«Il caso degli assassini della Henrichstrasse resta aperto e irrisolto negli archivi della polizia di Berlino. .»
«Accidenti. .» sussurrò Dorian alla fine del racconto di Lazarus. «Ed è successo davvero?»
L'inventore di giocattoli sorrise.
«No, però sapevo che la storia ti sarebbe piaciuta.»
Dorian affondò gli occhi nella tazza. Capì che Lazarus aveva architettato quella storia soltanto per distrarlo dallo spavento causato dall'angelo meccanico. Un buon trucco, ma in fin dei conti pur sempre un trucco. Lazarus gli diede sportivamente una pacca sulla spalla.
«Mi sembra che si sia fatto un po' tardi per giocare ai detective» osservò. «Andiamo, ti accompagno a casa.»
«Mi promette che non dirà niente a mia madre?» supplicò Dorian.
«Se mi prometti che non andrai più a spasso per il bosco solo e di notte; almeno fino a quando non si chiarirà cosa è successo a Hannah. .»
I due si guardarono.
«D'accordo» convenne il ragazzo.
Lazarus gli strinse la mano come un brav'uomo d'affari. Poi, con un sorriso enigmatico, l'inventore di giocattoli si avvicinò a un armadio, tirò fuori una cassetta di legno e la diede a Dorian.
«Cos'è?» chiese il ragazzo, incuriosito.
«Mistero. Aprila.»
Dorian si mise all'opera. La luce delle lanterne rivelò una statuetta d'argento grande come la sua mano.
Dorian la guardò a bocca aperta. Lazarus sorrise.
«Lascia che ti mostri come funziona.»
L'uomo prese l'oggetto e lo depositò sul tavolo.
A una semplice pressione delle dita, la statuetta si distese e rivelò la sua natura. Un angelo. Identico a quello che il ragazzo aveva visto, ma in scala.
«Con queste dimensioni non può spaventarti, eh?»
Dorian annuì, entusiasta.
«Allora, questo sarà il tuo angelo custode. Per proteggerti dalle ombre. .»
Lazarus scortò Dorian attraverso il bosco fino alla Casa del Capo, mentre gli spiegava segreti e tecniche della costruzione degli automi e di meccanismi la cui complessità e il cui ingegno gli sembravano fratelli della magia. Lazarus pareva sapere tutto e possedere le risposte alle domande più elaborate e astruse.
Non c'era modo di prenderlo in castagna. Arrivati alla fine del bosco, Dorian era affascinato e orgoglioso del suo nuovo amico.
«Ricorda il nostro patto, intesi?» sussurrò Lazarus. «Mai più escursioni notturne.»
Dorian scosse la testa e si diresse verso casa.
L'inventore di giocattoli aspettò fuori e non se ne andò finché il ragazzo non fu arrivato nella sua stanza e lo ebbe salutato dalla finestra. Lazarus ricambiò il saluto e si infilò di nuovo nelle ombre del bosco.
Sdraiato sul letto, Dorian aveva ancora il sorriso appiccicato in faccia. Tutte le sue preoccupazioni e le sue angosce sembravano evaporate. Rilassato, aprì la cassetta e prese l'angelo meccanico che gli aveva regalato Lazarus. Era un pezzo perfetto, di una bellezza sovrannaturale. La complessità del meccanismo portava con sé gli echi di una scienza misteriosa e affascinante. Dorian lo lasciò a terra, ai piedi del letto, e spense la luce. Lazarus era un genio. Ecco la parola giusta. Dorian l'aveva sentita centinaia di volte, e si era sempre sorpreso che venisse usata tanto, mentre in realtà non si addiceva in alcun modo a coloro ai quali era riferita. Alla fine, però, aveva conosciuto un vero genio. Ed era suo amico.
L'entusiasmo cedette il passo a un sonno irresistibile. Dorian si arrese alla fatica e lasciò che la mente lo conducesse verso un'avventura in cui lui, erede della scienza di Lazarus, inventava una macchina che catturava le ombre e liberava il mondo da una sinistra organizzazione malefica.
Dormiva già quando, senza alcun preavviso, la statuetta iniziò lentamente a dispiegare le ali. L'angelo meccanico inclinò la testa di lato e sollevò un braccio. I suoi occhi neri, due lacrime di ossidiana, brillavano nella penombra.
