioni non avevano mai permesso a sua madre di considerarlo degno di questo nome, sorrise all'espressione di Ismael.

Dopo averlo stordito con quella visione per un paio di secondi, il tempo necessario a non lasciarlo abituare, si buttò in acqua e si immerse sotto la lamina di riflessi ondulanti. Ismael deglutì. O era molto lento, o quella ragazza era troppo veloce per lui. Senza pensarci due volte, la seguì in acqua. Aveva bisogno di un bagno.

Ismael e Irene nuotarono fino all'ingresso della Grotta dei Pipistrelli. Il tunnel si addentrava nella terra come una cattedrale intagliata nella roccia. Dall'interno proveniva una tenue corrente che accarezzava la pelle sott'acqua. Il soffitto della caverna marina formava una volta, coronata da centinaia di lunghe schegge di roccia che pendevano nel vuoto come lacrime di ghiaccio pietrificato. I riflessi dell'acqua rivelavano migliaia di anfratti tra le rocce, e il fondo sabbioso acquistava una fosforescenza spettrale che stendeva un tappeto di luce verso l'interno.

Irene si immerse e aprì gli occhi sott'acqua. Davanti a lei danzava lentamente un mondo di riflessi evanescenti, popolato da creature strane e affascinanti. Piccoli pesci le cui scaglie cambiavano colore a seconda della direzione nella quale si rifletteva la luce. Piante iridescenti sugli scogli. Minuscoli granchi che correvano sul fondo di sabbia. La ragazza rimase a guardare la fauna che abitava la caverna finché non le mancò l'aria.

«Se continui così, ti spunterà la coda da pesce, come alle sirene» disse Ismael.

Lei gli strizzò un occhio e lo baciò nel tenue chiarore della caverna.

«Sono già una sirena» sussurrò, addentrandosi nella Grotta dei Pipistrelli.

Ismael scambiò un'occhiata con uno stoico granchio che lo scrutava dalla parete dello scoglio e che sembrava avere una curiosità antropologica per la scena. Il saggio sguardo del crostaceo non lasciava alcun dubbio. Lo stavano di nuovo prendendo per i fondelli.

Un giorno intero di assenza, pensò Simone. Erano ore che Hannah non si faceva viva. Simone si chiese se si trovava di fronte a un problema di pura disciplina. Magari fosse stato così. Aveva lasciato passare la giornata di domenica in attesa di notizie della ragazza, pensando che fosse dovuta andare a casa.

Una piccola indisposizione. Un impegno imprevisto. Qualunque spiegazione le sarebbe bastata. Dopo ore di attesa, decise di affrontare il dilemma. Stava prendendo il telefono per chiamare a casa della ragazza quando una chiamata in entrata l'anticipò. La voce che sentì le risultava sconosciuta, e il modo in cui il suo possessore si identificò fece poco per tranquillizzarla.

«Buon giorno, madame Sauvelle. Il mio nome è Henri Faure. Sono il commissario capo della gendarmeria di Baia Azzurra» annunciò, ogni parola più pesante della precedente.

Un silenzio teso si impadronì della linea.

«Madame?» chiese il poliziotto.

«L'ascolto.»

«Non mi è facile dirglielo. .»

Per quel giorno Dorian aveva dato per conclusa la sua attività di messaggero. Gli incarichi che gli aveva affidato Simone erano più che espletati, e la prospettiva di un pomeriggio libero gli appariva promettente e rinfrancante. Quando arrivò alla Casa del Capo, Simone non era ancora tornata da Cravenmoore e sua sorella Irene doveva essere in giro con quella specie di fidanzato che si era trovata.

Dopo essersi scolato un paio di bicchieri di latte fresco, uno dietro l'altro, la strana sensazione della casa priva di donne gli sembrò un po' sconcertante. Ci si abituava così tanto a loro che, quando non c'erano, il silenzio diventava vagamente inquietante.

Approfittando del fatto che gli restava ancora qualche ora di luce, Dorian decise di esplorare il bosco di Cravenmoore. In pieno giorno, così come aveva predetto Simone, le figure sinistre non erano altro che alberi, arbusti e sterpaglia. Con questo pensiero in mente, il ragazzo s'incamminò verso il cuore di quel bosco cupo e labirintico che si estendeva tra la Casa del Capo e la dimora di Lazarus Jann.

Vagava da una decina di minuti senza una meta vera e propria, quando notò per la prima volta la scia di impronte che si addentravano nel folto partendo dalla scogliera, e che, inspiegabilmente, sparivano all'ingresso di una radura. Il ragazzo si accovacciò e tastò le impronte, o meglio le orme confuse che marcavano il suolo. Chiunque o qualunque cosa le avesse lasciate, aveva un peso considerevole. Dorian studiò di nuovo l'ultimo tratto delle orme fino al punto in cui scomparivano. Se doveva dare credito agli indizi, chiunque le avesse lasciate aveva smesso di camminare in quel punto ed era evaporato.