Stava anche imparando a rispettare le stravaganti richieste di Lazarus circa la corrispondenza. Le lettere personali dovevano essere aperte il giorno successivo al loro arrivo ed evase con sollecitudine. Le lettere commerciali o ufficiali dovevano essere aperte nello stesso giorno d'arrivo, ma non bisognava mai rispondere prima di una settimana. E, soprattutto, qualunque invio proveniente da Berlino, a nome di un tal Daniel Hoffmann, doveva essergli recapitato di persona e per nessuna ragione, in nessun caso, aperto da lei. Il motivo di tutti quei particolari non la riguardava, concluse Simone. Aveva scoperto che le piaceva vivere in quel posto e che le sembrava un ambiente abbastanza salutare per crescere i figli lontano da Parigi. In quale giorno si aprissero le lettere le risultava assolutamente e gloriosamente irrilevante.
Da parte sua, Dorian scoprì che la sua dedizione semiprofessionale alla cartografia gli lasciava perfino il tempo per farsi qualche amico tra i ragazzi del paese. A nessuno sembrava importare se la sua famiglia era nuova o no, o se era un buon nuotatore o no (non lo era, inizialmente, ma i suoi nuovi compagni si incaricarono di insegnargli a stare a galla).
Imparò che le bocce erano un'occupazione per uomini prossimi alla pensione e che abbordare ragazze era un'attività per adolescenti petulanti e divorati da febbri ormonali che attaccavano la pelle e il buon senso. Alla sua età, apparentemente, quello che uno faceva era scorrazzare in bicicletta, fantasticare e osservare il mondo, nella speranza che il mondo iniziasse a osservare lui. E la domenica pomeriggio, cinema. Fu così che Dorian scoprì un nuovo, inconfessabile amore, rispetto al quale la cartografia impallidiva come una scienza di pergamene ingiallite: Greta Garbo. Una creatura divina, di cui un solo accenno a tavola all'ora di pranzo bastava a togliergli l'appetito, nonostante fosse in fondo un'anziana di. . trent'anni.
Mentre Dorian si chiedeva se in quella fascinazione per una donna al limite della vecchiaia si potessero ravvisare i segni di una perversione, era Irene che, più di chiunque altro, affrontava l'impatto di Hannah in tutta la sua entità. L'elenco dei giovanotti non fidanzati e di piacevole compagnia era all'ordine del giorno. L'idea di Hannah era che, se dopo quindici giorni in paese Irene non cominciava a civettare languidamente con qualcuno di loro, i ragazzi avrebbero iniziato a considerarla una tipa strana.
La stessa Hannah era la prima ad ammetterlo: anche se dal punto di vista dei bicipiti il catalogo dei ragazzi poteva meritare un voto discreto, per quanto riguardava il cervello la ripartizione divina era stata scarsa e strettamente funzionale. In ogni caso, pretendenti e spasimanti non le mancavano, il che provocava la sana invidia dell'amica.
«Figlia mia, se io avessi il tuo successo, a questo punto sarei già Mata Hari» era solita dire Hannah.
Irene, rivolgendo uno sguardo al branco di ragazzi che fingevano di passare per caso, sorrideva timidamente.
«Non sono sicura che mi interessi. . Sembrano un po' sciocchi. .»
«Sciocchi?» sbottava Hannah di fronte a quello spreco di opportunità. «Se vuoi sentire qualcosa di interessante, vattene al cinema o prendi un libro!»
«Ci penserò» rideva Irene.
Hannah scuoteva la testa.
«Finirai come Ismael» sentenziava allora.
Ismael era suo cugino, aveva sedici anni e, come aveva raccontato Hannah, era stato cresciuto dalla sua famiglia alla morte dei genitori. Faceva il marinaio sulla barca dello zio, ma le sue vere passioni sembravano essere la solitudine e una barca a vela che aveva costruito con le proprie mani e battezzato con un nome che Hannah non riusciva mai a ricordare.
«Qualcosa di greco, credo. Uffa!»
«E dov'è ora?» chiese Irene.
«In mare. I mesi estivi sono buoni per i pescatori, che vengono ingaggiati per spedizioni in alto mare.
Lui e papà sono sull'Estelle. Non tornano fino ad agosto» spiegò Hannah.
«Dev'essere triste. Dover trascorrere tanto tempo in mare, da soli. .»
