Alzò lo sguardo e osservò la rete di luci e ombre che si stendeva tra le chiome degli alberi di Cravenmoore. Uno degli uccelli di Lazarus passò tra i rami.
Il giovane non poté evitare di avvertire un brivido. Non c'era un solo animale vivo in quel bosco?
L'unica presenza tangibile era quella degli esseri meccanici che apparivano e scomparivano tra le ombre, senza che si riuscisse mai a immaginare da dove venivano e dove si dirigevano. I suoi occhi continuarono a esaminare l'intrico del bosco e a un certo punto notarono una profonda fessura in un albero vicino. Dorian si avvicinò al tronco e osservò la tacca. Qualcosa aveva aperto una profonda ferita nel legno. Tagli simili solcavano il tronco fino alla cima. Il ragazzo deglutì e decise di andarsene a gambe levate.
Ismael guidò Irene fino a una piccola roccia piatta che emergeva di un paio di spanne al centro della grotta, dove si stesero a riprendere fiato. La luce che penetrava dall'ingresso si riverberava all'interno, disegnando una curiosa danza di ombre sulla volta e sulle pareti della caverna. Lì l'acqua sembrava più calda che in mare aperto ed emanava una sorta di cortina di vapore.
«La grotta ha altre entrate?» chiese Irene.
«Un'altra, ma è pericolosa. L'unico modo sicuro per entrare e uscire è via mare, dalla laguna.»
La ragazza contemplò lo spettacolo di luce evanescente che rivelava le viscere della grotta. Quel luogo sprigionava un'atmosfera avvolgente e ipnotica.
Per qualche secondo, a Irene parve di trovarsi all'interno del grande salone di un palazzo scolpito nella roccia, in un luogo leggendario che poteva esistere soltanto nei sogni.
«È. . magico» disse.
Ismael annuì.
«A volte vengo qui e passo ore seduto su uno degli scogli, a guardare come la luce cambia colore sott'acqua. È il mio santuario privato. .»
«Lontano dal mondo, vero?»
«Tanto lontano quanto puoi immaginare.»
«Non ti piace molto la gente, eh?»
«Dipende dalla gente» rispose lui con un sorriso sulle labbra.
«È un complimento?»
«Forse.»
Il ragazzo distolse lo sguardo e ispezionò l'entrata della grotta.
«Adesso è meglio che andiamo. La marea non tarderà a salire.»
«E allora?»
«Quando sale, le correnti spingono verso l'interno della grotta e la caverna si riempie d'acqua fino in cima. È una trappola mortale. Puoi fare la fine del topo e morire annegato.»
Di colpo, la magia del luogo si fece minacciosa.
Irene immaginò la grotta riempirsi d'acqua gelata, senza possibilità di scappare.
«Non c'è fretta. .» chiarì Ismael.
Irene, senza pensarci due volte, nuotò fino all'uscita e non smise fino a quando il sole non le sorrise di nuovo. Lui la guardò nuotare di lena e sorrise tra sé. La ragazza aveva fegato.
Trascorsero la traversata di ritorno in silenzio. Le pagine del diario risuonavano nella testa di Irene come un'eco che non voleva spegnersi. Uno spesso banco di nubi aveva coperto il cielo e il sole si era nascosto, conferendo al mare una tonalità plumbea e metallica. Il vento era più freddo e Irene si rimise i vestiti. Stavolta Ismael la guardò appena mentre si rivestiva, segno che il ragazzo era perso nei suoi pensieri, quali che fossero.
Il Kyaneos doppiò il capo a metà pomeriggio e si diresse verso la casa dei Sauvelle, mentre l'isolotto del faro veniva completamente avvolto dalla nebbia. Ismael guidò la barca a vela fino al pontile ed effettuò la manovra di attracco con la solita perizia, per quanto si sarebbe detto che la sua mente fosse a mille chilometri da lì.
Quando arrivò il momento di salutarsi, Irene prese la mano del ragazzo.
«Grazie per avermi portata alla grotta» disse saltando a terra.
«Mi ringrazi sempre e non so perché.. Grazie a te, per essere venuta.»