8. Incognito
Passarono tre giorni senza che Irene avesse notizie di Ismael. In paese non c'era traccia del ragazzo, e la sua barca a vela non era al molo. Un fronte temporalesco spazzava le coste della Normandia, stendendo sulla baia un manto di cenere che si sarebbe prolungato per quasi una settimana.
Le strade del paese sembravano addormentate sotto una tenue pioggerella la mattina in cui Hannah fece il suo ultimo viaggio verso il piccolo cimitero in cima alla collina che si ergeva a nordest di Baia Azzurra. La processione arrivò fino all'ingresso, poi, per espresso desiderio della famiglia, la cerimonia funebre venne celebrata nella più stretta intimità, mentre i compaesani tornavano alle proprie case sotto la pioggia, in silenzio, all'ombra del ricordo della ragazza.
Lazarus si offrì di accompagnare Simone e i figli alla Casa del Capo, mentre l'adunata si disperdeva come un banco di nebbia all'alba. Fu allora che Irene avvistò la sagoma solitaria di Ismael che contemplava il mare plumbeo dalla cima della roccia che coronava le scogliere intorno al cimitero. Bastò uno sguardo tra lei e sua madre perché Simone facesse un cenno di assenso e la lasciasse andare. Poco dopo, l'auto di Lazarus si allontanava lungo la strada dell'eremo di Saint-Roland e Irene saliva per il sentiero che portava alle scogliere.
All'orizzonte, sul mare, si distingueva il bagliore di una tempesta elettrica che accendeva tra le nuvole manti di luce, simili a carri armati di metallo incandescente. La ragazza trovò Ismael su uno scoglio, lo sguardo perso nell'oceano. In lontananza, il capo e l'isolotto del faro si smarrivano nella nebbia Mentre tornavano in paese, senza preavviso, Ismael rivelò a Irene dov'era stato negli ultimi tre giorni.
Iniziò il suo racconto dal momento in cui aveva ricevuto la notizia.
Era partito con il Kyaneos diretto all'isolotto del faro, cercando di sfuggire a un sentimento da cui non era possibile fuggire. Le ore successive, fino all'alba, gli avevano permesso di schiarirsi la mente e di concentrare l'attenzione su una nuova luce alla fine del tunneclass="underline" smascherare il responsabile di quella disgrazia e fargliela pagare. Il desiderio di vendetta sembrava l'unico antidoto in grado di mitigare il dolore.
Le spiegazioni della gendarmeria non lo convincevano affatto. La segretezza con la quale le autorità avevano condotto il caso gli sembrava, quanto meno, sospetta. A un certo punto, prima dell'alba del giorno successivo, Ismael aveva deciso di iniziare le sue indagini. A qualunque prezzo. Da quel momento non esistevano regole. Quella stessa notte Ismael si era intrufolato nell'improvvisato laboratorio di medicina legale del dottor Giraud. Con l'aiuto della propria audacia e di un paio di tenaglie aveva spezzato gli anelli delle catene e tutto ciò che gli impediva di entrare.
Irene ascoltò, fra la paura e l'incredulità, come Ismael si fosse introdotto in quel luogo funereo, aspettando che Giraud se ne andasse, e come, tra la nebbia della formalina e una penombra spettrale, avesse allora cercato con attenzione nell'archivio del dottore la cartellina riguardante Hannah.
Dove avesse trovato il sangue freddo per una simile impresa era tutto da vedere, ma evidentemente non gliel'aveva fornito la coppia di cadaveri ricoperti da lenzuola che aveva trovato. Appartenevano a due sommozzatori che la sera prima avevano avuto la sfortuna di immergersi in una corrente sottomarina nello stretto di La Rochelle, nel tentativo di recuperare il carico di un veliero incagliato sugli scogli.
Irene, pallida come una bambola di porcellana, ascoltò il macabro racconto dall'inizio alla fine, compreso l'episodio in cui Ismael era inciampato in uno dei tavoli operatori. Una volta che il racconto del ragazzo tornò all'aria aperta, la giovane sospirò. Ismael si era portato la cartellina in barca e aveva passato due ore a cercare di farsi strada nella selva di paroloni medici del dottor Giraud.
Irene deglutì.
«Allora, come è morta?» mormorò.