Hannah scrollò le spalle.
«Bisogna guadagnarsi da vivere. .»
«Non ti piace molto lavorare a Cravenmoore, vero?» azzardò Irene.
L'amica la guardò con una certa sorpresa.
«Non sono fatti miei, è chiaro» si corresse Irene.
«La domanda non mi dà fastidio» disse Hannah sorridendo. «La verità è che non mi piace troppo, no.»
«Per Lazarus?»
«No. Lazarus è gentile ed è stato molto buono con noi. Quando papà ha avuto l'incidente con le eliche, anni fa, ha pagato lui l'operazione. Se non fosse stato per Lazarus. .»
«Allora?»
«Non so. È quel posto. Le macchine. . È pieno di macchine che ti guardano in continuazione.»
«Sono solo giocattoli.»
«Prova a dormire lì una notte. Appena chiudi gli occhi, tic-tac, tic-tac. .»
Si guardarono.
«Tic-tac, tic-tac?» ripeté Irene.
Hannah le rivolse un sorriso sarcastico.
«Io sarò una fifona, però tu ti avvii a diventare una zitella.»
«Mi piacciono le zitelle» replicò Irene.
In questo modo, quasi senza accorgersene, i giorni scivolarono via dal calendario e, prima che potessero rendersene conto, arrivò agosto. E insieme vennero anche le prime piogge dell'estate, temporali passeggeri che duravano solo un paio d'ore. Simone era occupata nelle sue nuove incombenze. Irene si abituava alla vita con Hannah. E Dorian, inutile dirlo, imparava a nuotare sott'acqua mentre tracciava mappe immaginarie della geografia segreta di Greta Garbo.
Un giorno qualunque, uno di quei giorni di agosto nei quali la pioggia notturna aveva scolpito nelle nuvole castelli di ovatta sopra una lamina di azzurro splendente, Hannah e Irene decisero di fare una passeggiata sulla Spiaggia dell'Inglese. Era trascorso un mese e mezzo dall'arrivo dei Sauvelle a Baia Azzurra. E quando sembrava che non ci fosse più posto per le sorprese, queste dovevano ancora iniziare.
La luce di mezzogiorno rivelava una scia di orme lungo la linea della marea, tacche su una lamina bianca; sul mare, gli alberi delle barche lontane nel porto sfavillavano come miraggi.
Al centro di una bianca immensità di sabbia fine come polvere, Irene e Hannah si riposavano sui resti di un vecchio barcone arenato a riva, circondate da uno stormo di piccoli uccelli azzurri che sembravano avere il nido fra le dune nivee della spiaggia.
«Perché la chiamano la Spiaggia dell'Inglese?» chiese Irene, osservando la desolata estensione che andava dal paese al capo.
«Qui, in un capanno, ha vissuto per anni un vecchio pittore inglese. Il poverino aveva più debiti che pennelli. Regalava quadri alla gente del paese in cambio di cibo e vestiti. È morto tre anni fa. L'hanno seppellito qui, sulla spiaggia dove aveva passato tutta la vita» spiegò Hannah.
«Se mi lasciassero scegliere, anche a me piacerebbe essere sepolta in un posto come questo.»
«Che pensieri allegri» scherzò Hannah, non senza una sfumatura di rimprovero.
«Però non ho fretta» puntualizzò Irene, mentre il suo sguardo registrava la presenza di una piccola vela che solcava la baia a un centinaio di metri dalla costa.
«Uffa. .» mormorò l'amica. «Eccolo lì: il marinaio solitario. Non è stato capace di aspettare neppure un giorno per prendere la sua barca a vela.»
«Chi?»
«Mio padre e mio cugino sono arrivati ieri con la nave» spiegò Hannah. «Mio padre sta ancora dormendo, ma lui. . È incorreggibile.»
Irene scrutò il mare e osservò la vela che solcava la baia.
«È mio cugino Ismael. Passa metà della vita su quella barca, almeno quando non lavora con mio padre al molo. Però è un bravo ragazzo. . Vedi questo ciondolo?»
Hannah le mostrò un prezioso ciondolo che le pendeva da una catena d'oro al collo: un sole che si inabissava nel mare.
«È un regalo di Ismael. .»
«È splendido» disse Irene, osservando attentamente il gioiello.