Irene ardeva dal desiderio di chiedergli quando si sarebbero rivisti, ma ancora una volta l'istinto le consigliò di stare zitta. Ismael liberò la cima di prua e il Kyaneos si allontanò nella corrente.
Mentre guardava la barca allontanarsi, Irene si fermò sulla scalinata di pietra della scogliera. Uno stormo di gabbiani la scortava lungo la rotta fino alle luci della banchina. Più in là, tra le nuvole, la luna disegnava un ponte d'argento sul mare, guidando l'imbarcazione verso il paese.
Irene salì la scalinata di pietra sfoggiando un sorriso che nessuno poteva vedere. Diavolo, quanto le piaceva quel ragazzo. .
Appena entrata in casa, Irene si accorse che qualcosa non andava. Tutto era troppo ordinato, troppo tranquillo, troppo silenzioso. Le luci del salotto al pianoterra irroravano la penombra azzurrata di quel pomeriggio nuvoloso. Dorian, seduto su una delle poltrone, osservava in silenzio le fiamme del camino.
Simone, di spalle alla porta, guardava il mare dalla finestra della cucina, con una tazza di caffè freddo tra le mani. L'unico rumore era il mormorio del vento che accarezzava le banderuole del tetto.
Dorian e la sorella si scambiarono uno sguardo.
Irene si avvicinò alla madre e le posò una mano sulla spalla. Simone Sauvelle si voltò. C'erano lacrime nei suoi occhi.
«Cosa è successo, mamma?»
La madre l'abbracciò. Irene strinse le mani di Simone nelle sue. Erano fredde. Tremavano.
«Hannah» mormorò Simone.
Un lungo silenzio. Il vento graffiò le imposte della Casa del Capo.
«È morta» aggiunse.
Lentamente, come un castello di carte, il mondo intorno a Irene crollò.
7. Un sentiero di ombre
La strada che correva accanto alla Spiaggia dell'Inglese rifletteva i colori del crepuscolo e srotolava una serpentina scarlatta fino al paese. Irene, pedalando sulla bicicletta del fratello, guardò indietro, verso la Casa del Capo. Le parole di Simone, e l'orrore che aveva negli occhi vedendo la figlia abbandonare precipitosamente la casa al tramonto, pesavano ancora su di lei, ma l'immagine di Ismael che navigava verso la notizia della morte di Hannah era più forte di qualsiasi rimorso.
Simone le aveva riferito che, alcune ore prima, due escursionisti avevano trovato il corpo di Hannah nei pressi del bosco. Da quel momento la notizia aveva suscitato la desolazione, il pettegolezzo e il dolore tra quanti avevano avuto la fortuna di conoscere quella loquace ragazza. Si sapeva che sua madre, Elisabet, era stata colta da una crisi di nervi nell'apprendere l'accaduto e che era sotto gli effetti dei sedativi somministrati dal dottor Giraud. Ma poco di più.
Le voci su una vecchia catena di delitti che anni prima avevano turbato la vita del paese erano tornate a galla. C'era chi voleva vedere in quella disgrazia un nuovo capitolo della macabra saga di assassini irrisolti che si erano verificati nel bosco di Cravenmoore negli anni Venti.
Altri preferivano aspettare di conoscere maggiori dettagli sulle circostanze che avevano portato alla tragedia. La tempesta di dicerie, tuttavia, non gettava alcuna luce sulla possibile causa del decesso. Da diverse ore i due escursionisti che si erano imbattuti nel corpo stavano rilasciando dichiarazioni alla gendarmeria, e si diceva che stessero per arrivare due esperti medici legali da La Rochelle. A partire da lì, la morte di Hannah era un mistero.
Affrettandosi più che poteva, Irene arrivò in paese quando il disco del sole si era già inabissato completamente all'orizzonte. Le strade erano deserte e le poche sagome che le percorrevano lo facevano in silenzio, come ombre senza padrone. La ragazza lasciò la bicicletta accanto a un vecchio lampione che illuminava l'imbocco del vicolo dove si trovava la casa degli zii di Ismael. Era una costruzione semplice e senza pretese, una casa di pescatori vicina alla baia. L'ultima mano di pittura risaliva a decenni prima, e la calda luce di due lampade a petrolio rivelava i tratti di una facciata erosa dal vento del mare e dal salmastro.